Innanzitutto cos’è la vecchiaia o quella che intendiamo come tale? Con questo termine, o con altri similari quali senili tà o terza età intendiamo quel periodo çhe precede prospetticamente il termi-
-,,ne della vita media degli esseri umani, l’ultima parte del ciclo vitale, quello nel quale il corpo si indebolisce, e nel quale avviene normalmente l’interruzione del meccanismo lavorativo. In generale il termine vecchiaia indica l’età nella quale compaiono i primi segni di una debilita zione progressiva delle funzioni fisiche e intellettive dell’individuo, ed è pertanto un concetto relativo in quanto delimita to, individuato, da fattori esterni che ne compongono la sostanza.Detto diversa mente, sono le circostanze esterne qua li salute e decadimento, che designano con precisione lo stato di senilità, anche se è più semplice collocare in ogni caso
.. tra i 65 e i 70 anni l’ingresso nella terza
età al giorno d’oggi. Possiamo pertanto cominciare a identificare lo stato di seni lità con alcuni elementi:
A) avvicinarsi del termine della vita
B) abbandono dell’attività lavorativa
C) decadimento fisico
Li esaminiamo di seguito singolarmente e dopo nelle loro connessioni.
TERMINE DELLA VITA
La nostra esistenza è una parabola, non una linea retta. Sappiamo, non subito dopo la nascita ma non appena in gra do di ragionare, che la vita ha vari stadi, e la prova, la prima, è che abbiamo dei
genitori che palesemente sono diversi da noi, in quanto gestiscono le nostre gior nate e la nostra sopravvivenza e hanno tratti fisici diversi, sono più alti, più forti, più definiti. Con grande progressione ap prendiamo così che esistono padri e figli, che i padri sono in vita prima e si dannò da fare per avere figli che arrivano dopo, e poi comprendiamo che possono esser ci fratelli minori che sono nati dopo di noi. Si crea pertanto il tempo esistenziale, mentre il termine del tempo, la morte, la fine della parabola, arriva a concretiz zarsi nella mente molto tempo dopo, di solito con la morte del nonno, che è la prima persona che normalmente vedia mo scomparire dalla terra.
Ora, che i nonni debbano morire, prima o poi, lo sentiamo dire spesso, mentre nessuno ci dice che anche noi moriremo, e il pensiero che vecchio voglia dire “non gli rimane molto da vivere” comincia ad alloggiare nella nostra testa.
Per fortuna il cervello, in costante ade guamento anche fisico, costruisce difese e barriere ai pensieri di morte, distraen doci tramite il lavoro delle endorfine e della dopamina, con altri pensieri e so prattutto con bisogni e desideri che han no la primaria conseguenza di tenerci occupati, nel bene o nel male.
Pascal, il grande filosofo nato nel 1623 e morto a soli 39 anni, parlando della cac cia, accusava coloro che la detestavano di non capire come fosse un diversivo molto utile per non cadere nel pensiero dell’estinzione. Pascal usava il termine divertissement per intendere l’allontana mento degli interrogativi e delle angosce esistenziali per mezzo delle occupazioni e delle distrazioni sociali.
Termine della vita, morte, è una ipotesi che appare traumatica ed è per questo che alcuni grandi pensatori hanno cer cato di smontarne i presupposti, di can cellarne il concetto: soprattutto Epicuro entrò con la sua spada affilata nell’ argo mento con una frase che è rimasta nella storia “quando ci siamo noi la morte non c’è e quando c’è la morte non ci siamo noi”. Nello stesso senso Wittgenstein ….”la morte non è un evento della vita, non si vive la morte”.
Sartre si mise su questa linea scrivendo “la morte è un puro fatto, come la nasci ta; essa viene a noi dall’esterno e ci tra sforma in esteriorità”.
Kant considerò che noi siamo fatti in modo tale da dover collocare tutto come se fosse situato in un tempo e in uno spazio.
Del rapporto tra corpo e morte ci occupe remo più avanti. Torniamo al nostro per corso dopo aver registrato pertanto che il tempo per Kant era un’intuizione pura. La morte del nonno, o per non vittimizzare troppo il nostro parente, della bisnonna o di una persona vicina ci mettono improvvisamente di fronte ad una realtà prima sconosciuta e che in qualche modo dob biamo affrontare, come tutte le esperien ze dell’esistenza.
