Fari accesi sulla tassazione degli extraprofitti delle banche. Alcune domande.Manovra” socialisteggiante”?”Destra sociale” e manovra popolare pro Salvini?
Attentato alla libertà economica e di mercato?Ognuno deve essere libero di “guadagnare” e distribuire dividendi come vuole?Il film sugli extraprofitti l’abbiamo già visto con energia, luce, gas.
Una breve definizione: gli extra profitti sono ricavi addizionali delle aziende e sono la differenza fra il prezzo di vendita di un bene o di un servizio ed il costo medio di produzione. Ovviamente in un contesto non speculativo.
Già da questa definizione si intuisce perché le banche abbiano maturato degli extra profitti e da dove derivino. L’imposta introdotta sugli extraprofitti delle banche e degli intermediari finanziari viene determinata applicando un’aliquota pari al 40% sul maggior valore ottenuto tra una serie di fattori.
Comunque il prelievo non potrà superare(è in fieri)lo 0,1% degli attivi dei singoli istituti e dovrebbe ammontare a non piu’ di 2-2.5 miliardi di capitale.
Si sgrana in erosione di capitale nell’ordine del 6% per Unicredit,tra il 9-12% per Intesa che “in soldoni” vorrebbe dire circa 877 milioni.
La decisione di introdurre questo prelievo arriva dopo la stagione dei rialzi dei tassi d’interesse decisi dalla Banca Centrale Europea, che ha comportato un considerevole aumento delle rate dei mutui a tasso variabile.
Questi i dati e siamo in attesa di evoluzioni.
A monte però c’è un risvolto economico-aziendale che deve affrontare la decisione non solo nominalistica, ma anche gestionale :la banca è una impresa sociale o no?
Ha una funzione sociale o no? E oltre alla beneficenza bancaria “one shot” quali scelte di gestione sociale corrente?.
Il tema dell’etica bancaria viene discusso sin dai tempi antichi. Storicamente, c’è sempre stato un dibattito sulla legittimità del prestare denaro ad un tasso di interesse e con il passare del tempo molteplici punti di vista sono stati espressi, partendo da Aristotele, per il quale i soldi non generano altri soldi e passando dalle riflessioni sull’usura di San Tommaso d’Aquino e quelle di Martin Lutero che solo in tarda vita si convinse che alcuni interessi potessero essere considerati ragionevoli. Si pensi che, tutt’oggi, nel mondo islamico, non è consentito il pagamento di interessi a fronte di prestiti.
Nel ventesimo secolo, il settore bancario si è sviluppato notevolmente. In Italia, le riforme del 1993 deregolamentarono un sistema prevalentemente controllato dallo stato e con logiche, necessariamente, politiche, ma quindi anche volte alla teorica tutela dell’interesse pubblico, spingendo il sistema verso la privatizzazione e incoraggiando così fusioni e acquisizioni tra istituti di credito. La proprietà privata ha portato le banche a cercare di massimizzare i profitti per pagare così ai propri azionisti i più alti dividendi possibili. Si è passati dunque da una “stakeholder view” come quella attuata dai primi banchi dei pegni ad una “shareholder view” nella quale è opportuno che le banche si riguadagnino quelle caratteristiche etiche che permisero in origine lo sviluppo del sistema finanziario. Origini che , in altri casi, se non erano etiche, erano comunque, frutto di visioni elevate, condivisibili o meno, di politica economica (pensiamo alla BNL o all’IRI per l’industria, nel periodo fascista).
Ma se le bancheper assurdo,, seguendo la “sana” logica di business, annullassero il credito, che si fa ? Il sistema ne ha bisogno per vivere;
Sembra quindi sempre più profilarsi la strada di veder riconosciuto il valore sociale del fare credito e riprendere quindi l’intuizione del banchiere Giordano Dell’Amore, storico presidente di Cariplo che, con la costituzione dei Mediocrediti Regionali, organi terzi, nella gestione, a ogni soggetto economico, volle creare delle entità istituzionalmente dedicate al business oggi più difficile e meno remunerativo, fare credito e farlo a lungo termine.
