Stanno per concludersi le celebrazioni per i cent’anni dalla nascita di Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana, 15 ottobre 1923 – Siena, 19 settembre 1985); dallo scorso mese di ottobre e fino al 4 febbraio 2024 le Scuderie del Quirinale ospitano la mostra “Favoloso Calvino”, una mostra pensata come un viaggio attraverso la vita, le scelte, l’impegno politico e civile, i luoghi e, soprattutto, la produzione letteraria e il metodo di lavoro di Italo Calvino.
Tutti i temi calviniani sono al centro della mostra e degli incontri ad essa correlati. Immagini, opere e oggetti di varia natura, dialogano costantemente con le parole dello scrittore. Ne è testimonianza il bel catalogo curato da Mario Barenghi.
Un tema non molto presente nella mostra è quello dei rapporti con l’Oulipo francese (l’Ouvroir de Littérature Potentielle), del quale qui si vuole dire, anche se fugacemente.
Nel novembre del 1972 Italo Calvino partecipò per la prima volta, in qualità di “invitato d’onore”, a una riunione dell’Oulipo (l’Ouvroir de Littérature Potentielle fondato da Raymond Queneau e François Le Lionnais nel 1960); l’incontro rappresentò la concretizzazione di un’identità di vedute che aveva avuto già occasione di manifestarsi in varie circostanze. Fin dal 1960, nella prefazione alla riedizione dei Nostri antenati, infatti, si ritrovano sue dichiarazioni perfettamente coerenti con quelle sostenute dal gruppo che nasceva proprio in quell’anno «… quello che è sempre stato e resta il mio tema narrativo: una persona si pone volontariamente una difficile regola e la segue fino alle ultime conseguenze…».
Su queste basi lo scrittore italiano non poteva non stringere rapporti con l’Oulipo e in particolare con Raymond Queneau, del quale aveva propagato l’opera in Italia, impegnandosi per la sua diffusione con fervore e a più riprese: nel 1967, con la traduzione di Les fleurs bleues e, qualche anno dopo, con la prefazione all’edizione italiana (1981) di Bâtons, Chiffres et Lettres oltre che con un commento alla traduzione italiana (1982) della Petite cosmogonie portative. Calvino aveva riconosciuto nell’autore dei Cent mille milliards de poèmes e degli Exercices de style una vera e propria anima gemella: Queneau era fautore di una pratica originale, indifferente alle mode, basata su pochi princìpi essenziali pienamente condivisi.
A quella riunione del novembre 1972 Calvino partecipò in modo attivo parlando anche del suo progetto di uno scritto intitolato Les mystères de la maison abominable, una sorta di giallo con una struttura combinatoria.
Frutto delle sue frequentazioni dell’Oulipo, nel quale Calvino entrò a far parte ufficialmente nel febbraio 1973 con la veste provvisoria di “membre étranger“, è certamente la concezione di alcuni suoi libri. È oulipiano, infatti, il principio della potenziale molteplicità del narrabile che sta alla base del Castello dei destini incrociati (1973), «una macchina – spiega lo stesso Calvino – per moltiplicare le narrazioni partendo da elementi figurali dai molti significati possibili, come può essere un mazzo di tarocchi».
È oulipiano l’espediente ”cornice” utilizzato per legare i brani di Se una notte d’inverno un viaggiatore(1979), dieci inizî di romanzi che sviluppano un nucleo comune in modi diversi, partendo da un personale adattamento dei quadrati semiotici di Greimas adoperandoli per la costruzione del testo invece che per la sua analisi; Calvino si era ispirato a quei quadrati e spiegò il procedimento seguìto in Comment j’ai écrit un de mes livres (1981), un testo che mostra come il procedimento combinatorio genera la complessa ma ordinata struttura del romanzo: lo strumento di analisi diventa per Calvino uno strumento creativo. Se una notte d’inverno…rappresenta il momento maggiormente oulipiano della sua produzione; esso è la dimostrazione evidente di come egli abbia ben recepito e maturato l’essenza dell’Oulipo, la dimostrazione di come un risultato brillante possa essere raggiunto utilizzando una contrainte ”dura” senza che ne traspaiano le caratteristiche.
