VERSO LA CIMA DEI MONTI MOTTARONE E SASSO DEL FERRO
Il Mottarone e il monte Sasso del Ferro si guardano dalle due sponde opposte, quella piemontese e quella lombarda del lago Maggiore. Dalle due vette, che sovrastano Stresa e Laveno, si ammira lo stesso paesaggio: la punta di Intra che si protende verso il centro del lago, le montagne aspre e rocciose della Val Grande, quelle lontane della Svizzera che degradano sempre più piccole e sfumate all’orizzonte verso il nord; il golfo Borromeo con le sue isole legate dalle scie spumeggianti dei motoscafi e dei battelli; i paesi delle due coste che, allineati, appaiono simili per i colori tenui delle case che interrompono con tratti rosati il verde variegato delle colline, dei parchi, dei giardini.
Dalla cima del Mottarone, ad una altitudine di 1491 metri, lo sguardo raggiunge il monte Rosa, il lago d’Orta retrostante e, nelle giornate di cielo limpido, anche la pianura che per un centinaio di chilometri accompagna fino all’aeroporto della Malpensa, quindi alla madonnina luccicante al sole del duomo di Milano. Altre scie bianche, quelle che inseguono le rotte aeree tra il capoluogo lombardo e il resto del mondo, si incrociano nel cielo portando il pensiero lontano…
Dalla cima del Sasso del Ferro, la montagna più maestosa e possente (1062 metri di altitudine), si può spaziare con lo sguardo tra sei laghi del Varesotto e della Svizzera retrostanti, mentre, di fronte, si distinguono i campanili delle chiese di Verbania che svettano sopra le case che diradano verso le colline o, sul lungolago, tra la villa Taranto e la limitrofa cittadina di Ghiffa.
I traghetti si incrociano a metà del lago facendo la spola tra Laveno e Verbania che dal 1933 hanno ad essi affidato storie di commercianti, di lavoratori, di studenti, di intellettuali. Ricordiamo il richiamo per i giovani studenti, molti di Laveno, costituito dall’Istituto Tecnico Industriale di Verbania, centro di formazione per i quadri e per le maestranze dell’industria meccanica, chimica, elettronica di entrambe i territori; i legami commerciali di Verbania con il Varesotto e il Milanese favoriti dalle “Ferrovie Nord”; lo storico legame fra lo scrittore di Luino Piero Chiara e il suo editore di Intra, Carlo Alberti, che ne ha riconsciuto il talento e favorito la fama.
Il fascino di queste due montagne, la possibilità di raggiungerne la vetta in modo agevole e non solo attraverso la risalita per sentieri impervi, pericolosi, immersi nella vegetazione spontanea, nel Novecento, in entrambe le comunità, accese il proposito di collegare con un mezzo veloce e sicuro il centro cittadino con la vetta della propria montagna.
In tempi non lontani, inoltre, ma precedenti al surriscaldamento climatico, le cime del Mottarone e del Sasso del Ferro erano coperte di neve da novembre ad aprile. Per entrambe le realtà, l’istallazione di impianti di risalita e di servizi di ristoro e accoglienza potevano rappresentare una notevole risorsa economica costituita dal turismo invernale.
Il progetto di un “trenino” che collegasse il centro di Stresa con la vetta del Mottarone è nato all’inizio del Novecento. La “perla” del lago Maggiore iniziò infatti la sua escalation turistica con la nascita nel 1896 del Grand Hotel des Iles Borromées che ospitò soprattutto ricchi e nobili villeggianti piemontesi e lombardi. Con il traforo del Sempione nel 1906, la stazione ferroviara di Stresa e la sosta del Simplon Orient Express, si incrementò la discesa sul lago Maggiore di intellettuali che emulavano l’antica esperienza del grand Tour degli scrittori d’oltralpe; durante la prima guerra mondiale, trasformato anche in nosocomio, accolse feriti di guerra dal fronte italo-austriaco come il giovane Ernest Hemingway, che vi trascorse dieci giorni di convalescenza e ricche famiglie che cercavano rifugio dai bombardamenti sulle grandi città di Torino e Milano.
Mentre il paesaggio del lago si arricchiva di ville e grandi alberghi, le maestranze di Stresa, diventata via via più famosa e frequentata da visitatori sempre più esigenti, decisero di mettere in funzione un trenino che dalla piazza dell’imbarcadero conducesse alla cima del Mottarone. Il progetto, elaborato dal Conte Ing. Giuseppe Telfener sull’esempio della ferrovia a gremagliera di Vallombrosa, nei pressi di Pontassieve (FI), fu realizzato dal geometra stresiano Tommaso Tadini, sostenuto dalle amministrazioni locali, provinciali, ministeriali; accolto, promosso e sostenuto dalla famiglia Borromeo proprietaria di gran pate delle terre del Mottarone.
