REDAZIONE
Giampaolo –
Insomma nella preparazione dei vostri piatti o come semplice condimento a crudo, ieri come oggi, l’olio non può mancare, sia a tavola che in cucina.Ancora oggi però abbiamo l’abitudine di usare un solo tipo di olio o al massimo due, uno per cucinare e uno per condire. Meglio sarebbe se fossero più di uno o due.
Aldo –
E allora, secondo te, che olio bisogna usare?
Giampaolo –
partiamo dai fondamentali. Certamente quello estratto a freddo, e certamente extravergine, meglio se di alta qualità e in grado di soddisfare il nostro palato legandosi in modo armonioso al cibo che abbiamo scelto. Potremo scegliere un olio delicato o intenso, che abbia il retrogusto di pomodoro delle olive di Nocellara o quello di carciofo e di cardo selvatico delle olive Caninesi, potrà avere il fruttato di frutto fresco o il profumo di erba tagliata: la scelta la farà il nostro gusto. L’importante è saper distinguere in modo da usare una varietà sul pesce bollito o su un’ insalata di campo e un’altra varietà, molto diversa, per la zuppa di fagioli o per le patate arrosto: ogni piatto assumerà in questo modo un sapore e un profumo diverso. Basterà un raviolo ripieno di ricotta o un semplice riso bollito o un boccone di pane caldo per farci scoprire, aggiungendo un olio o un altro, un grande piacere. Quindi il protagonista della nostra buona tavola deve essere l’extravergine, perché è un ingrediente naturale, capace di dare un tocco magico a un passato di verdure ed essere indispensabile per fare una buona e sana frittura o per preparare i sughi per la pasta o quelle creme che arricchiscono le pietanze di carne o di pesce. Per non parlare di cosa significa il sapore e il profumo di un olio di grande qualità quando lo usiamo per conservare funghi, melanzane, peperoni, pomodori e altri prodotti di stagione che mantengono intatto il loro sapore per molto tempo. Oppure provate a mettere sott’olio salamelle o salsicce di maiale che rimarranno morbide e profumate come appena fatte. E non poteva mancare la pasticcieria dove si è scoperto che tra le tante varietà di olio extravergine, c’è anche quello adatto per preparare dolci e pasticcini.
Fabrizia –
come in tutte le cose c’è chi preferisce una cosa e chi un’altra, ma sulla frittura non si discute. Basti riflettere su cosa significa friggere. Friggere è una particolare cottura che impiega un grasso, quale mezzo di trasmissione del calore, con cui l’alimento raggiunge progressivamente la temperatura interna necessaria per la cottura. In questo modo la temperatura all’interno dell’alimento si mantiene intorno ai cento gradi, fino a quando l’acqua interna non è evaporata del tutto e il grasso penetra nell’alimento. Durante questo processo il fenomeno da tenere presente è l’auto-ossidazione: infatti qualsiasi grasso riscaldato subisce le conseguenze del contatto con l’ossigeno in modo proporzionale al grado di insaturazione del grasso stesso. L’autossidazione è contrastata dalla presenza degli antiossidanti.
Liliana –
Per esempio il burro, come tutti i grassi animali, possiede un basso grado di insaturazione, ma è del tutto privo di antiossidanti. Viceversa gli oli di semi ne hanno un bel po’, ma hanno anche un elevato livello di insaturazione, quindi subiscono l’ossidazione in breve tempo. Le caratteristiche migliori in questo senso sono quelle dell’olio estratto dalle olive, molto stabile e resistente all’ossigeno e al riscaldamento perché ha un forte contenuto di antiossidanti e, allo stesso tempo, un buon livello di insaturazione.
