Le cinquanta sfumature di blu del Marocco
Il paese di Chefchaouen è situato nel Nord-ovest del Marocco, nella regione di Tangeri. A 560 metri di altitudine, è delicatamente adagiato alle pendici delle montagne del Rif, la catena montuosa che guarda verso il Mediterraneo.
Dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, Chefchauoen è uno dei paesi più belli del Marocco ancora rimasto fuori dalle principali rotte turistiche perché non facilmente raggiungibile. Nonostante la sua fama sia aumentata negli ultimi anni, rimane una cittadina abbastanza tranquilla rispetto a Marrakech e Fes.
In origine il nome della città era semplicemente Chaouen che, in berbero, significa “corna” nome che fa riferimento alle vette delle montagne del Rif da cui è circondata. Venne ribattezzata Chefchaouen “guarda le vette” solo nel 1975, ma per molti rimane semplicemente Chaouen. Dal punto di vista etnico gli abitanti appartengono alle tribù berbere del Rif con una minoranza di arabi e di altre etnie. Dal punto di vista religioso, la maggior parte degli abitanti sono musulmani i quali però convivono pacificamente con piccole comunità di cristiani e di ebrei, realtà che -sorprendentemente per noi- è viva in tutto il Marocco.
La città fu fondata nel 1471 da Sherif Moulay Ali Ben Rachid della importante dinastia Idriside che decise di costruirla proprio qui, in faccia al Mediterraneo, come fortezza per difendere e proteggere la regione dagli spagnoli e dai portoghesi che avevano conquistato Ceuta nel 1415.
La storia di Chaouen è segnata da un lungo periodo di isolamento e chiusura agli stranieri e ai non musulmani poiché ritenuta città sacra. Furono le truppe spagnole, una volta preso il controllo del nord del Marocco, ad aprire Chefchaouen e a trasformarla in una delle principali basi del loro esercito.
Durante la guerra del Rif, 1911-1926, ebbe grande rilevanza Abd-el Krim, eroico condottiero e rivoluzionario berbero, formatosi nelle migliori scuole di Fes e Salamanca, che si mise a capo delle tribù locali e riuscì a cacciare gli invasori grazie a innovative tattiche di guerriglia che esercitarono una grande influenza sulle successive figure di rivoluzionari quali Ho Chi Minh, Mao Zedong e Che Guevara.
L’ indipendente “Repubblica berbera del Rif” con Ab el-Krim come capo di stato durò pochi anni poiché gli Spagnoli riuscirono a catturarlo e imprigionarlo nella Kasbah tornando ad impadronirsi di Chaouen dove restarono fino alla indipendenza del Marocco nel 1956.
Durante questo lungo periodo di occupazione furono numerosi gli spagnoli che si stabilirono a Chauen. Erano commercianti e artigiani dell’Andalusia, in particolare delle province di Cadice e Malaga che instaurarono una convivenza pacifica con i berberi, gli arabi marocchini e gli ebrei. Nella parte antica del centro storico ancora si respira un’aria di Andalusia: le labirintiche stradine dal tracciato irregolare, le case imbiancate a calce con i tetti di tegole a doppio spiovente, le fontane, i patio e i rigogliosi giardini con gli aranci irrigati da una sorgente d’ acqua di montagna.
Chefchaouen è anche conosciuta come “la città blu o la perla blu” del Marocco, nome che le deriva dalle tante sfumature del colore blu di cui sono colorate le facciate delle case, le strade, le ripide scale che si snodano nei suoi vicoli, le piazzette. Le sfumature vanno dal celeste all’ indaco passando dal turchese, il cobalto, lo zaffiro. Un magnifico caleidoscopio blu (Foto 2-11).
Non si sa con certezza per quale motivo la città sia stata tutta dipinta di blu. Forse perchè è il colore che più respinge gli insetti, oppure perché è il colore del cielo e del mare o ancora perché simboleggia l’importanza della cascata di Ras el-Maa, unico sito dove gli abitanti si riforniscono di acqua potabile. Alcuni sostengono che il colore fu scelto dalla comunità ebraica quando vi trovò rifugio dall’inquisizione spagnola durante il XV secolo e scelse il blu come simbolo della serenità ritrovata.
Del resto il blu è un colore importante, essendo uno dei sette colori fondamentali che si ritrovano nella luce del sole, come scoperto da Isaac Newton che studiò lo spettro della luce proiettato da un prisma su una superficie neutra.
Qualunque sia la motivazione, il colore blu costituisce una delle principali caratteristiche della città e il colpo d’ occhio che si ha quando ci si aggira per i suoi stretti vicoli è incantevole. Se ci si allontana dalle strade nelle quali passeggiano i turisti e ci si immerge lentamente nel blu silenzioso dei vicoletti laterali si viene avvolti da una atmosfera arcana, fatta di mistero e sacralità.
In certi punti risulta addirittura confusa le linea che divide il cielo dalle pareti delle abitazioni! La sensazione che si ha è la stessa di quando l’orizzonte sparisce tra mare e il cielo e i due colori trasfondono. Un paradiso per fotografi e instagrammers, che ad ogni angolo trovano lo scorcio ideale per un bello scatto o lo sfondo perfetto per stories attira-followers.
Tra i residenti è viva una ‘gara’ a pitturare di blu le loro case ricercando sfumature diverse di colore su cui aggiungono elementi di arredo urbano, come vasi di piante, panchine, ringhiere, cornici etc. dai colori vivaci.