La “Ferrovia Stresa-Mottarone”, riclassificata successivamente “tramvia interurbana” venne aperta al pubblico il 12 luglio 1911. Il tracciato della linea, lunga circa dieci chilometri ed a scartamento metrico, partiva da Stresa con un doppio capolinea, dal piazzale dell’imbarcadero della Navigazione Laghi e dal fianco della Stazione ferroviaria delle Ferrovie dello Stato. I due rami si riunivano, poco dopo l’abitato, per continuare la loro salita alla meta con un’alimentazione a corrente continua a 750 Volt e con un doppio sistema, ad aderenza naturale e a grimagliera del tipo Strub. L’intero percorso, effettuato da tre coppie di treni in bassa stagione e da sei coppie in quella alta, veniva effettuato in un’ora e 15 minuti attraverso le stazioni di Alpino, Gignese, Levo.
Se l’attivazione della ferrovia fu un po’ rallentata a causa dello scoppio della prima Guerra Mondiale, successivamente, l’esercizio riuscì a mantenersi positivo attraverso una gestione accorta e attenta sia al traffico locale sia a quello turistico. Durante la Seconda Guerra Mondiale rivestì un ruolo prezioso, perché, non avendo riportato danni rilevanti dagli eventi bellici, fornì un comodo collegamento per i numerosi milanesi e non solo, sfollati e rifugiati sulle pendici del monte.
Chi ricorda i tempi di guerra racconta di fughe a piedi verso l’Alpino e il Mottarore, “saltando” sulle traversine di legno della vecchia ferrovia.
Con l’arrivo degli anni ‘50 e ’60, non a caso durante il boom economico, cominciarono ad sollevarsi lamentele provenienti da più parti, giustificate dal fatto che la ferrovia era antiquata, improduttiva e che avrebbe richiesto una pesante ristrutturazione. Un servizio automobilistico o funiviario – si sosteneva – avrebbero potuto sostituirla. Anche se i governanti locali dell’epoca avrebbero potuto trarre esempio dalla vicina Svizzera sul come rilanciare e gestire una ferrovia turistica, purtroppo la storia non andò diversamente da latri luoghi e così, nel giugno 1963, fu posta la parola “fine” alla Ferrovia “Stresa – Mottarone” e le vetture furono rottamate o vendute.
Il meraviglioso trenino elettrico del Mottarone che interpretava correttamente il concetto di vacanza come opportunità di conoscenza e non di consumo, nonostante fosse stato rimpiazzato con una strada per il Mottarone e attivato un servizio di autobus, con la modernità degli anni Settanta fu soppiantato dalla funivia con le sue ampie campate, con il suo impatto invasivo sul paesaggio. La funivia non ha portato a un incremento del turismo, perché chi vuole fare turismo sul lago Maggiore non cerca la modernità, ma l’esatto contrario; cerca l’atmosfera ovattata e romantica di antichi paesaggi fatti di antiche ville e palazzi dal gusto retrò; il silenzio delle barche dei pescatori; i ritmi delle antiche carrozze; il gusto di scendere con gli sci fra i boschi selvaggi che portano verso il lago. Il moderno concetto di sviluppo turistico non tiene conto della realtà, della tradizione, della diversità. Diversità da difendere, come patrimonio e presupposto della valorizzazione del territorio.
Un’errata idea di turismo di massa, coniugato con la ricerca del profitto a tutti i costi e a qualsiasi prezzo, ha portato alla recente tragedia della funivia del Mottarone, che come non mai ha fatto ripensare con nostalgia al vecchio trenino a grimagliera che era un’esperienza nel cuore del territorio, che viaggiava sicuro fra il silenzio dei boschi e dei piccoli borghi montani.
L’impianto di funivia a fune, o meglio bidonvia, di Laveno Mondello, che collega in quindici minuti il centro della cittadina sulla sponda lombarda alla cima del monte Sasso del Ferro che la sovrasta, ha compiuto il 23 aprile 2023 i suoi sessant’anni di vita. La sua storia non è sempre stata facile, sia, inizialmente, per il reperimento dei terreni, comunali e privati, sia, successivamente, per i costi di manutenzione, di gestione, di ristrutturazione. Ma la sinergia fra le amministrazioni locali e regionali e soprattutto la tenacia della comunità della ridente cittadina, che l’ha sentita parte inscindibile da sé e del suo paesaggio, le hanno garantito un destino ben diverso da quello della grimagliera che conduceva un tempo al Mottarone.
