DAI VACCINI ANTI-COVID-19 AI VACCINI ANTICANCRO

MASSIMO LOPEZ

Il ricordo della recente pandemia di COVID-19 è spesso legato ai suoi effetti negativi nella vita di miliardi di persone; alla saturazione delle infrastrutture sanitarie; alla morte seminata dappertutto; allo sconvolgimento dell’economia mondiale e al senso di solitudine e di impotenza suscitato in ognuno di noi. Meno spesso la memoria va all’impegno di centinaia di ricercatori che in ogni parte del pianeta si sono prodigati per mettere a punto un vaccino che, in tempi rapidissimi, ha consentito di avere il controllo di una malattia così funesta da ricordare le più letali pandemie del passato. Un grande numero di persone è così venuto a conoscenza dell’esistenza di vaccini a mRNA e un numero ancor maggiore ne parla liberamente senza forse sapere neppure che cosa in realtà essi sono. Si dà comunque in genere per scontato che siano legati alla prevenzione della COVID-19, senza sapere che in realtà sono stati inizialmente sviluppati per la terapia del cancro.

Com’è noto, i vaccini sono preparazioni che stimolano il sistema immunitario a reagire contro un patogeno invasore (virus, batteri) o contro un tumore e sono comunemente distinti in preventivi (mirano a prevenire un’infezione da virus o batteri o determinati tumori causati da agenti infettivi, come il carcinoma della cervice uterina correlato al virus del papilloma umano) e terapeutici (hanno una funzione curativa, poiché aiutano il sistema immunitario a riconoscere gli antigeni tumorali ed eliminare le cellule neoplastiche). Esistono vari tipi di vaccini, ma la rivoluzione concettuale in medicina è legata allo sviluppo di quelli a mRNA, che hanno avuto il più alto riconoscimento nel Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina conferito nel 2023 a Katalin Karikó e Drew Weissman: i due ricercatori che hanno condotto studi fondamentali al riguardo.

La storia è però iniziata nel secolo scorso, a partire dagli anni 1960. Dopo la scoperta della struttura del DNA (acido deossiribonucleico) nel 1953, era noto che questa lunga molecola conteneva l’informazione genetica per la produzione delle proteine, che però non erano sintetizzate direttamente dai geni nel nucleo della cellula, ma nel citoplasma. Era quindi necessario ammettere l’esistenza di un elemento intermedio che trasportasse l’informazione genetica dal nucleo al citoplasma. François Jacob e Jaques Monod ipotizzarono che questo elemento fosse un RNA (acido ribonucleico) che, per la funzione svolta, denominarono ‘messaggero’ (mRNA). Questo RNA era stato in effetti scoperto nel 1961 da Sidney Brenner, ma nessuno a quel tempo pensava che potesse essere usato come farmaco, sia per la sua instabilità (era rapidamente degradato dall’enzima ribonucleasi) che per l’assenza di mezzi atti a produrre materiale genetico in laboratorio.

Come riportato nella mia opera Medicina e Oncologia. Storia illustrata (Gangemi Editore, 2019-2023), verso la metà degli anni 1960 Alec Bangham scoprì il secondo protagonista di questa storia: i liposomi (vescicole microscopiche costituite da un doppio strato di lipidi). Vari tipi di farmaci possono essere caricati all’interno o nel doppio strato di queste strutture, facilitando in tal modo il loro trasporto nell’organismo. Dovettero però passare molti anni prima che queste due scoperte – dell’mRNA e dei liposomi – convergessero in un unico filone di ricerca.

Nel 1978 alcuni ricercatori avevano usato i liposomi per proteggere e trasportare l’mRNA all’interno di cellule murine e umane al fine di indurre la sintesi di proteine. Altri riuscirono nel 1984 a sintetizzare mRNA biologicamente attivo in laboratorio. A creare le premesse per una svolta decisiva nell’uso dell’mRNA in medicina fu però un esperimento condotto verso la fine del 1987 da Robert Malone (Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, California). Egli preparò una mistura di filamenti di mRNA e goccioline di grasso, vi immerse cellule umane e osservò che assorbivano l’mRNA e lo usavano come stampo per produrre proteine. Capì subito che era possibile “trattare l’RNA come farmaco” e introdusse un’altra innovazione: l’uso di liposomi con carica elettrica positiva (liposomi cationici) che avevano una maggiore capacità di interagire con lo scheletro dell’mRNA carico negativamente. Cercò anche di esplorare l’impiego dell’mRNA per la produzione di vaccini, ma finì per dedicarsi allo sviluppo di quelli a DNA, allora considerati potenzialmente più efficaci.

Per anni la ricerca sui vaccini a mRNA fu abbandonata, poiché si riteneva che l’acido nucleico fosse troppo incline alla degradazione e la sua produzione troppo costosa.

Inizialmente, l’idea di sviluppare vaccini a mRNA trovò un terreno più fertile in oncologia, sebbene con l’intento di curare e non prevenire la malattia. Se l’mRNA codificava proteine espresse dalle cellule neoplastiche, si pensava che, iniettandolo nel corpo, avrebbe indirizzato il sistema immunitario ad attaccarle.

