CDA RAI E DINTORNI

GUIDO BARLOZZETTI INTERVISTA STEFANO ROLANDO

Guido Barlozzetti
Stefano Rolando

Stefano Rolando, professore universitario, già dirigente della Rai e già Capo Del Dipartimento  per l’informazione e l’editoria  alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con dieci governi, tra i protagonisti dello sviluppo teorico e professionale della comunicazione pubblica in Italia e in Europa, ha presentato la sua candidatura per il rinnovo del CdA della Rai, nel quadro di iniziative civiche per recepire la procedura europea della selezione trasparente con attenzione alle competenza e alla indipendenza, attorno a cui le istituzioni italiane devono esprimersi. 

Qui spiega il rilievo delle iniziative in atto e il rischio che siano disattese. 

D. Ci sono in questi giorni notizie cubitali sulla Rai. Che si gonfiano per la congiuntura elettorale, ovviamente. Poi c’è un fiume carsico di notizie un po’ per addetti ai lavori che rispondono sia a macro-contesti sia a dinamiche più tecniche. Una di queste ti riguarda e, per vecchia abitudine al colloquio, provo ad approfondire un po’.  Niente in contrario?

R.  Ci mancherebbe. Così chiarisco le idee anche a me stesso.

D. Da ciò che si è letto, mi pare che si tratti di cose molto meditate. Quindi non proprio da sonnambulo. C’è una tua candidatura per il rinnovo del CdA della Rai, insieme a un’altra settantina di figure alcune professionalmente note altre meno. E questa è evidentemente una motivazione volontaria. Poi ci sono iniziative che si muovono collateralmente sia sul terreno giudiziario, sia sul terreno politico ma fuori dal sistema propriamente dei partiti. Posso chiederti i nessi?

R. Il primo nesso, rispetto all’idea di ripetere per la seconda volta una libera e indipendente candidatura al CdA della Rai, è con l’evoluzione stessa della governance di una azienda in cui sono entrato verso la fine degli anni ‘70, formandomi come dirigente (in quegli anni assistente di due presidenti di per se’ formativi per chiunque, prima Paolo Grassi e poi Sergio Zavoli). Anni in cui la nozione di “servizio pubblico” era robusta e ampiamente condivisa. Io ho fatto molti altri percorsi, nelle istituzioni, nelle aziende, nel sistema universitario. La Rai ha subito il lungo travaglio dell’età populista e la politica formalmente rappresentata oggi non credo abbia più idee davvero strategiche adeguate per governarla. Temo che sia in atto una metafora generale sul “governo del futuro”. Si prepara infatti una stagione che presenta un bivio inquietante. Da una parte l’occupazione governativa oltre soglie sostenibili. Dall’altra lo spolpamento da parte del sistema competitivo (nello stile delle privatizzazioni che avvengono in contesti oligarchici) per ridurre alla soglia minima le funzioni di servizio pubblico.

D. Ma tra queste due ipotesi di destino prossimo non c’è una certa contraddizione

R. Se vivessimo nella brezza dell’età della ragione, così sarebbe. Una vera contraddizione. Perché il governo avrebbe tutto l’interesse a impedire quello spolpamento. E perché lo spolpamento passa attraverso lotte di pura occupazione (con scarse competenze e scarse strategie soprattutto europee) del sistema politico che inerzialmente si appresta ad una semplice e tradizionale lottizzazione.

D. E quindi?

R. Inerzialmente rispetto al passato qualcuno potrebbe camuffarsi in “militante occasionale” per sfruttare qualche possibile padrinato politico nella vicenda. Ma – con un respiro che si avverte in parte dell’Europa – si potrebbe anche imboccare una via più coraggiosa: sostenere le proprie ragioni, fondate su percorsi accertati di esperienza, al servizio di un progetto difficile ma bellissimo per la Rai stessa e per il suo futuro, appoggiandosi adesso a due battaglie di principio e di metodo.

D. Domanda inevitabile: quali?

R. La prima – che conduco con altri due candidati, entrambi di estrazione professionale dalla Rai, Nino Rizzo Nervo e Patrizio Rossano, tutti e tre espressioni di associazioni professionali che agiscono civicamente – è quella di avere concorso all’iniziativa di alcuni giuristi, stimolati  e coordinati  da alcuni reputati costituzionalisti ed è tesa a svolgere un ricorso cautelare al TAR (che potrebbe anche proseguire in Corte Costituzionale) per far valere da subito il “Media Freedom Act” europeo. Questa normativa, che è già in GU della Repubblica italiana, obbliga a reale selezione delle candidature presentate, Quindi con procedura resa nota e con un percorso di trasparente valutazione delle competenze (la volta scorsa non furono neanche aperte le buste dei candidati, limitandosi il Parlamento a prendere atto delle decisioni dei capigruppo dei partiti rappresentati).

D. Se si andasse a questa scelta dopo il voto per le europee, ci sarebbe anche tutto il tempo per fare questo sacrosanto adeguamento procedurale, no?

