25 ANNI DOPO

di Beppe Attene

È difficile non restare colpiti dal rimpianto e dal rispetto che, a distanza di un quarto di secolo, sembrano circondare le immagini e il ricordo di Bettino Craxi.

Nessuno può pensare di opporsi alla restituzione della dignità che le monetine di comunisti e fascisti in Largo Febo cercarono di negare e di abbattere.

E tuttavia sarebbe forse più interessante (e magari anche utile) tratteggiare gli elementi di modernizzazione che, con la sua azione, Craxi tentò tenacemente di introdurre in Italia.

Essi gli valsero l’odio e la resistenza di un mondo che non voleva cambiare, ma oggi si dimostrano ancora più essenziali per governare il difficile presente.

In primo luogo la affermazione del concetto di Nazione e, direttamente collegato ad esso, quello di Popolo dotato di Identità e Storia.

Il panorama in cui Craxi si trovò dal 1976 a combattere era profondamente oscurato dal diffuso rifiuto di questi concetti.

Il mondo cattolico (in fondo era passato appena un secolo da Porta Pia!) viveva in una appartenenza riservata e non ostile che comunque cercava di vincolare l’idea di Bene Comune alla sfera para – religiosa che così permetteva, appunto, una esistenza parallela.

L’universo di sinistra si divideva tra chi cantava (ed era la parte migliore) “la mia Patria è il mondo intero” e chi continuava a guardare con speranza all’URSS.

E, se è ben vero che nel 1981 Berlinguer avrebbe parlato di “fine della spinta propulsiva” mai venne emesso un giudizio autentico sul regime che, insieme al nazismo hitleriano, aveva dato inizio alla II Guerra Mondiale.

Né, paradossalmente, le cose andavano meglio a destra.

Nutriti dal falso presupposto storico del tradimento i post – fascisti avevano tristemente elaborato la loro specifica estraneità al percorso della nostra Nazione in cui essi “i traditi” erano costretti a vivere, riconoscendosi fra loro con rituali di vario genere e livello.

Forse, se qualcuno tra loro avesse avuto anche soltanto la pazienza di rileggere il primo discorso di Benito Mussolini alla Camera molte cose sarebbero potute andare diversamente.

In questo contesto (talmente particolare da risultare spesso incomprensibile agli occhi dei non italiani) il forte richiamo all’Italia non solo come contenitore geografico ma come vero e proprio fine della azione politica modificava decisamente la stessa idea del Riformismo.

Esso non veniva più vissuto come rappresentazione degli interessi di una specifica parte della popolazione ma come modalità operativa a favore dell’intero Paese e della sua popolazione, presente e futura.

Gli stessi concetti di destra e sinistra in politica venivano stravolti.

Le forze in campo non sarebbero state più giudicate per la capacità di esprimere richieste specifiche di un pezzo di società ma per una scelta di equilibrio e benessere collettivo.

Questo fu il senso profondo, per esempio, della battaglia sulla scala mobile e in questo noi, illudendoci, orgogliosamente sperammo.

In Bettino Craxi era, quasi morbosamente, presente una ferma consapevolezza della labilità e della natura transitoria del potere e del ruolo politico ad esso collegato.

Se da oltre Tevere veniva un messaggio basato sulla continuità del Potere attraverso i millenni capace di superare i passaggi individuali, in Italia esso incontrava il ritualismo comunista.

Qui apparentemente non esistevano i concetti di scontro politico, di vittoria o sconfitta ma si tendeva ad operare attraverso l’ipocrita formula del “superamento”.

Il resto del mondo occidentale democratico viveva ed operava attraverso la responsabilizzazione diretta del leader e (come non pensare a Winston Churchill?) sulla possibilità di sua sconfitta o rimozione diretta.

Insomma, in Italia la formula andreottiana del “mai con zelo” che era di diretta provenienza vaticana aveva permeato di sé la lotta per la sopravvivenza individuale di quasi tutti i membri del ceto politico.

Sarà stata la inesausta passione per Giuseppe Garibaldi oppure (o anche) la tragica consapevolezza derivante dal viaggio in Cile alla ricerca della tomba di Salvador Allende.