La presenza significativa di sostanze antiossidanti nell’extravergine, rispetto ad altri grassi, è dovuta alla natura stessa dell’oliva che ne contiene una elevata quantità, e al metodo di estrazione che, come recita la normativa europea, è “ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”, mentre per gli oli estratti dai semi, si usano solventi chimici come l’esano, e per l’olio di oliva o l’olio di sansa processi di raffinazione più o meno complessi. Questi processi di raffinazione e l’uso di solventi disperdono del tutto, o in gran parte, i componenti della quota insaponificabile e questo si traduce in una perdita di antiossidanti. In particolare per quanto riguarda l’olio estratto dai semi è utile conoscere il processo di estrazione per far capire per quale ragione questo prodotto, spesso consigliato per le diete o pubblicizzato per il suo potere energetico, e certamente favorito sullo scaffale per il basso prezzo, è un grasso alimentare che non può contenere alcuna sostanza utile alla salute dell’uomo. Scrive il professor Guido Stecchi, presidente dell’Accademia 5T, “le elevate temperature del processo di frittura provocano la formazione di dannosi grassi trans”, e così descrive il processo di estrazione dell’olio dai semi: “ i semi vengono prima decortificati, quindi preriscaldati e macinati e di nuovo scaldati a 150°c con alta pressione (2300 bar). A questo punto il macinato viene immerso in solventi (di solito l’esano, un idrocarburo facilmente infiammabile); il tutto viene opportunamente agitato per facilitare l’estrazione dell’olio da parte del solvente. Con un ulteriore riscaldamento a 150°c il solvente – che tornerà in circolo con altri semi –si separa per evaporazione e l’olio per filtrazione. L’olio grezzo ottenuto non è ancora commestibile: deve seguire la cosiddetta degommazione, ovvero la rimozione, mediante acidi, di vari composti estranei come fibre e carboidrati complessi; in questa fase, però, vengono eliminati pure elementi utili e salutari come le lecitine, i sali minerali, la clorofilla. E non è ancora finita: mediante soda caustica o altre miscele estremamente corrosive segue il processo di deacidificazione, ovvero la rimozione degli acidi liberi, oltre a quello di decolorazione con terre acidificate. In tal modo se ne vanno i tocoferoli e tutti gli antiossidanti e le vitamine, i fosfolipidi rimasti, inoltre si alterano gli acidi grassi essenziali con formazione anche di perossidi. Come ultimo passaggio ecco la deodorazione, a temperature che possono raggiungere e superare i 220°c ; se ne vanno le sostanze aromatiche e quant’altro resta di utile.”
Mario –
Allora per friggere quale è il grasso migliore? Abbiamo capito che la prima qualità di un grasso per la frittura è la stabilità, e sappiamo che il grasso che vogliamo usare non deve mai raggiungere il “punto di fumo”, non deve cioè verificarsi quel fenomeno che i chimici chiamano “pirolisi”, la rottura delle molecole dovute al calore che fa sviluppare quelle sostanze volatili dannose alla salute. Ad esempio l’olio di semi, che spesso viene usato per la frittura, ha un indice molto basso nella scala della stabilità, tanto che in alcuni Paesi europei è prevista l’indicazione sull’etichetta di “olio non adatto per friggere”, mentre in altri è facile trovare sugli scaffali delle confezioni di plastica con una etichetta che indica il contenuto di oli di semi vari come particolarmente adatto alla frittura. Per il consumatore non è facile scegliere.
Liliana –
Continua il professor Stecchi: “Ci sono poi le margarine: sono miscele ed emulsioni costituite da grassi alimentari di origine animale e vegetale diversi dal burro e dai grassi suini contenenti più del 2% di umidità e un contenuto di materia grassa non inferiore all’80%. La margarina è prodotta con sostanze grasse in molti casi indurite per idrogenazione.