Altri paesi, come l’Inghilterra e la Francia, si stanno muovendo proprio in questo senso.
L’alternativa è che le banche riconoscano nel credito il valore di una infrastruttura che non genera reddito in sé, ma ha un effetto leva economico e sociale.
Torniamo al “tormentone” che non è di etichetta formale:le banche e le istituzioni finanziarie devono essere imprese sociali “in re ipsa” intrgrando la delega di funzione sociale alle Fondazioni Bancarie che sono loro azioniste.
Ruolo sociale della banca ,ma non bisogna dimenticarsi che questo ruolo lo espleta, innanzitutto, facendo, appunto, la banca.
I richiami alla responsabilità sociale delle banche e delle istituzioni finanziarie sono molteplici.
Anche nel mondo della finanza,spesso predatoria e speculativa,ci sono ripensamenti e ,fermo restando lo sfrido dell’ effetto annuncio,i contenuti delle lettere e del manifesto che citiamo,di seguito, hanno un valore di tendenza:
- “Larry” Fink, ceo di BlackRock(gruppo di risparmio gestito Usa con oltre 6mila 500 miliardi di dollari in gestione) con lettera” To our sharehoders “(2019) ;
- il manifesto della Business Roundtable (19 Agosto 2019)dei 181 top manager delle più importanti imprese USA,in cui si dichiara che la massimizzazione assoluta del profitto non è l’imperativo categorico delle aziende ;
Ancora ”Larry” Fink: lettera” Una completa trasformazione della finanza”(2020) sono icone di cultura finanziaria che evolve.
E l’adozione degli indici ESG (Environmental,Social,Governance)come parte integrante della maggior parte delle operazioni finanziarie e l’orientamento a evidenziare la connessione con le 17 icone degli SDGs(Sustainable Development Goals)sono solo estetica di sistema?
Tralascio considerazioni,che potrebbero sembrare emotive, sull’esigenza di assumere una responsabilità sociale obbligatoria per qualsiasi manifestazione economico-finanziaria .
Il paradigma che la finanza presta denaro (capitale di debito) o fornisce capitale (capitale di rischio) agli operatori che sviluppano imprenditorialità in aziende deve essere rivisitato in” la finanza presta denaro (capitale di debito) o fornisce capitale (capitale di rischio) agli operatori che sviluppano imprenditorialità sociale in aziende profit e non profit”.
Una simmetria virtuosa fra finanza sociale e imprese sociali.
Il presupposto concettuale è che la finanza sociale non è un sottoprodotto della finanza,ma dovrebbe essere la “finanza per definizione” considerando che tutte le opzioni del sistema dovrebbero avere l’obiettivo sociale inteso come componente “in re ipsa” e condizione necessaria del sistema stesso(dicesi anche “sistema paese”).Questa affermazione non è ardita o vezzo culturale e di originalità perché,considerando che tutte le imprese dovrebbero essere sociali(quindi l’impresa è sineddoche dell’impresa sociale)ovviamente anche la finanza dovrebbe essere sociale come il marketing,la gestione delle risorse umane,come i bilanci(che spesso integrano bilancio dì esercizio con bilancio sociale) e così via.La finanza sociale non è una “deminutio” della finanza ed è la prospettiva che si dovrà praticare fino al punto che la finanza sociale è la” finanza doc”.Tesi iperuraniche?proposte sensazionaliste?Penso proprio di no se definiamo le banche e le istituzioni finanziarie come imprese sociali,che in logica economico aziendale,si fondano sull’imprenditorialità sociale(formula imprenditoriale sociale) che è dinamismo aziendale basato su:
- Intenzionalità sociale e “purpose”
- Misurazione,
- Addizionalità
- Continuità sussidiaria
Massimizzazione relativa del profitto.
In quest’ottica le banche e le istituzioni finanziarie non sfuggono al dovere di convertire gli extra-profitti in scelte di equità sociale e di ricadute redistributive che non avrebbero bisogno di imposte correttive.
SEGNALIAMO