Il blu viene steso utilizzando tecniche diverse. Alcune famiglie dipingono direttamente di blu le pareti esterne delle loro case, altre danno prima una mano di bianco e poi stendono sopra il blu, cosa che riesce, nel tempo, a trattenere di più il colore. La tinta viene ripassata spesso e la frequenza della stesura del colore è una delle variabili che incide nel determinare l’intensità del blu come anche la modalità di stesura, l’esposizione al sole, la durata dell’ esposizione, le intemperie invernali etc.
La tinta blu è di origine naturale, estratta dalla pianta dell’indaco, l’ Indigifera tinctoria, arbusto della famiglia delle Fabacee o leguminose molto diffuso poiché si adatta bene a vari climi. La pianta cresce spontaneamente in Africa e in gran parte del sud est asiatico, in particolare in India che ne è il maggior produttore sin dall’ antichità e da cui prese il nome.
La pianta era nota già nel 4000 AC quando gli Egizi e i popoli dell’ Asia la utilizzavano per tingere gli indumenti. Più avanti nella storia fu utilizzata nella cosmetica, in medicina e nell’ arte. Tovaglie decorate di turchino si vedono in alcuni dipinti di Giotto e nell’ “ultima cena” di Leonardo.
Tra le tante sostanze chimiche che vi sono all’ interno delle foglie come flavonoidi, terpenoidi, alcaloidi, tannino, quella colorante è l’indigotina che non è contenuta come composto attivo ma viene ottenuta con un complesso procedimento di fermentazione delle foglie.
Al mondo vi è un’altra città “blu”, colorata con lo stesso colore, Jodhpur nel cuore del Rajastan e anche il quartiere antico della piccola città pugliese di Casamassima, con cui Chefchaouen è gemellata.
Oltre ai turisti in cerca di un Marocco meno conosciuto e ai fotografi attratti dalla atmosfera fotogenica del posto, confluiscono a Chaftaouen anche i fumatori di “canne” in quanto la città è vicino all’ epicentro della produzione della Cannabis sativa. Enormi piantagioni di Cannabis, pianta che sul Rif cresce rigogliosa cullata da un clima ideale, contribuiscono ad aumentare le diverse tonalità di verde dell’ area rurale che si apre attorno alla città offrendo paesaggi di grande bellezza. Piccole abitazioni qua e là, cavalli e buoi che pascolano liberamente, rigogliosi boschi di lecci, di eucalipti, sugheri, rari e maestosi cedri dell’ Atlante.
Seminate ad aprile, le piante di Cannabis vengono tagliate a fine agosto, messe ad essiccare sui tetti delle case, infine riunite in fasci in attesa della lavorazione che avviene manualmente. I fiori secchi vengono raccolti in sacchi di juta che fungono da setaccio quando colpiti ripetutamente con dei bastoni. Ciò che fuoriesce si chiama Kif e può essere fumato senza ulteriori trattamenti dopo averlo inserito nel Sebsi, una lunga pipa con un fornello piccolo che permette di utilizzare il Kif senza dover aggiungere tabacco. Per ottenere l’hashish, invece, serve una ulteriore lavorazione per concentrare i tricomi, piccole “ghiandole” della superficie dei fiori femminili dentro cui sono concentrati i principi attivi. Gli esperti dicono che l’hashish prodotto in queste valli è il migliore al mondo.
Oggi con oltre 134.000 ettari di terreno l’ONU stima che in quest’area si produca circa il 40% del quantitativo mondiale di hashish e oltre l’80% della Cannabis fumata in Europa.
La sua coltivazione trova radici molto lontane, addirittura ai primi anni del XV secolo. Nel periodo di occupazione Spagnola la coltivazione della Cannabis e il suo uso fu incentivato, probabilmente nel tentativo di tenere calma la popolazione e fu garantito ad alcune tribù del Rif il diritto di coltivarla. Fu poi negli anni settanta che il Rif divenne centro di esportazione illegale della droga in Europa e in America. Dopo l’indipendenza il governo centrale fece molti tentativi per fermarne la coltivazione e il traffico, ma senza grandi successi. Il motivo è chiaro visto che questa attività garantisce il 10% dell’economia complessiva del Paese ed è la principale fonte economica della regione del Rif, una delle più povere del Marocco, dove vivono oltre 800.000 persone. I contadini rimangono comunque poveri guadagnando dall’ 1 al 5% del prezzo della merce sul mercato mentre i trafficanti prosperano.
Oggi la coltivazione di Cannabis è illegale in tutto il Marocco, tranne che in questa zona in cui la coltivazione è lecita ma solo per finalità mediche, cosmetiche e industriali. Nel 2021, infatti, il parlamento marocchino, su richiesta dell’OMS, ha approvato una legge che stabilisce un quadro giuridico per gestire la catena di approvvigionamento legale della Cannabis che inizia dalla coltivazione, passa dal mercato e arriva fino alla esportazione. La legge stabilisce anche le modalità di conversione delle coltivazioni di Cannabis in eccesso in coltivazioni differenti in grado, comunque, di generare valore e occupazione.
Che ci sia fatti uno spinello oppure no, si parte da Cheftaouen con gli occhi pieni di meraviglia e la testa che medita su tutto ciò che è successo e succede in questo piccolo pezzo di mondo che guarda verso l’Europa così da vicino ma anche così da lontano.
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