“CITTADINANZA ONORARIA”

… agli studenti stranieri

un primo importante passo simbolico che viene dai sindaci

Durate la pausa ferragostana i politici di ogni orientamento hanno rilasciato, tra disquisizioni fisiologicamente contrapposte, pareri e commenti su “ius soli”, “ius culturae”, “ius scholae”, già archiviati come armi di distrazione di massa e quindi aria fritta di fronte a uno scenario geopolitico globale in fiamme sospeso nell’attesa delle elezioni americane e alle turbolenze tutte italiane che già si preannunciano per l’inizio dell’autunno ormai alle porte: elezioni regionali che da un lato scateneranno le divergenze all’interno del governo e fra i suoi leader impegnati nella propaganda personale e nei reciproci sorpassi nei sondaggi; dall’altra, la ricerca di un fantomatico campo largo quando i 5Stelle sono sull’orlo di una scissione e Matteo Renzi, che si affaccia a sinistra, è fatto oggetto, illustre, di “respingimento” per la sua inaffidabilità storica; una manovra finanziaria lacrime e sangue in deficit che lascerà disattese le aspettative di un salario minimo per milioni di lavoratori poveri; delle risorse necessarie per garantire a tutti il diritto all’istruzione e alla salute e quelle per rendere più umane le condizioni di vita nelle carceri e nei CPR… traguardi ritenuti prioritari da tutti quei cittadini che, anche al di là di interessi strettamente personali, hanno a cuore la giustizia sociale e il rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere umano.

A fronte di questo scenario, resta remota la possibilità che alle ragazze e ai ragazzi stranieri venga consentito un più facile accesso alla cittadinanza italiana per effetto o dello “ius soli” (il meno probabile) o dello “ius culturae” o dello “ius scholae”. Ricordiamo che la normativa in vigore consente il conseguimento della cittadinanza al diciottesimo anno di età che slitta di fatto, per farraginosi motivi amministrativo-burocratici, di almeno un paio di anni.

Un’iniziativa a sorpresa ha scompaginato lo sterile dibattito politico, fine a se stesso, consumato durante le ferie di Ferragosto quando alcuni sindaci hanno voluto precorrere i tempi ricorrendo ad un escamotage: il conferimento della “cittadinanza onoraria”. Questa onorificenza, simbolica, finora poteva essere conferita dalle autorità comunali per meriti particolari in campo culturale, sportivo, scientifico, economico, sociale ed umanitario a cittadini italiani o stranieri che si fossere distinti nel Comune, in Italia e/o all’estero.

Il conferimento della cittaddinanza onoraria agli studenti stranieri, anche se non modifica la restrittiva normativa vigente, esprime un messaggio di accoglienza, di inclusione e soprattutto di speranza rispetto alla possibilità che in un futuro non lontano anche loro potranno sentirsi alla pari dei loro coetanei nati in Italia da genitori italiani, con cui condividono dalla nascita, oltre alla lingua e persino al dialetto, le speranze, i sentimenti, le sfide proprie alla giovinezza.

L’iniziativa dei primi cittadini di Brescia, di Bologna, di Ancona, quest’ultima in quota a Forza Italia, è la riprova che i grandi cambiamenti che incidono nella società nascono dal basso, democraticamente, in seno alle comunità. Queste dinamiche hanno le radici nella vita reale delle persone che non sono numeri ad uso delle statistiche, ma hanno un nome, un volto, una personalità, una storia. Le comunità sono costituite da persone fra loro diverse, non solo per origini, che condividono fianco a fianco la stessa quotidianità negli stessi contesti, negli stessi luoghi: la scuola, le palestre, i centri di ritrovo, di svago, di lavoro…

I Sindaci, quando intellettualmente onesti, illuminati e lungimiranti, poiché leggono e vivono in prima persona le dinamiche che si muovono nella propria realtà, fugano le paure ancestrali dei concittadini nei confronti del diverso e superano le difficoltà e la staticità della politica escogitando nuove formule, talvolta puramente simboliche, come la cittadinanza onoraria. Questa iniziativa è scaturita dall’urgenza di accelerare un processo di effettiva integrazione degli stranieri richiesto dal corso naturale della storia. Del resto, grazie ai sindaci, nonostanze le battaglie storiche della Lega, e recentemente di Roberto Vannacci e non solo, si è aperta la strada dei matrimoni “egualitari” contratti fra persone dello stesso sesso in ragione dell’inalienabilità di un diritto fondamentale della persona e della comunità LGBT che pertanto deve essere accessibile da tutte le coppie a prescindere dal sesso dei contraenti.