R. Diciamo che la decisione di farlo potrebbe essere presa in cinque minuti da istituzioni coscienti della ragione di vera e propria difesa istituzionale che c’è dietro. In ogni caso un po’ di tempio in più aiuterebbe certamente.

D. E veniamo allora alla seconda “battaglia” annunciata…

R. Sì, la seconda battaglia –  che è stata sostenuta formalmente con atti presso le presidenze delle Camere – riguarda il nucleo più civico che sta proponendo la crucialità di questa vicenda. Mi riferisco alla Associazione professionale “Infovica”, fondata ad inizio di questo secolo da Jader Jacobelli e Bino Olivi, anch’io tra i fondatori, per coniugare europeismo e servizio pubblico, di cui poi nel tempo sono diventato presidente. E poi mi riferisco  anche al civismo politico federato tra nord, centro e sud in Italia rispetto a cui il coordinatore nazionale attuale, Andrea Fora, consigliere regionale dell’Umbria, ha proposto ai presidenti delle Camere, nel rispetto della scelta dei candidati fatta dal Parlamento, di non limitare l’espressione della politica ai soli partiti nazionali, quando tutta l’Italia è governata ormai sotto una certa dimensione territoriale da autonomie civiche.

D. Come concretamente dovrebbero funzionare queste due leve per mettere in campo una procedura virtuosa

R. Dovrebbe prevalere negli ambiti istituzionali più coinvolti nelle decisioni – dunque Governo e Parlamento – l’idea che se davvero si vuole tentare la via di introdurre, almeno per due dei quattro selezionati dalle Camere, una sicura scelta di competenza e di indipendenza, a cui si aggiunge per definizione il rappresentante eletto dai lavoratori della Rai, la politica espressa dai partiti, pur conservando una maggioranza (a cui concorrono ovviamente le nomine in capo al Governo) sarebbe quotidianamente sollecitata da istanze saldate alla visione europea dell’evoluzione multicanale dei servizi pubblici radiotelevisivi, in grado di tenere aperto il coinvolgimento dei cittadini e della rappresentanza sociale attorno ad obiettivi  di vero interesse generaleTra l’altro avendo a cuore di guardare competenze amministrative, scientifiche e di ricerca veramente all’altezza di questo mandato.

D. Supponendo che questa prospettiva sia attuabile, sia in forza delle disposizioni procedurali europee già varate, sia in forza di un interesse nazionale a non proseguire l’ondata ormai inarrestabile di alienazione degli asset industriali italiani, hai messo in conto anche di fare una battaglia personale per la candidatura che hai presentato?

R. Nei limiti e nelle forme di una procedura trasparente, che auspico – per soglia minima di civiltà giuridica – venga adottata, posso dire di sì. Cioè per forza bisogna mettere in campo percorsi personali, purché vengano davvero valutati senza riserve che quella compagine si regga ancora solo sul “valore” sulla rappresentanza dei partiti politici. Questo è il cambio di paradigma. Voglio dire che quella procedura dovrebbe fare cose oggi non concesse: prevedere attenta ponderazione dei CV, formazione di una short list convenuta sotto garanzia dei presidenti delle Camere in ordine al pluralismo esperienziale rappresentato e infine attraverso audizioni tese a far emergere sensibilità e progettualità sui nodi prima descritti. Voglio però essere chiaro. Nulla di personale mi pare si debba fare senza che questo contesto venga assicurato, dando conto a tutti gli italiani che a fronte di cose serie – come sono la salute, l’educazione, l’informazione – o si è parte di una democrazia liberale di diritto o si e’ tali e quali gli autoritarismi che occupano purtroppo una maggioranza di paesi nel mondo ma fuori dai principi fondativi dell’Unione europea.

D. Sul tema di appartenenza all’Europa che dovrebbe preoccupare sia maggioranza che minoranza, proprio su questo argomento della doppia innovazione (procedure trasparenti di selezione e quota di rappresentanza civica nella governance) tutto lo schieramento politico dovrebbe dare una risposta. 

R. Questa volta (o questa “svolta”, tenendo conto del punto di metodo) si dovrebbe partire dalla presa d’atto di una norma europea che, ove disattesa, renderebbe annullabile costituzionalmente procedure autoritarie forzate. E questa cosa porta con se’ che chi ha rilevanti responsabilità – non solo nel bipolarismo, ma in tutto lo spettro politico – ha anche il grande potere di assecondare passi avanti in quel campo che si è sempre chiamato “costituzione materiale” dei paesi democratici.

D. Ma immaginando che tu possa portare in Rai queste esperienze e questi auspici, che Rai vorresti?

R. Come ho detto, li mi sono formato come dirigente. Anche per le contaminazioni personali di quei tempi, penso al concetto della “qualità competitiva” (innovazione compresa). Sguardo sociale sulle disuguaglianze interne e ancoraggio con i punti forti della creatività italiana ed europea. Visione internazionale e ricerca di spazi veri di competitività e di influenza. Non e’ impossibile.


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