(Eppure un breve ma significativo assaggio della morte lo sperimentiamo ogni notte andando a dormire: buio, silenzio, i sensi privi di reazione, abbandonati in una catalessi assoluta. lo ho avuto un infarto a cinquant’anni mentre dormivo, verso le 5 di mattina. Se non mi fossi svegliato sarei passato direttamente dalla vita al nulla).
In quei momenti di passaggio, come in altri significativi, spesso ci viene incontro la religione, che se ha un motivo di esi stere è quello di dare spiegazioni, con forto, soluzioni. Non è un caso se proprio tra gli 11 ed i 14 anni molti bambini, fu così anche per Einstein per citarne uno famoso, vivono crisi mistiche che li por tano a pregare, a confessarsi, a medita re sul mondo e sull’aldilà, ed ecco come il pensiero religioso tenta di trasformare la morte, diversamente dai filosofi citati, in qualcosa di funzionale, di intimamente connesso con la vita.
Ritorna prepotentemente, ma trasforma to nella sostanza, il pensiero di Plato ne, la separazione dell’anima dal corpo, come se il corpo fosse un peso, un’anco ra che ci impedisce di navigare.
Plotino, nato nel 204 e morto nel 270 d.c., fondatore del neoplatonismo, l’ulti mo dei grandi filosofi antichi, esprimeva questo concetto: se la vita e l’anima esi stono dopo la morte, la morte è un bene per l’anima perché essa esercita meglio la sua attività senza il corpo.
Molto tempo dopo, Schopenhauer, filo sofo pessimista sulle sorti dell’uomo e
sedotto dalle religioni orientali, dipinge va questo quadro mentale: “… la morte è come il tramonto del sole che corrispon de al levarsi del sole in un altro posto…” Tra i grandi pensatori ci fu anche chi con cepì la morte come uno spegnimento o una involuzione: così Leibniz scienziato tedesco nato nel 1646, che non voleva contaminare il suo principio, divenuto
famoso, che quello nel quale viviamo è il migliore dei mondi possibile, ma solo inserire la morte nei normali accadimenti; un po’ come, con maggiore complessità, fece Hegel, nato nel 1770, creatore dell’idealismo tedesco, che considerava la morte come inevitabile per l’impossibi lità della vita di adeguarsi all’universale, una specie di destino.
Veniamo a contatto, dicevamo prima di descrivere i pensieri dei grandi filosofi, con una realtà sconosciuta, e la possibi lità di poter morire, lontana dalle attitudini giovanili, prende piede nella nostra men te in età avanzata per restarvi in modo sempre più simboleggiato, per sempre.
ABBANDONO DELL’ATTIVITÀ LAVORATIVA
L’avvicinarsi del termine della vita, e il calcolo di quanto ognuno di noi abbia lavorato, porta come conseguenza che alla senilità si accompagni la cessazione delle attività svolte negli anni precedenti, una specie di vacanza necessaria e ob bligatoria in quanto rispettosa del deca dimento fisico (e della conseguente pro pensione all’affaticamento) e del tempo già trascorso negli impegni sociali.
Molto tempo addietro, torniamo al sei cento e settecento, il lavoro era consi derato una prerogativa delle categorie povere, mentre i ricchi proprietari terrieri ragionavano automaticamente in funzio ne delle rendite e delle gabelle.
Fu il filosofo John Locke per primo a con siderare il lavoro come propedeutico al diritto di proprietà.
Ed è proprio la società che, nell’evoluzio ne dei costumi e con la creazione degli ammortizzatori, ha dato origine a questa frattura tra vita attiva e vita teoricamen te inattiva, ma ugualmente remunerata tramite quelle sostanze che ognuno ha, o dovrebbe aver, accantonato negli anni precedenti e che lo Stato o qualcunal tro, si è premurato di conservare. Un po’ come fanno le formichine.
La persona anziana, pertanto, di media, non lavora, si occupa della famiglia o di attività più adatte alla sua debolezza e si mette in un certo senso in panchina come supporto a chi è ancora in età per poter lavorare duramente.