Nel considerare la vasta gamma degli esperimenti letterari di Italo Calvino, quelli derivanti dalle sue frequentazioni oulipiane sono molto significativi. Già prima del suo incontro con Raymond Queneau, e quindi con il gruppo francese, Calvino aveva dato prova della propria capacità di muoversi su terreni diversi, con esiti sempre positivi e addirittura con un percorso anticipatore della questione che sarà definita dell’ «Oulipo Semantique» (OuSem); a cominciare dalla trilogia dei Nostri antenati, laddove « une ébauche d’effet OuSemique y est perceptible : c’est un trait stylistique qui place ces fictions dans la ligne de certains plagiats par anticipation, comme les contes de Voltaire ».1
Già ad analizzare la prefazione a Le Sentier des nids d’araignée (1964) si può intravedere un’anticipazione del potenziale attraverso un testo che non finisce mai di iniziare, un testo scritto quando dell’Oulipo forse Calvino non sapeva proprio nulla, un testo che risponde molto all’idea dell’Ouvroir: «La struttura è libertà, produce il testo e nello stesso tempo la possibilità di tutti i testi virtuali che possono sostituirlo. Questa è la novità che sta nell’idea della ”molteplicità potenziale”, implicita nella proposta di una letteratura che nasca dalle costrizioni che essa sceglie e s’impone», scrive infatti Calvino per l’edizione italiana di Bâtôns, chiffres et lettres.
È un’affermazione, questa, che può dar luogo a forti reazioni e certo non è mancato chi abbia vòlto in critica l’idea che la letteratura sia anche gioco, discostandosi dal concetto di una letteratura forte. Nella letteratura come gioco può capitare di scorgere un segno di rinuncia al ruolo di trasmettitrice di esperienze fondamentali per la vita; e Calvino viene talvolta considerato un esempio piuttosto rappresentativo di una letteratura basata sulla forma, su una forma considerata come arido rigore formale, come gioco autoreferenziale e che, di conseguenza, ne accetta una sorta di depotenzializzazione, una letteratura che rinuncia a essere direttamente utile per la vita.
In fondo anche la stessa scelta di certe traduzioni volute o effettuate da Calvino (come quelle di alcuni testi di Queneau) costituisce un’implicita dichiarazione del suo desiderio di far nascere nell’ambiente letterario una diversa concezione dell’attività di scrittore.
Altra cosa, poi, sono gli esercizi acrobatici proprî del primo periodo dell’Ouvroir, quello del cosiddetto Oulipo Syntaxique. In esso le restrizioni sono applicate a elementi della lingua rigorosamente identificabili (lettere, sillabe, parole ecc.); è il caso, ad esempio, del Petit abécédaire illustré di Georges Perec2, una raccolta di sedici piccole storie, ciascuna concludentesi con una particolare chiave finale, foneticamente uguale alla successione di una consonante via via accoppiata con le cinque vocali.
Calvino ripeté l’esperienza in italiano con il suo Piccolo Sillabario Illustrato (1977), dove le difficoltà risultavano certamente maggiori a causa della modestissima possibilità di varianti fonetiche e della scarsezza di parole terminanti in u. Il risultato, una prova di maestria linguistica e di grande ironia, è un testo originale, divertente e raffinato come mostra l’esempio riferito alla successione ba‒be‒bi‒bo‒bu:
Tutte le ragazze impazziscono per Bob ma egli sembra impassibile alle loro lusinghe. Saputo che Bob parte per una crociera in India, Ulrica decide d’imbarcarsi sullo stesso piroscafo, sicura che le lunghe giornate di navigazione saranno propizie alla conquista. All’amica Ludmilla, che le manifesta il suo scetticismo, Ulrica dice: «Vedrai. Appena riuscirò a sedurlo ti scriverò. Scommetto che sarà prima di uscire dal Mar Rosso». Difatti, da Bab-el-Mandeb, Ludmilla riceve una laconica cartolina:
Bab. Ebbi Bob. U.
Dello stesso anno (1976), appartenente anch’esso al genere ”syntaxique”, è il Poème à lipogrammes vocaliques progressifs dedicato a Queneau. Si tratta di otto versi molto elaborati dei quali il lipogramma è protagonista in forme diverse: verso per verso, a una a una, le vocali spariscono e riappaiono nell’ordine. Questo per la prima parte, poi, negli ultimi versi, Calvino cambia gioco: dapprima indugia ripetendo due volte ciascuna vocale, poi, conclude con tre versi monovocalici tutti in e.