I prodotti di partenza delle margarine in commercio sono quasi sempre vegetali e sono: olio di palma, olio di cocco, olio di palmisto, olio di colza, olio di arachide, olio di cotone, olio di sesamo (aggiunto al 5% per legge come rivelatore). Essendo la margarina un’emulsione composta da una frazione lipidica ed una acquosa necessita, per restare insieme, di additivi chimici, in particolare di emulsionanti. Esistono pure margarine vegetali ottenute per frazionamento, ovvero separando da grassi e oli vegetali la frazione satura, di per sè solida a temperatura ambiente. Anche la margarina non idrogenata si colloca all’ultimo posto nella scala qualitativa dei grassi: a parte il fatto che necessità di processi e additivi chimici più di qualsiasi altro grasso, praticamente è costituita dalla parte meno salubre e meno nobile di grassi già di qualità inferiore. La margarina da frazionamento, che oggi ha in gran parte sostituito i grassi idrogenati, viene tutta prodotta in Europa da un’unica azienda sul porto di Rotterdam, pur se poi esistono varie marche che la rilavorano.”
Marco –
ma ci sono piatti che secondo me richiedono il burro. Il problema in questo caso è quale burro usare. Burro di panna di affioramento o burro di panna da centrifuga? Il burro di panna di affioramento è considerato il migliore. Nella realtà il burro migliore è il burro da panna da centrifuga, prodotto in prevalenza dalle latterie che commercializzano anche latte parzialmente scremato. L’importante è che si tratti di burro di sola panna di latte, perché la maggior parte del burro prodotto, anche nei piccoli caseifici, è ottenuto da panne miste, ossia ricavate centrifugando anche il siero, se non addirittura anche il latticello della precedente lavorazione del burro stesso.
Il burro in commercio proviene da panne pastorizzate. I processi moderni, eseguiti con macchine assai veloci che operano in continuo, non fanno che imitare la burrificazione tradizionale, ovvero l’insieme delle operazioni che consentono di trasformare la crema in burro.
Giampaolo –
poi c’è lo strutto: lo usavano i nostri genitori e lo usiamo anche noi. Certo sappiamo che non è proprio un toccasana per la salute, tuttavia ci sono delle ricette in cui non se ne può fare a meno, perché dà al cibo un sapore e un aroma inconfondibili. Fino a qualche decennio fa era il grasso più utilizzato, molto più di quanto si pensi poiché l’olio extra vergine per molti era un lusso. Infatti lo strutto è molto più facile da produrre, visto che non occorre raccogliere le olive e portarle al frantoio, ma basta cuocere il grasso del maiale e poi strizzarlo. Lo strutto si usa in cucina, nella panificazione, nella preparazione dei dolci e per la frittura: è il grasso più versatile e saporito, anche grazie alla sua conservabilità e al fatto che si presenta solido a temperatura ambiente.Oggi lo strutto è caduto in disuso per vari motivi, tra cui il fatto di essere considerato un grasso “povero” e a causa della campagna antigrassi saturi che ormai da decenni viene combattuta dai medici per cercare di arginare il dilagare delle malattie cardiovascolari. Oggi lo strutto è criminalizzato in quanto ritenuto “una bomba al colesterolo”, in realtà per la frittura è un’alternativa all’olio extra vergine molto più sana degli oli di semi.
Fabrizia –
Quindi alla domanda qual è il grasso migliore per fare una frittura, il consiglio è quello di usare olio extravergine di oliva, che ha un punto di fumo intorno ai 210° C, e non gli oli di semi che lo hanno molto più basso, come ad esempio l’olio di girasole, che ha un punto di fumo inferiore ai 130° C o come quello di soia. È vero che in commercio ci sono oli di semi abbastanza stabili che vengono spesso utilizzati nella frittura come l’olio di arachide che ha un punto di fumo a 180° C, o meglio quello di palma che raggiunge addirittura i 240° C, ma non bisogna dimenticare come, e con quali solventi, si ottiene l’estrazione di questi grassi.
Maria Teresa –
A questo punto se escludiamo i grassi animali e l’olio estratto dai semi non rimane che rispondere alla domanda: olio d’oliva o extravergine? La domanda sembra banale, ma tale non è. Prima di tutto, uno equivale all’altro, in quanto hanno la medesima resistenza al calore. Diverso sarà, invece, il sapore di ciò che si frigge. Ovviamente, l’extravergine porta il proprio straordinario patrimonio di profumi e aromi che l’olio di oliva non ha perché perde ogni caratteristica di qualità nel processo di raffinazione a cui è sottoposto l’olio lampante da cui ha origine.