Laveno si raggiunge da Intra con un breve e suggestivo attraversamento del lago con il traghetto, spaziando con lo sguardo tra le pittoresche isole Borromeo, le montagne che si riflettono nell’acqua con i colori che inseguono le diverse stagioni. Mentre si è piacevolmente avvolti dal vento, seduti a prua del battello, Laveno appare sempre più nettamente con il suo lungolago alberato, l’imbarcadero, i bar, le darsene, i porticcioli, le ville. Laveno è incastonata alla base della sua imponente montagna dalla forma possente ed ondulata, ricoperta di boschi che l’accompagnano fino alla vetta. Le cabine verdi che si incrociano, mentre dalla cima spiccano il volo deltaplani e parapendii, creano un paesaggio che contrasta piacevolmente con la serena quiete del lago. Fra turisti giunti da ogni dove, si prende posto nella cabina e si sale godendo di uno spettacolo unico, che fa includere questa esperienza fra i classici tour del lago, affrontati dalla sponda lombarda: Rocca di Angera – Eremo di Santa Caterina del Sasso – isole Borromeo.
Il punto di arrivo della bidonvia è in realtà un’altura della località “Pizzone”, comunemente chiamata “Poggio S. Elsa”. Da qui, con una camminata di circa venti minuti si raggiunge la croce posta sulla vetta.
La cima del monte Sasso del Ferro rappresentò la prima finalità della funivia, quando ne fu ravvisata la possibile vocazione sciistica, in anni in cui questo sport si stava diffondendo grazie al boom economico, a un nuovo turismo di massa, alla maggiore richiesta di attività sportivo-ricreative e di servizi di accoglienza.
Ripercorriamo ora brevemente la storia di questa funivia, tuttora fiore all’occhiello del turismo per la sponda lombarda del Verbano.
Agli inizi degli anni Sessanta, dopo alcuni passaggi di mano tra imprenditori, la società Rossi & Mattioni di Gemonio aprì un piccolo comprensorio turistico sul Sasso del Ferro, composto da una manovia e da una sciovia, che partiva da Poggio Sant’Elsa, dotato di un “cannone delle nevi”.
La realizzazione di una vera e propria stazione sciistica consentì, nel 1974, lo svolgimento dei Giochi della Gioventù a livello provinciale.
Ma già nei primi anni ’80 la stazione sciistica chiuse i battenti a causa delle scarse nevicate dovute alla insufficiente altitudine della montagna, a cui non poteva sopperire adeguatamente neppure il cannone delle nevi.
Questa breve storia è tuttora raccontata dai ruderi della sciovia e della manovia ancora visibili in vetta, dove convivono con le antenne televisive, radiofoniche e di servizio, impiantate fin dagli anni Sessanta.
Quando la funivia incontrò momenti di grave incertezza per i costi di manutenzione, di gestione, di ristrutturazione, la compatta reazione della popolazione, che raccolse migliaia di firme, salvò l’esistenza della cabinovia perché la sentiva parte irrinunciabile del proprio paesaggio e della propria storia. Con le energie del Comune, della Comunità montana della Valcuvia, della Provincia di Varese e della Regione Lombardia la funivia nel 2006 ha visto conclusi i lavori di un nuovo impianto, che, mantenendo le stazioni di base e monte, ha sostituito tutti i piloni portanti e tutte le funi.
Per un miglior impatto con il paesaggio le cabine gialle sono state sostituite da altre di colore verde, leggermente più ampie delle precedenti; ospitano due persone, mentre l’intero impianto ne porta di 284 ogni ora.
Dopo la parentesi sciistica, dal 1975 Laveno Mombello è diventata “Patria Europea del Volo Libero”. D’estate, con il sole, la balconata di Poggio S. Elsa e i prati circostanti diventano un solarium naturale dove assistere al lancio dei deltaplani e parapendii che animano il paesaggio di movimento e di colore. Lungo i sentieri montani, immersi tra i boschi, che dipartono dalla vetta, si possono intraprendere escursioni faticose ma entusiasmanti a piedi o in mountain bike.
Dal 2006 la nuova “Funivia del Lago Maggiore” con i suoi 731 metri di dislivello, con il suo panorama unico e suggestivo a 360° sul territorio Alpino e Prelpino, costituisce la meta ideale per persone di ogni età che vogliono vivere momenti di pace, in contatto con una natura incontaminata e silenziosa.
Rientrando da Laveno a Intra con il traghetto, l’immagine del Mottarone appare di fronte con i colori del tramonto, colori che ben si addicono al ricordo di una mitica grimagliera che parlava della storia di una comunità e del suo territorio, sacrificata per una funivia che ha inseguito fino alla sua tragica fine la logica del profitto.
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