Aiuole obliate gialle d’erba, sa
un cupo brusìo smuovervi, allusione
ad altre estati, cetonia blu-violetta,
enunciando noumeni oscuri: tutto fu,
sarà ed è in circolo: dunque è sempre
presente nelle eterne senescenze
e effervescenze d’ere, nel serpente
d’etere, seme, cenere, erbe secche.
Ancora in memoriam, dopo quelli dedicati a Queneau, sono i versi per Perec (1983): Georges Perec oulipien.
Questa volta la contrainte impone di impiegare nei 17 versi della poesia, soltanto le lettere del titolo; è la regola perecchiana del beau présent, e ciò rappresenta un ulteriore omaggio all’amico scomparso:
Georges Perec oulipien
Le leggi che si pose e che seguì
per sere e sere, nelle poesie,
nelle prose, nell’epico e nel lirico,
regole rigorose, nel cui gelo
non corron crepe, sono per l’ingegno
ossessioni o sollucchero? Ironie
per sorrisi sornioni, oppure preci
per l’Essere Superno? (o per più Esseri?
O per Nessuno? Oscure son le Gnosi).
Pungiglioni pei pigri? Perniciose
Gorgoni che nel crine pongon serpi?
Uno scoglio nel gorgo che è l’errore?
Recipe per cucine in cui si cuociono
inni epinici, nenie? O solo scolii
che un pio chierico copii nelle sillogi?
O son spose sorelle che sorreggono
opere e giorni, perché non si sprechino?
Riconducibile al genere ”syntaxique” è anche l’Extension sémantique de la méthode S+7 (Oulipo, 1981)dove Calvino rivela alcune ”utilità” della contrainte inventata da Jean Lescure.
C’è stato da varie parti il tentativo di non prendere in considerazione il Calvino delle ultime opere, in particolare il Calvino di Si par une nuitd’hiver un voyageur, preferendo il Calvino memorialista, il Calvino più realista, il Calvino che piace a certe istituzioni accademiche: cioè quello della trilogia dei Nostri antenati. Da altre parti, invece, si ritiene che debba comunque farsi maggiore attenzione a tutto il Calvino sperimentale cercando di capire quanto le contraintes oulipiennes gli siano state utili, non solo per le opere specificamente ”à contrainte”, ma anche per molte altre. « L’histoire des rapports de Calvino avec l’Oulipo ‒ écrit en effet Marcel Bénabou ‒ est donc celle d’un constant enrichissement mutuel. Aussi proche de l’ancienne que de la nouvelle génération des Oulipiens, il n’a jamais cessé, parmi eux, de se sentir chez lui ».1
La partecipazione di Italo Calvino all’Oulipo rappresenta una fase della sua attività letteraria spesso trascurata, persino disprezzata, soprattutto dalla critica italiana che, in molte occasioni, ha accusato lo scrittore di “disimpegno”. Il suo confronto con i modelli logici e matematici dell’Oulipo, però, rappresenta come un’utile esperienza attraverso la quale l’autore cerca di mettere ordine alla varietà dei suoi temi.
L’Oulipo ha certamente influenzato l’opera dell’ultimo Calvino il quale restò sempre fedele all’insegnamento dell’Oulipo e negli ultimi scritti, quelli contenuti nelle Lezioni americane, egli fa più volte riferimento ai princìpi di quel gruppo, accennando al «miracolo di una poetica apparentemente artificiosa e meccanica, che tuttavia può dare come risultato una libertà e una ricchezza inventiva inesauribile».
NOTE
1 Marcel Bénabou, « Si par une nuit d’hiver un oulipien », magazine littéraire, n° 274, février 1990, pp.41-44, interamente dedicato a Italo Calvino: «La storia del rapporto di Calvino con Oulipo è dunque quella di un costante arricchimento reciproco. Vicino alla vecchia come alla nuova generazione di oulipiani, egli non ha mai smesso di sentirsi a suo agio tra loro».
1 Jacques Roubaud, «Calvino e la ricerca dell’Oulipo semantico», in Raffaele Aragona, Italo Calvino. Percorsi potenziali, Manni, Lecce, 2008 – in riga edizioni, Bologna, 2023): vi si percepisce un accenno di effetto OuSemico: è un tratto stilistico che colloca queste finzioni sulla linea di certi plagi per anticipazione, come i racconti di Voltaire.
2 Pubblicato in privato nel 1969 e poi in Oulipo, La littérature potentielle, Gallimard, Paris, 1973.
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