Liliana –
Una cosa è certa: l’olio extravergine è il miglior grasso da frittura per quanto riguarda gli aspetti salutistici. Come sostengono i nutrizionisti, l’extravergine è un prodotto che aiuta la digestione ed è ottimamente assorbito dall’organismo in qualsiasi età. Inoltre la presenza dell’acido oleico fa si che la struttura di quest’olio, anche ad elevate temperature, resti inalterata e ciò permette, grazie anche ad un maggiore riscaldamento in superfice, la formazione sulla parte esterna di una crosticina protettiva dovuta alla caramelizzazione degli zuccheri e alla completa disidratazione. Una frittura migliore e meno grassa. L’esatto contrario di quanto vanno sostenendo alcuni soloni della grande cucina e gourmet in malafede e a quella vulgata che, non sapendo più cosa dire, ha inventato che con l’olio di semi la frittura viene più bella e più “leggera”.
Fabrizia –
Noi, quando per ragioni di più facile digestione rinunciamo allo strutto, la frittura la facciamo così: certamente non siamo avari e mettiamo tanto olio extravergine nella padella in modo da far galleggiare i cibi. La fiamma la teniamo vivace, ma senza raggiungere mai i bordi della padella e una volta raggiunta la temperatura, senza mai superare i 180°, cerchiamo di mantenerla costante. La cosa migliore è friggere in piccole porzioni assicurandosi prima di immergerli nell’olio che siano a temperatura ambiente e in modo che il cibo possa rotolare friggendo uniformemente da ogni lato.Un consiglio valido per tutti: attenzione a non salare, né zuccherare durante la cottura e di scolare bene la frittura asciugandola su carta assorbente prima di servirla in tavola.
Aldo –
Giampaolo sei fritto. La catena è semplice: per produrre si deve studiare, per studiare occorre tempo libero da dedicare alla meditazione, all’analisi delle ipotesi, alle deduzioni, alla verifica “sensata” come la chiamava Galileo, cioè alla prova sensibile. Mai sentenza fu più azzeccata se usata in cucina per verificare i fritti di cui Giampaolo ci parla. Galileo chiamava “sensate esperienze e certe dimostrazioni” le prove che portavano una ipotesi ad essere teoria. Come nel dialogo sopra due massimi sistemi del mondo, tu, Giampaolo, il Salviati della padella, il portavoce del “punto di fumo” sarai posto a dura prova e a verifica di quanto ha teorizzato dal questo rispettabilissimo consesso di palati. Solo la verifica e l’attendibilità di chi verifica dirà se la costruzione teorica che hai appena enunciato sarà sostenuta dall’evidenza dei fatti. La Scienza è madre, carA Fabrizia di metodo e di procedura. Se il fritto dovesse venir male, che so: una schifezza, capita, nulla è perduto. Riprova, cambia, modifica quello che stai facendo a affidati a Charles Darwin: “Le variazioni vantaggiose tenderanno ad esser conservate e quelle svantaggiose distrutte” diceva, vantaggio e svantaggio saranno per il nostro palato.
Liliana –
e per il fegato…
Aldo –
come la Natura conserva e protegge le specie migliori, così scopriremo il fritto che sopravviverà alla selezione. Quindi friggi o sei fritto, caro Giampaolo, questa potrebbe essere la sfida dopo la dotta introduzione che ci hai fatto, intanto noi conversiamo, aspettiamo, in buona compagnia si aspetta meglio. Che ti dicevo all’inizio: la catena è semplice: per friggere si deve studiare, per studiare occorre tempo libero da dedicare alla meditazione. Ecco perchè in greco antico “Scholè” significava ozio.
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