BOLOGNA. RADICI FESTIVAL

POLIS BOLOGNA

Mille contrarie maniere di vita

Prosegue l’intreccio di storie e memorie, civili e ambientali, che appartengono al territorio bolognese attraverso il “Radici. Festival delle memorie civili ed ambientali”. Tre giornate, a metà giugno, per tenere vive storie di lavoro, di comunità e di rapporto col territorio. Tra spettacoli, laboratori, concerti, trekking e free camping la terza edizione del Radici Festival ha registrato un notevole successo, in particolare tra le giovani generazioni.

Radici Festival non è solo un evento culturale, ma un vero e proprio progetto di valorizzazione del territorio bolognese: attraverso una serie di talk e di attività, il pubblico ha potuto conoscere meglio le vicende che hanno caratterizzato la vita lavorativa e comunitaria del territorio, riscoprendo l’importanza del rapporto con l’ambiente e con la comunità stessa. Un festival nato e realizzato da Libera Bologna, dal Comitato per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto, dall’Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna e da altre significative realtà per riflettere collettivamente su cosa significhi fare memoria oggi.

Accanto agli interventi di scrittori e intellettuali, musica e spettacoli hanno accompagnato momenti di intrattenimento e riflessione, dimostrando come arte e cultura possano contribuire a mantenere vive le radici di una comunità. Tra i momenti più significativi del festival va certamente nominato l’intervento di Stefano Nazzi, giornalista de “Il Post” e autore del celebre podcast “Indagini” (premiato nel 2023 come podcast dell’anno nella categoria true crime). Nazzi ha ripercorso le vicende della banda della Uno Bianca, organizzazione criminale che tra il 1987 e il 1994 ha compiuto numerose azioni delittuose tra Emilia-Romagna e Marche, causando più di 20 morti e un centinaio di feriti. La testimonianza del giornalista ha offerto una prospettiva dettagliata e coinvolgente circa uno dei capitoli più oscuri della storia recente locale, ricordando l’importanza della memoria storica per la costruzione di una comunità consapevole e unita.

Rilevante è stata anche la scelta dei luoghi che hanno ospitato il Radici Festival di questo giugno: Bologna e il Parco Storico di Montesole, simboli di memoria e resistenza. Una terra storicamente calda, capace di riportare al centro un fare memoria non solo strettamente concernente l’ambito umano, ma anche un fare memoria di un paesaggio egualmente protagonista del patrimonio culturale della regione: “Ormai sul nostro territorio si leggono anche i segni delle piogge, del clima che cambia, di una crisi climatica sempre più grave. Frane e allagamenti ne sono la dimostrazione più evidente. È per questa ragione che quest’anno abbiamo deciso di devolvere in sostegno dei Comuni del nostro Appennino colpiti dall’alluvione dello scorso anno il ricavato di tutte le donazioni che raccoglieremo”, si legge sulla pagina social del Radici Festival.

Il tempo passa e fa giustizia delle memorie private e pubbliche, ma ciò non significa perderne le radici. Affermare ciò sarebbe ingenuo: le radici sono mutamento, cambiano forma a poco a poco. Le radici di una comunità non sono infatti stabilite da sempre e per sempre: un territorio nasce a partire da determinate radici, nel corso della sua esistenza ne acquista altre e ne perde altre ancora.

Decidere quali siano le proprie radici culturali è, per alcuni antropologi, un’operazione arbitraria: da un insieme molto vario e contraddittorio di tradizioni si sceglie di mantenere una parte di queste e di scartarne altre. Il concetto di identità è certamente più delle radici da cui si sviluppa: è composto da contaminazioni esterne e da volontà interne.

Perché avvicinarsi alle radici di culture altre (altre nel tempo e nello spazio) quando ancora non sono chiare le proprie? La risposta è: per uscire dal provincialismo, per godere del beneficio del confronto e per scegliere quali radici integrare e quali invece lasciare indietro. “Indago le culture altre – risponde Maurizio Bettini, antropologo e filologo classico – perché mi piace pensare che esistano mille contrarie maniere di vita. E queste mille contrarie maniere di vita sono il libro delle culture. Ecco perché vedere scomparire o alterare le culture fa soffrire: perché è come vedere bruciare una biblioteca”.

In tema di radici culturali, sarebbe un errore confondere quindi l’antropologia con la nostalgia, la storia con la politica, la memoria privata con quella collettiva. Scavare nelle radici di un territorio e di una comunità significa interessarsi alla sua cultura, considerarla come qualcosa di prezioso, ma soprattutto pensare che conoscere altre culture non sia solamente interessante in sé, ma che aiuti a conoscere meglio anche la propria identità.

Sulla scia delle riflessioni che ruotano attorno al grande filone del fare memoria, il Radici Festival ha così dato spazio a un lungo ragionamento politico e di costruzione di comunità che proseguirà con entusiasmo anche il prossimo anno: è importante infatti attraversare luoghi, storie, trame, mutamenti e memorie collettive per continuare a nutrire le nostre radici.


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