Fatto sta che in Craxi la consapevolezza del poter essere sconfitto e perdere il potere non produsse mai la rinuncia tattica alla propria identità e al giuramento stipulato con la propria storia.

L’Italia stava per vivere il più vergognoso periodo di “voltagabbanismo” che si potesse immaginare con politici pronti a smentire domani quel che hanno detto oggi e a tradire freneticamente qualunque accordo fatto con i propri elettori.

En passant, si può segnalare come questo produca crescentemente l’uso dell’insulto all’avversario piuttosto che la assunzione di impegni diretti in prima persona.

Quando Craxi prese la guida del PSI e sino alla sua permanenza in Italia non era ancora esplosa la moda del riferimento automatico alla cosiddetta “globalizzazione”.

Concetto, per la verità, assai rozzo e privo di capacità esplicative e operative.

Il mondo degli uomini è sempre stato globale e basterebbe il ricordo dell’Impero Romano o di Alessandro Magno a farcelo tener presente.

Oggi si dovrebbe parlare piuttosto di una unità temporale fra la mondializzazione del mercato e la completa finanziarizzazione dell’economia.

Quella corretta dimensione globale era, però, una costante dell’atteggiamento e del pensiero craxiano.

Bettino era profondamente consapevole che, come si diceva una volta, il volo di una farfalla in Sud America poteva contribuire in maniera decisiva a una tempesta sul Mar Baltico.

Gli ripugnava l’idea di un’Italia che, uscita sconfitta dalla guerra, dovesse limitarsi a esistere e giocar le sue poche carte nel contesto definito dai due blocchi che si contrapponevano, talvolta pur strumentalmente.

Di conseguenza era affascinato ed attento a tutto ciò che succedeva anche molto lontano da lui e che apparentemente non avrebbe avuto effetti immediati e diretti sulla nostra vita.

Pretendeva di incrociare costantemente nell’analisi e nell’azione le due determinanti di Spazio e Tempo.

Ogni istante della sua e della nostra esistenza dovrebbe, oggi più che mai, essere vissuto alla luce della confluenza di entrambe le categorie.

In Craxi era ben presente, già da allora, la consapevolezza che nulla è lontano e che tutto agisce qui ed ora. Quindi, e per finire, che non si può confidare sulla difesa proveniente dal tempo o dalla distanza fisica.

Ben vengano, dunque, i (pur talvolta forse ipocriti) cenni di rispetto e di rimpianto.

Ma ben chiaro appaia che, negando a Bettino Craxi il diritto ad essere considerato come avversario politico contro cui era legittimo combattere, l’Italia ha rinunciato al più moderno ed efficace dei suoi rappresentanti.

Craxi non è mai stato battuto o sconfitto. A lui è stata invece preclusa la possibilità di continuare a dare il suo contributo alla vita del nostro Paese anche soltanto in termini di modernizzazione e e adeguamento dell’Italia al nuovo contesto mondiale.

Insomma, quando noi (quelli della mia generazione, intendo) non ci saremo più il nostro dolore si sarà estinto con il nostro ultimo respiro.

Ma il prezzo della scellerataggine compiuta continueranno a pagarlo, sia ben chiaro, i nostri figli e i nostri futuri discendenti.


Commenti

Una risposta a “25 ANNI DOPO”

  1. Avatar Claudio
    Claudio

    Sicuramente Craxi aveva una visione ampia e globale della politica mondiale e anche di quella nazionale. È riuscito a governare l’Italia dal 1983 al 1986 pur avendo un peso specifico in termini di voti decisamente inferiore agli altri partiti come la DC o il partito Comunista. Ma ha sottovalutato il risultato di alcune sue azioni, l’importanza dell’informazione e di come questa sia in grado di plasmare l’opinione della popolazione. Queste ed altre problematiche, a mio avviso, hanno comportato ciò che è avvenuto in seguito. Noto che spesso si commette l’errore, da parte di tanti politici, di sottovalutare il potere dell’informazione e di come può essere sottilmente manipolata per dirigere le azioni della gran parte della gente. E pure non mancano esempi nella storia, anche molto vicina a noi.