Per colorare questa inattività di tinte vi vaci si è soliti ammantarla di concetti im portanti, quali esperienza, maturità, equi librio e tali elementi entrano a far parte della dinamica senile indipendentemente dalla loro esistenza, si presuppongono. La saggezza degli anziani non è la cono scenza di cose alte e sublimi, ma delle faccende umane e del miglior modo di condurle, un qualcosa di minor pregio e come tale a portata di molti, un abito pra tico e razionale per distinguere ciò che è bene e ciò che è male per l’uomo.
Per questo fu esaltata da Epicuro e dagli stoici, e più tardi da s. Tommaso, fino alla consacrazione che ne fece Shopenhau er che la definì l’arte di trascorrere la vita nel modo più piacevole possibile. Un bel modo questo di attribuire alla persona anziana la responsabilità di dirigere la prua verso lidi felici e ospitali!
L’anziano saggio è ovviamente uno ste reotipo, e mentre la società contadina di un tempo, nelle sue maglie, contempla va con una certa facilità il vecchio con la sua esperienza di zolle, di animali, di meteorologia, bisogna riconoscere che la attuale società della prestazione e del la tecnica non consente con la stessa frequenza l’inserimento degli anziani nel tessuto quotidiano, nonostante la loro ca pacità fisica e mentale sia notevolmente aumentata grazie alle medicine.
Per questo motivo la senilità oggi non è più portatrice di serenità, in quanto per la realizzazione di quest’ultima è necessa rio che un insieme di fattori concorrano allo stesso risultato, come vedremo.
Si è e si sta verificando un fenomeno che chiamo di “frantumazione” della funzione dell’uomo anziano, il quale talvolta, in casi limitati, mantiene le proprie posizioni a oltranza impedendo ai giovani di suc cedere e di innovare, e spesso è talmen te lontano dalla tecnica e dalle novità da non poter servire a nulla.
Pertanto abbiamo oggi anziani baroni, manager, presidenti, disperatamente attaccati alla poltrona e soprattutto a quel lo che la poltrona consente loro, potere, forme finali di erotismo, donne, denaro, rarissimamente cultura, e anziani emar ginati che vagano con pensioni mode stissime tra un giardinetto e qualche pa rente.
SE(in Italia la logica del “me too” aves se presa, molti potenti anziani sarebbero coinvolti e denunciati, mentre i vecchietti poveri hanno come riferimento esclusi vamente il medico di base e la Caritas. In ognuno dei due casi la funzione dell’età avanzata non comporta alcuna utilità per l’ambiente, ma solo un appesantimento delle logiche, la frustrazione della merito crazia e il decadimento dell’etica.
DECADIMENTO FISICO
Terzo elemento, dicevamo, è il decadi mento fisico che teoricamente avremmo dovuto esaminare per primo, ma che oggi non rappresenta più il “puntum dolens” della situazione, visti i progressi della scienza.
Vedremo nei capitoli successivi come si manifesta, con quale lentezza e con qua li conseguenze. La resistenza alle insidie del tempo che passa è diventata un ar gomento di costante attualità.
Tutto il mondo commerciale, in particola re quello estetico salutistico e lavorativo, ha compreso che la lotta alla vecchiaia è portatrice di enormi interessi e che l’ar gomento fa parte di quelli primari come l’alimentazione , la salute, i trasporti.
Se i giovani sono in misura minore degli anziani è perché nascono meno bambini ,e muoiono meno anziani, e la popolazione assume così un aspetto prevalentemente maturo.
L’invecchiamento della società è visto in generale come un grave handicap, come un limite allo sviluppo, anche se gli an ziani, quei pochi capaci di grandi pensie ri, ancora costituiscono un motore vitale della terra: la società ormai è strutturata per fasce di reddito e il vecchio in gene rale è un peso economico in quanto co sta di pensioni, di medicine, di assisten za e non produce nulla in cambio.
Gli ospedali sono pieni di anziani nullafacenti che sopravvivono, quasi sempre, a carico dello Stato assistenziale e sono in numero molto maggiore degli anziani ricchi che popolano alberghi di lusso, terme e ristoranti. Tutto questo va inserito in una cornice molto solida rappresentata dalla rapidissima evoluzione dei costumi.
SEGNALIAMO
Commenti
Una risposta a “DE SENECTUTE”
Assolutamente interessante. Attendo il seguito