I primi studi nell’uomo, somministrando il vaccino direttamente nel corpo, furono iniziati nel melanoma (2000) con RNA stabilizzato con protamina (una proteina che facilita il passaggio dell’mRNA nella cellula) e dimostrarono che il vaccino stimolava un’efficace risposta immunitaria con effetti collaterali di moderata entità. A dedicarsi per molti anni all’identificazione e caratterizzazione di molecole bersaglio (antigeni) per l’immunoterapia dei tumori, furono soprattutto Ugur Sahin e la moglie Özlem Türeci, immunologi di origine turca. Dopo aver fondato nel 2008 l’azienda biotecnologica BioNTech – con l’obiettivo di scoprire farmaci a base di mRNA – nel 2010 hanno riportato i risultati del primo studio preclinico con vaccino a mRNA nudo, dimostrando che nel topo era in grado di stimolare una potente immunità antitumorale. Nel gennaio 2020 – in seguito alla comparsa della COVID-19 – la BioNTech ha però indirizzato ogni sforzo a produrre, insieme alla Pfizer, un vaccino a mRNA per la prevenzione della pandemia (Comirnaty).

Lo straordinario successo arriso a questo vaccino non può però prescindere dal notevole contributo apportato dalla biochimica di origine ungherese Katalin Karikó – che già dagli anni 1990 si era dedicata allo studio dei liposomi cationici – a rendere più efficiente l’introduzione di materiale genetico (DNA e mRNA) nelle cellule. Nel 1997 aveva iniziato a lavorare con l’immunologo Drew Weissman – alla University of Pennsylvania – per sviluppare un vaccino a mRNA contro l’HIV. Notarono che l’mRNA sintetico usato, somministrato nel topo, scatenava una notevole reazione infiammatoria e, per renderlo più tollerabile, cominciarono a modificare chimicamente la molecola, riportando nel 2005 che la sostituzione dell’uridina (un costituente dell’mRNA) con la pseudouridina (una forma modificata dell’uridina) eliminava la reazione infiammatoria, poiché sopprimeva la capacità dell’RNA di stimolare il sistema immunitario. In altre parole: questo mRNA modificato non veniva più riconosciuto dall’organismo come nemico da eliminare.

Il riconoscimento dell’importanza di questa scoperta non fu immediato. Avvenne solo nel 2010 in seguito alla pubblicazione di uno studio di Derrick Rossi – biologo delle cellule staminali del Boston Children’s Hospital, Massachusetts – che dimostrava come la somministrazione di mRNA sintetici modificati poteva trasformare efficientemente cellule cutanee adulte in cellule staminali, rendendo possibile la realizzazione di un obiettivo a lungo perseguito: le terapie autologhe (riparazione di deficit post-traumatici; malattie varie, tra cui diabete e morbo di Parkinson; alterazioni legate all’invecchiamento). Nello stesso anno, Rossi co-fondò l’azienda biotecnologica ModeRNA Therapeutics – dedicata all’uso di mRNA modificato (come indicato dal suo nome che comprende queste due parole) – oggi a tutti nota per aver sviluppato un altro vaccino efficace (Spikevax) per prevenire la pandemia di COVID-19.

I vaccini anti-COVID prodotti da Moderna e Pfizer-BioNTech usano mRNA modificato, in cui l’uridina è sostituita con la pseudouridina (Figura). Questa modificazione aumenta la stabilità dell’mRNA e ne elimina l’immunogenicità. La sequenza dell’mRNA (al centro del liposoma) codifica la proteina spike del virus, necessaria all’agente etiologico dell’infezione per penetrare nelle cellule. La stessa tecnologia può essere usata per creare vaccini terapeutici a mRNA contro il cancro in tempi relativamente brevi. Concettualmente, basterebbe attivare il sistema immunitario a cercare e distruggere le cellule tumorali anziché il coronavirus. A tal fine, invece di trasportare il codice per identificare il virus, il vaccino (mRNA) dovrà contenere le istruzioni genetiche per gli antigeni tumorali che si trovano sulla superficie delle cellule neoplastiche. Dei vari tipi di antigeni tumorali esistenti, sono preferibili quelli specifici generati dalle progressive mutazioni intercorrenti nelle cellule neoplastiche e per questo noti come neoantigeni. Essendo espressi esclusivamente dalle cellule tumorali, i neoantigeni possono indurre una risposta immunitaria specifica, evitando pertanto di coinvolgere le cellule normali con conseguente possibilità di prevenire effetti collaterali indesiderati. Questi vaccini sonopersonalizzatipoiché sono generati da cellule prelevate dal tumore del malato e

possono codificare anche più di 30 antigeni su una singola molecola di mRNA, in rapporto alle mutazioni presenti nel tumore del singolo paziente. Inoltre, poiché aumentano la sensibilità delle cellule tumorali ai c. d. inibitori dei checkpoint (molecole coinvolte nel controllo dell’attività del sistema immunitario, dotate di attività stimolatoria o inbitoria della risposta immunitaria), sono spesso sperimentati in associazione a questo tipo di farmaci o anche alla chemioterapia.

Le sperimentazioni cliniche in corso con vaccini a mRNA antitumorali sono numerosissime in vari tipi di neoplasie e sono condotte sia nella malattia avanzata che in fase adiuvante (post-operatoria). Alcuni esempi noti sono gli studi: BNT111 (BioNtech) nel melanoma in fase avanzata; BNT122 (BioNtech e Genentech) nell’adenocarcinoma pancreatico resecato; BNT116 (BioNtech) nel carcinoma polmonare in vari stadi; Keynote/mRNA (Moderna e Merck) nel melanoma resecato.

Sebbene i risultati preliminari di alcuni studi siano promettenti, bisogna attendere ancora alcuni anni perché siano disponibili quelli definitivi, necessari per attivare le procedure di autorizzazione all’uso clinico nei pazienti. È di conforto, tuttavia, sapere che i vaccini a mRNA hanno dimostrato di essere ben tollerati; sono di produzione relativamente facile e rapida; possono essere preparati per una grande varietà di neoplasie e rappresentano un approccio terapeutico concettualmente nuovo in grado di far bene sperare per il futuro dei pazienti neoplastici.


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