È assai curiosa la (apparente?) tranquillità con cui tutti noi veniamo vivendo la più stravolgente rivoluzione che ci stia toccando di vivere: vale a dire quella della modificazione profonda del rapporto con il consumo in tutte le sue forme.
Siamo in un’epoca di rivolgimenti tecnologici ed economici che si abbattono su di noi in una sequenza molto più veloce di quanto sia mai precedentemente accaduto.
Alcuni di questi cambiamenti ci stanno già creando gravi problemi sia sul piano ambientale che su quello dei rapporti e delle ingiustizie sociali.
Di conseguenza, ci appaiono più urgenti e talvolta drammatici nelle loro risultanze finali.
Ma essi si riveleranno, alla lunga, meno definitivi dei cambiamenti sul piano del rapporto individuale con le merci di ogni e qualunque genere.
Noi veniamo tutti, al di là delle condizioni geografiche e sociali, da un lunghissimo periodo in cui il rapporto dell’individuo con ogni genere di merci si configurava come scelta all’interno dell’offerta in quel momento a disposizione.
Che si trattasse di cibo, vestiario, di audiovisivo o di qualunque altra cosa ogni persona era abituata a scegliere l’oggetto del suo desiderio all’interno di quel che in un dato momento era a sua disposizione.
Questa disponibilità era, in primo luogo, determinata ovviamente dalle condizioni economiche del singolo che quasi automaticamente escludevano dal suo interessamento quel che non poteva permettersi di comprare e, di conseguenza, di desiderare.
Ma la disponibilità era primariamente determinata anche dalla azione del venditore o comunque di chi operava per mettere a disposizione una determinata merce.
Il negoziante se si trattava di merci fisiche (o la sala cinematografica se si trattava di film) conosceva il suo potenziale bacino di riferimento.
Sulla base di quella valutazione sceglieva cosa proporre e a quali prezzi e condizioni presentarla al possibile consumatore.
Il bravo verduraio sapeva esattamente quanto i suoi potenziali clienti avrebbero potuto pagare gli asparagi e li esponeva sul bancone solo quando erano disponibili ad un prezzo adeguato.
E così pure facevano tutti gli altri distributori e venditori di quella come di tutte le altre merci.
Il punto di vendita e di consumo riceveva anche le lamentele e i dubbi dei clienti.
La insoddisfazione poteva riguardare la qualità della carne venduta come il divertimento offerto da un film in particolare.
L’utente consumatore poteva decidere di cambiare fornitore o di evitare d’ora in poi quel determinato regista o attore.
Questi stati d’animo e queste eventuali decisioni erano parte fondante della competenza del venditore che li usava per continuare ad essere presente sul mercato e combattere i suoi concorrenti nel ramo.
Il quadro si concretizzava nel binomio diritto all’offerta & diritto alla scelta.
Più elevate erano le possibilità economiche più era inevitabilmente estesa la offerta e più si implementava la possibilità di scelta successiva.
In generale si può dire che il punto di incrocio di questi due elementi definiva l’ambito sociale delle persone e che, almeno tendenzialmente, chi non poteva permettersi di far fronte a un investimento evitava di sottoporsi a una dolorosa quanto inutile possibilità di scelta.
Nell’insieme tutta la società nelle sue stratificazioni condivideva il principio per cui il diritto alla scelta era comunque applicato a un ambito che veniva definito a priori anche in presenza di una dilatazione dell’offerta.
L’esempio più chiaro di questa logica sta all’interno del rapporto con il medium televisivo.
Poteva essere più o meno importante il modello di televisore di cui disponeva, ma la scelta su cosa vedere era comunque determinata dalla offerta contemporanea di un certo numero di canali, i cui palinsesti si inseguivano l’un l’altro.
La prima domanda era “cosa danno oggi?” cui seguiva la decisione “cosa guardiamo”.
La scelta, appunto.
Oggi, però, siamo in presenza di un sistema completamente diverso.
Il consumatore, di qualunque cosa egli sia avido, viene portato ad accedere a una realtà puramente comunicativa che ospita e presenta tutto come effettivamente disponibile.
Le piattaforme di vendita non scelgono un target di riferimento e, di conseguenza, questo o quel prodotto.
E, d’altra parte, chi accede In Rete non teme che qualcuno guardi con imbarazzo le sue scarpe o che consideri negativamente l’incompetenza dei suoi giudizi come la inconsistenza delle sue aspettative.
Tutto viene offerto come se fosse effettivamente a disposizione di ognuno.
Solo alla fine si vedrà se può pagare o meno.
Non si entra in Rete un poco intimiditi come in un negozio di lusso.
Non si temono le occhiatacce della moglie o i commenti tipo “ma sei proprio sicuro”?
Il mondo appare completamente a disposizione.
E del resto, se abbiamo accettato di vivere in un mondo apparentemente sempre più virtuale perché non dovremmo anche pensare che un rapporto non fisico con un certo oggetto possa darci piacere e ci possa risultare gradevole?
È stato brutalmente abolito il limite di carattere fisico che prima limitava l’offerta di alcune categorie merceologiche e ora tutto appare raggiungibile.
Il diritto all’accesso ha sostituito di scelta (o anche di non scelta).
Sembrerebbe una grande rivoluzione democratica, ma è esattamente il contrario.
Con il suo accesso in Rete il nostro felice protagonista ha immediatamente iniziato a collaborare gratuitamente con la piattaforma che gli offre il nuovo giocattolo.
Ogni suo spostamento, ogni domanda e ogni commento viene acquisito e messo in rapporto con milioni di altri.
Il tuo pescivendolo sa da sempre che apprezzi molto i polipi e ti segnala cortesemente quando sono belli freschi, ancora vivi.
La piattaforma, se ce ne fosse una che vende il pesce, non soltanto saprebbe questo, ma soprattutto sarebbe in grado di collegare questa tua predisposizione con quelle di milion di altre persone.
A quel punto potrebbe vendere in tempo reale quel dato ai pescherecci che affrontano il mare.
Ma, per fortuna, ancora non sembra che ci siano piattaforme che si dedicano al commercio ittico.
Offrono e vendono praticamente tutto il resto.
Accumulano in un unico immenso contenitore gli atteggiamenti e i dubbi di milioni di persone.
Questo immenso “valore” era prima suddiviso tra molte migliaia di operatori ognuno dei quali ne controllava una parte che serviva a garantire ed accrescere il suo framemnto di mercato.
Lo scambio che, pur non dichiarato, avveniva con il cliente era “tu comunicami di cosa hai bisogno e io cercherò di darti il miglior prodotto possibile, all’interno dei tuoi parametri di spesa”.
Su questa base si articolava un rapporto umano, che poteva andare più o meno bene.
Di tutto ciò non resta quasi più nulla.
La piattaforma, qualunque essa sia, non ricava il suo profitto da una percentuale sul successo del singolo prodotto ma bensì sulla vendita delle informazioni che ognuno di noi fornisce costantemente anche quando in apparenza non sta cercando nulla da comprare.
È il parallelo a quanto avviene nel campo dell’economia finanziarizzata, dove il profitto non si genera più dalla produzione di merci fisiche, ma dalla vendita di quote di capitale ad altri investitori.
Nel III Libro di “Il Capitale” Karl Marx previde, come in un incubo, quello che poi sarebbe avvenuto:
“Come per gli alberi il crescere, così al capitale monetario il produrre denaro appare in questa forma una proprietà naturale.”
Ma di questo, se si vorrà, un’altra volta.
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