L’ALFABETIZZAZIONE ECONOMICO FINANZIARIO
La violenza economica è una forma di abuso in cui una persona esercita potere e controllo su un’altra attraverso il controllo delle risorse economiche, limitandone l’autonomia finanziaria, la libertà di gestione del denaro e la libertà di vivere. Questa violenza è molto sviluppata come violenza di genere e disuguaglianze sociali e culturali, in cui il controllo maschile delle risorse economiche è storicamente prevalente e si traduce in forme di abuso e di vulnerabilità indotta soprattutto nelle donne.
WeWorld, organizzazione non profit italiana, riporta nel report “Ciò che è tuo è mio. Fare i conti con la violenza economica” realizzato con Ipsos come il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita, percentuale che sale al 67% tra le donne divorziate o separate. Più di una donna separata o divorziata su quattro (27%) dichiara di aver subito decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata prima. Eppure, la violenza economica è considerata “molto grave” solo dal 59% dei cittadini.
Che cos’è la violenza economica?
Un tempo considerato come una forma di abuso emotivo o psicologico, oggi la violenza economica è sempre più riconosciuta come un tipo distinto di violenza, caratterizzato da comportamenti e conseguenze peculiari.
Recentemente, con una sentenza della Cassazione del gennaio 2025, la violenza economica è stata riconosciuta come reato a sé stante, evidenziandone la natura premeditata e reiterata.
Per aiuto chiedere, le vittime possono rivolgersi a servizi di supporto come il numero gratuito 1522 anti-violenza e anti-stalking, e a centri specializzati che offrono assistenza legale e psicologica.
L’abuso economico è una forma specifica di violenza economica caratterizzata fra l’altro di privazione e sottrazione delle risorse: può negare l’accesso a risorse necessarie per la vita quotidiana, come soldi per la spesa o cure mediche.
L’abuso economico è profondamente radicato nelle disuguaglianze di genere e nelle norme culturali che attribuiscono tradizionalmente agli uomini il controllo delle risorse economiche. Questa violenza è molto diffusa fra le donne con “analfabetismo economico-finanziario”.
Quindi esiste una stretta relazione fra violenza ed abuso economico nei confronti delle donne e l’alfabetizzazione ed educazione finanziaria non sviluppata e diffusa.
Il contesto dice che fermo restando l’emancipazione femminile e considerando le diverse aree geografiche in cui si manifesta con maggiore o minore intensità la violenza economica verso le donne, la dominante culturale del “mio marito” dice che lui pensa al reddito io alla casa ed ai bambini”, “taci tu non hai niente da dire, sono io a pagare” è un mantra diffuso.
La comunione dei beni come status di maggiore tutela dei diritti delle donne è una scelta calmante.
La libertà domestica è spesso inficiata dalla dipendenza economica dal marito o dal convivente che toglie la libertà economica della donna moglie o convivente.
I dati sulla occupazione femminile esprimono il vulnus della possibile violenza economica; infatti solo il 49,4% delle donne lavorano contro il 67,1% degli uomini (ISTAT 2021).
Un modo per combattere la violenza economica sulle donne è quella dell’intensificare la loro “alfabetizzazione economica finanziaria”.
Essa è un servizio privato che ha esternalità pubblica positiva e sviluppa un asset “inclusivo” per le donne mentre, al contrario, l’analfabetismo comporta un assetto “estrattivo” ed un vulnus del sistema di genere femminile.
L’indipendenza femminile si conquista anche mantenendo una capacità in progress di alfabetizzazione finanziaria.
La prima opposizione all’abuso economico finanziario fu fatta dal premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus, imprenditore sociale, economista e fondatore della Grameen Bank del Bangladesh che sperimenta’ programmi per finanziare piccoli crediti a donne povere, riunite in gruppi solidali (Solidarity Group).
Esse infatti rimanevano escluse dal sistema finanziario tradizionale e per riscattarsi impararono i fondamentali delle operazioni economiche finanziarie e diedero origine al microcredito.
Il “modello Yunus” ha permesso alle donne di fare rete e condividere conoscenze con altre donne nelle loro comunità, il che ha portato ad un aumento del potenziamento della coesione sociale e della gestione finanziaria di base.
L’alfabetizzazione finanziaria si evolve in educazione finanziaria come investimento sociale che genera una fiducia consapevole nel sistema economico.
Essa aumenta la stabilità finanziaria e la fiducia creando lo sviluppo del sistema bancario con ripercussioni positive sulla gestione dei risparmi.
Nello specifico di genere quanto più alta è la quota della popolazione femminile a rischio analfabetismo tanto più si rischia la violenza economica sulle donne.
Le donne che scientificamente decidono in campo economico finanziario si impegnano maggiormente nel sistema di difesa dei propri diritti. In termini diretti si direbbe di aumentare la loro autonomia.
L’EIGE (Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere) afferma che la violenza economica colpisce più che proporzionalmente le donne (2024) ed è un primo passo verso altre forme di violenza di genere.
Inoltre si sono studiati indicatori raggruppabili in:
capacità di acquisizione ed accumulo di risorse, consapevolezza di saper e poter utilizzare tali risorse, possibilità di essere strutturalmente indipendenti sul piano economico finanziario.
E’ necessario sviluppare la domanda di educazione finanziaria femminile (Masciandaro 2025)ed a questo proposito si è creato il marchio FEM come certificazione di sviluppo di questa azione a target femminile e creare un’inclusione finanziaria di genere per la sostenibilità del sistema.
Tutto questo permette di iniziare e far crescere le attività imprenditoriali femminili, aumentare il reddito, l’indipendenza economica e l’autonomia decisionale al femminile.
In questo periodo di “esclusione dell’inclusione” si deve presidiare questa azione educativa.