In queste pagine, a suo tempo, abbiamo sottolineato come tutta la comunità di Pioltello, cittadina dell’hinterland milanese, si sia trovata unanime nell’inserire nel calendario scolastico per l’anno ‘23/’24 dell’”Istituto comprensivo Iqbal Masih” (il dodicenne ucciso nel 1995 per il suo impegno contro lo sfruttamento del lavoro minorile), un giorno di chiusura il 10 Aprile, data in cui la comunità mussulmana ha festeggiato la fine del Ramadan. Questa decisione è stata votata all’unanimità dal Consiglio di Istituto, organo collegiale elettivo presieduto da un genitore, a cui partecipa di diritto il Dirigente della scuola insieme alle rappresentanze dei docenti e del personale ausiliario-tecnico-amministrativo, per consentire al 30/100 della popolazione scolastica di Pioltello, di religione mussulmana, di partecipare senza assentarsi dalle lezioni alla loro massima festività religiosa. La determinazione della comunità di Pioltello, sostenuta anche dal Sindaco, che ha operato una scelta di inclusione e di civiltà, ha dovuto pagare il prezzo di critiche feroci da parte della stampa conservatrice, di parlamentari della maggioranza di governo e dello stesso ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha subito deciso “accertamenti”.

L’esperienza di Pioltello dovrebbe aver insegnato alla politica in senso lato e in particolare al ministro dell’Istruzione e del Merito che il mondo della scuola dovrebbe essere l’interlocutore prioritario per capire e affrontare qualunque tematica inerente il mondo dei giovani e degli studenti sia italiani sia provenienti da qualsiasi altra realtà geografica. Invece, dirigenti scolastici e docenti sono sistematicamente esclusi dai quotidiani dibattiti televisivi e dai media in generale. Eppure in loro è riposta la competenza per affrontare le problematiche giovanili che deriva dall’esperienza, dalla conoscenza delle proprie scolaresche e delle dinamiche che nascono all’interno delle aule, delle palestre, nei momenti di studio e in quelli ludici e ricreativi. Il corpo docente di tutte le scuole italiane da decenni, da quando negli anni Ottanta sono entrati in classe, fianco a fianco degli italiani, i primi alunni stranieri, si sono adoperati per affrontare il nuovo fenomeno che via via si è dilatato fino ai nostri giorni, quando si registra una presenza di extracomunitari che si aggira mediamente intorno al 30/100.

Nel rispetto della Costituzione, che rappresenta il faro dell’azione educativa in ogni istituzione scolastica e che viene inculcata negli alunni attraverso l’insegnamento non solo teorico dell’Educazione Civica e con il contributo di tutte le discipline, i docenti hanno elaborato progetti educativo-didattici pluridisciplinari sempre più articolati ed efficaci la cui finalità fosse, nel rispetto delle diverse culture e religioni, l’integrazione di tutti gli allievi e allieve: dall’iperdotato, al portatore di handicap; dal figlio del pentito sotto falsa identità a quello del ricco industriale locale; da quello con la pelle bianca a quello con la pelle olivastra o scura o a quello con gli occhi a mandorla. Attraverso i giovani che sanno d’istinto come abbattere le barriere e attraverso l’assimilazione dei principi democratici che si vive nelle scuole italiane, messaggi di apertura e di inclusione arrivano e coinvolgono gli adulti sia italiani sia di altre culture e altri mondi. Nel corso della mia lunga esperienza di dirigente scolastico ho spesso assistito alle rivendicazioni di maggiore autonomia e libertà espresse con forza da alunne e alunni stranieri nei confronti dei loro genitori portatori di una cultura molto diversa, restrittiva e meno democratica, perché sia a scuola sia in tutti gli altri momenti della vita quotidiana hanno potuto assimilare e condividere gli stili di vita molto più liberi e inclusivi dei coetanei italiani generalmente scevri dai pregiudizi acritici degli adulti.

Se l’aula scolastica racchiude una porzione della società in cui viviamo, dalla competenza e dall’esperienza maturata all’interno delle istituzioni scolastiche, dovrebbero essere attinti gli elementi utili a definire il quadro dei requisiti che fanno di un giovane di origini straniere un “cittadino” italiano. Inoltre, dal mondo della scuola e dell’università dovrebbero scaturire i suggerimenti e gli orientamenti che potranno, attraverso il dibattito parlamentare, trasformarsi in una legge dello Stato in linea con gli inarrestabili e ineludibili processi storici e con le sfide che disegneranno il futuro dell’umanità.


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