CONFLITTO E CONSENSO, DIVISIONE E CONDIVISIONE, PARTE SESTA

La politica come scienza filosofico-sociologica parte sesta

Il rapporto asimmetrico spiega la natura intrinsecamente conflittuale della politica, conflittualità che in una società si viene componendo secondo un equilibrio dotato di una certa stabilità (tema, questo, eterno della politica) ma che, nello stesso tempo, rimane sempre dinamico, secondo una scala o gradazione di rigidità (per stare al nostro lessico moderno) che va dallo Stato liberale, liberal-costituzionale e liberal-democratico a quello oligarchico, a quello autoritario e, infine, totalitario.

Anzi, si potrebbe dire che il compito paradossale della politica è, a un tempo, quello di comporre e anche quello di produrre la conflittualità, sicché potremmo concludere che “conflitto” e “consenso” sono due facce della stessa medaglia, come lo sono divisione e condivisione.

Trova qui spiegazione la cosiddetta “lotta politica”, non solo tra chi dalla “piazza” cerca di entrare nel “palazzo” ma anche tra coloro che sono all’interno del “palazzo”, cioè tra gli stessi membri delle élites politiche, le quali, a loro volta, sono l’espressione vistosa dell’asimmetria politica stessa.

Da una prospettiva più generale, questa “conflittualità” può essere espressa nel rapporto dialettico tra “società civile” e “società politica” (giacché, come visto, la politica, in quanto rapporto o relazione, dice socialità e perciò società). Poiché il fine di quest’ultima è la composizione del conflitto “sociale”, si può dire, riepilogando, che, da un lato, la politica è chiamata a comporre quel conflitto tra gli individui, che possiamo definire “civile”, dall’altro, essa stessa suscita al suo interno il conflitto o “lotta politica” in senso stretto (caso esemplare è quello della democrazia – in parallelo con lo sviluppo del processo di produzione capitalistico – dove il perenne conflittualismo concorrenziale del mercato viene politicamente tradotto nella dialettica “poliarchico-pluralista”, trovando sbocco nella rappresentanza).

È altrettanto vero che anche il conflitto “civile”, proprio in quanto “conflitto”, è già intrinsecamente e virtualmente politico, pur se in concreto, in quanto “civile” (o sociale), esso può avere radici economiche (la “proprietà”, secondo alcuni classici della politica antichi e moderni; ma anche il “lavoro”, secondo noti classici moderno-contemporanei della politica stessa) o culturali o religiose e così via; più realisticamente, si tratta di compresenza originaria, pur secondo pesi e accentuazioni diversi, di tutte queste fonti o fattori.

La politica cerca di assimilare o metabolizzare questa conflittualità “civile” che, però, spesso ricompare sotto altra forma – per esempio della lotta ideologica – nella vita e nella società politica (si pensi al duro confronto/scontro, nella seconda metà del secolo XX, fra ideologia social-comunista e ideologia liberal-democratica).

Si può concludere sostenendo che la politica, in quanto composizione e regolazione del conflitto (sia “civile” sia intrinseco alla stessa politica), adempia alla finalità ultima della “pace” in senso ampio, inclusiva, cioè, della sicurezza e dell’ordine, col sopravvento su quello “stato di natura” caratterizzato dallo stato endemico di inimicizia di tutti contro tutti, secondo l’intuizione del contrattualismo moderno (Thomas Hobbes; peraltro, non si dimentichi il precedente classico-antico dell’homo homini lupus, quale troviamo, per esempio, in Platone, Leggi, I, 626d: “L’umanità vive in condizioni di guerra pubblica di ogni uomo contro ogni uomo”) ma anche della definizione della politica in base al paradigma “amico-nemico” (Carl Schmitt), anche se, contrariamente all’opinione di Schmitt, non è il nemico che crea l’amico, se non nel senso che l’amicizia (della) politica rappresenta la risposta razionale all’inimicizia. Ma proprio in riferimento alle considerazioni sul rapporto tra potere militare e potere politico, il concetto schmittiano si presta a un ulteriore chiarimento, perché, scavando a fondo, aiuta a esprimere specularmente, al di là delle sue intenzioni, la natura specifica della politica. Il rapporto amico/nemico, infatti, si traduce nella lotta per decidere a chi spetta comandare (il vincitore) e a chi obbedire (il vinto), in poche parole, a chi spetta “decidere” nella ricerca di quelle posizioni dei soggetti del comando/obbedienza che caratterizzano e definiscono la politica.

Prima di proseguire, a proposito dell’asimmetria, sulla fondamentale distinzione fra potere politico (o potere tout court) e potere militare, almeno un accenno va fatto ad altre distinzioni fra questo tipo specifico di disuguaglianza che corre fra governanti e governati e quello, per esempio, fra maestri e discepoli/discenti o, prima ancora, fra genitori e figli.

Negli ultimi due casi si può parlare anche di potere dei primi rispetto ai secondi, ma è chiaro, allora, che qui si usa il termine/ concetto di potere in analogia col potere politico, il quale: a) è munito della coercibilità del diritto, b) ha la finalità primaria dell’ordine sociale, a differenza che nei due esempi precedenti, dove pure, ma sempre per analogia, si parla di “autorità”, quella del “dotto”, e perciò del sapere, e quella del progenitore (al quale spetta il compito di allevare ed educare i figli, garantendone la sopravvivenza, non specificamente la convivenza, fermo restando che anche in quest’ultima il presupposto implicito è la sopravvivenza pacifica e ordinata).


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    CONFLITTO E CONSENSO, DIVISIONE E CONDIVISIONE, PARTE SESTA

    Trova qui spiegazione la cosiddetta “lotta politica”, non solo tra chi dalla “piazza” cerca di entrare nel “palazzo” ma anche tra coloro che sono all’interno del “palazzo”, cioè tra gli stessi membri delle élites politiche, le quali, a loro volta, sono l’espressione vistosa dell’asimmetria politica stessa.



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