IL RINOCERONTE
“Abbiamo deciso di rivolgere un appello a tutte le radio italiane, a Youtube e alla Siae affinché boicottino i brani di rapper e trapper che contengono frasi violente o aggressive verso le donne. Ogni giorno le emittenti radiofoniche nazionali trasmettono brani di artisti molto in voga tra i giovani, infarciti di frasi con riferimenti espliciti contro le donne, in grado di alimentare odio e violenza e incentivare aggressioni e gesti estremi. Canzoni che vengono regolarmente registrate alla Siae e pubblicate anche su piattaforme internazionali come Youtube.”
Questo l’appello lanciato da Codacons nella settimana in cui l’Italia si indignava per il tragico femminicidio di Giulia Cecchettin , che ha riportato al centro del dibattito pubblico il tema più grande della violenza, in particolare quella di genere. In questo dibattere una parte dell’opinione pubblica ha (finalmente) fatto notare che i testi delle canzoni della musica trap, quella che spopola tra i più giovani e soprattutto tra i giovanissimi, sono un inno al maschilismo, alla violenza di genere, all’ostentazione della ricchezza da raggiungere a tutti i costi, e malgrado questo vanno alla grande tra GenZ e ragazzini, dai 10 anni in su.
La replica del mondo Trap è abbastanza scontata, ne cito una a caso “Facciamoci un esame di coscienza come società, invece di dare ancora la colpa al rap. Se in una canzone ascolti delle parole non devi prenderle come un messaggio.”, più o meno il concetto è quello.
Dire che il rap produca i femminicidi magari sarà anche falso, ma è sicuramente falso dire che il rap non ha un idea della donna paranoica e sessista.
O che il rap contribuisce a creare una cultura che giustifica la violenza di genere. Il problema è che lo fa con la forza del digitale e del social che amplifica e polarizza ogi messaggio, e si rivolge scientemente alle generazione dei giovanissimi, le più vulnerabili.
Shiva, le guerra tra i rossi di Rozzano e i Blu di San Siro.
Sono passate diverse settimane da quando il noto rapper Shiva è stato arrestato per tentato duplice omicidio, porto abusivo di arma da fuoco ed esplosioni pericolose.
Shiva, al secolo Andrea Arrigoni, 24enne è l’ultimo campione del trap e spopola tra i più giovani in Italia: il suo ultimo brano, Syrup, su Spotify nei primi dieci ha fatto 4.798.593 stream, il video è andato oltre i 2 milioni di visualizzazioni.
Il trapper ha più di due milioni di follower e cinque milioni di ascolti su Spotify ed un passato decisamente turbolento. L’arresto ad esempio è l’epilogo diana terra tra bande di rapper, quella tra i rossi della «Santana gang» di Rozzano e i blu della “7Zoo” di San Siro. Fatta di risse, aggressioni e dissing che sono diventate faide vere e proprie.
Le canzoni di Shiva sono zeppe di maschilismo, di violenza, di illegalità, insomma un disastro, alcune non si possono proprio sentire. Sfido il lettore a farlo. Eppure Shiva è un mito per i ragazzini, un estremo in cui immedesimarsi. Alla faccia della sociologia della psicologia e della comunità educante.
Shiva è solo l’utlimo di un fenomeno che turba i meno giovani. I veri “innovatori” sono i ragazzi di Dark Polo Gang, forse più del mitico Sferaebbasta. Possono piacere o no ma hanno segnato un cambio di passo proprio nel linguaggio, ed hanno condizionato proprio con il loro linguaggio una generazione di adolescenti. Chi critica o “infama” ad esempio è un”bufus”, o bufu, contrazione spregiativa dell’angloamericano By Us Fuck U tradotto “per quanto ci riguarda, vaffanculo” che qualche anno fa è entrato ufficialmente nel dizionario Treccani.
La Trap e le Trap House
Bufu viene dal rap come risposta ad attacchi verbali mossi dall’interno dello stesso ambiente musicale. È un insulto generico che sta all’interno dello spazio semantico che va da ‘ridicolo’ a ‘stronzo’, e si è diffuso dalle nostre parti “grazie” ai Dark Polo Gang, fino a diventare gergo giovanile, come eskere, swag o 777.
La lingua cambia e si rinova da sempre, esprime processi culturali, senso di appartenenza ed autoidentificazione. L’influenza del trap in questo processo oggi è sempre più evidente.
La Trap è un genere musicale che nasce dal basso, con brani autoprodotti e poi caricati su YouTube, i discografici arrivano dopo.
Il nome viene dalle Trap House, che nello slang USA indica le case dove si spaccia la droga. Il genere è spinto ed accelerato, fatto di basi elettroniche e sintetiche, ritornelli ad effetto senza la vitalità e la creatività di protesta e di rottura che in qualche modo poteva avere il Rap o l’Hip Hop.
I trapper che arrivano dalle periferie delle grandi città sono il trionfo dell’individualismo e della voglia di riscatto a tutti i costi, violenza e illeciti compresi. Il riscatto viene esibito in tutti modi, successo, social, soldi, abiti griffati, Rolex e Tesla.
Piacciono loro e piace la loro musica forse perché rappresenta un modo di farsi largo in una società che esclude e non dà spazio. Per loro la musica è un modo di prendersi il loro posto nel mondo. Per chi la ascolta un modo di far sentire la sua voce. A tutti costi e con i tutti mezzi. La donna in questo quadro è poco più che niente, vale meno di un Rolex o di una Tesla o di una borsa di Gucci.
Siamo a questo punto qui. Che il femminicidio sia un prodotto della società magari è discutibile ma è tollerabile, sentirsi spiegare dai trapper che il Trap sessista va di moda per colpa della società che è sessista mi pare davvero troppo. Detto questo, vietare serve a poco, e non è mai servito a niente, purtroppo in questo caso. Alla controcultura si risponde con la cultura. Non con altra controcultura…..
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