“DEFORMAZIONI DEMOCRATICHE” E “OMBRE RUSSE”

sul voto regionale tedesco dell’est che incrinano l’integrazione post 1989 ma da dove far ripartire la ricostruzione della democrazia come continuo incontro tra Occidente e Oriente con una Europa Federale asse portante.

1 – Sgretolazione dell’ordine internazionale e bi-polarizzazione/bi-populista nelle regioni dell’est

La sgretolazione dell’ordine internazionale avanza anche in Germania nella “convergenza” bi-populista tra estrema destra dell’ AfD in Turingia e Sassonia e di estrema sinistra populista di BSW limitando ulteriormente il peso di socialisti della SPD e dei Liberali con la CDU che regge e dovrà governare alleandosi probabilmente con la Linke (i verdi tedeschi) e i vecchi partiti e che tuttavia potrebbe non bastare e dunque cercando un accordo con la “ondivaga” BSW di Sahra Wagenknecht. Dato che la AfD non sembra tanto intenzionata a governare (perché dovrebbe farlo da sola e senza i numeri necessari) ma affermare una identità in attesa del “caos”?

Che ricordiamoci ci riporta alla scelta del vecchio Hindenburg nel 1933 pur titubante di nominare Cancelliere Hitler. Anche se i richiami al Terzo Reich rimangono limitati (per ora) in piccole minoranze dell’AfD.

Il fatto nuovo è la bi-polarizzazione bi-populista incardinate nell’anti-immigrazione ( e in un filo-putinismo strisciante di destra e di sinistra) è penetrata dunque ormai anche in Germania dopo il caso Italiano e Francese oltre che americano unendo odio razziale, identità e radicamento territoriale percepito come minaccia delle classi medie e popolari verso una annunciata “sostituzione etnica” sul confine della Cechia e a pochi km da Praga. Un processo accelerato dall’invasione dell’Ucraina e che ha visto la Germania soccombere economicamente dopo la caduta delle forniture energetiche del gas russo e che la spinge verso una recessione che sembra coinvolgere l’intera Europa e l’Italia in particolare connessa alla manifattura e all’ automotive minacciato dall’elettrico cinese.

Settori messi sotto pressione dall’avanzata dei prodotti di Pechino e dell’auto elettrica che stanno invadendo i mercati sia europei che americani e che stanno scatenando “guerre dei dazi” che non sono certamente la soluzione essendo misure a doppio taglio. Va tuttavia segnalata una grande partecipazione al voto oltre il 75% e questo è un buon segnale di un “risveglio civico” con i popoli che vogliono tornare a decidere del loro futuro. Ciò che forse preoccupa di più delle parole d’ordine dell’AfD è invece la DEXIT ossia l’uscita della Germania dall’Europa anche se la sua economia rappresenta circa il 30% dell’export europeo.

2 – Cause profonde e propaganda putinista

Ma venendo alle cause profonde di questo scenario tedesco-europeo è evidente che queste regioni della Germania dell’est escono deluse dal processo di riunificazione post 1989 (Caduta del Muro di Berlino) che le avrebbe “penalizzate”, economicamente e socialmente e dunque alimentando un rifiuto e un rancore diffuso contro le elite Berlinesi europeiste e certo contro l’Europa. Anche se la Germania ha rappresentato il motore (se non il cuore pulsante) di 70 anni di benessere e di pacificazione del complesso processo di allargamento dell’Unione Europea almeno fino al 2022.

Ma ciò che non si coglie a fondo è che in primo luogo nelle regioni a est di immigrazione c’è scarsa traccia e in secondo luogo il tasso di crescita dei Lander orientali è stato particolarmente robusto e dove non vi sono nostalgie della vecchia e cupa Ddr dopo 34 anni. Anche se i salari – va detto – rimangono differenziati rispetto all’Ovest e così le dotazioni patrimoniali e infrastrutturali nonostante il fiume di miliardi spesi nella ex-Ddr e che colpiscono soprattutto i giovani e che non temono di schierarsi all’estrema destra. Perchè certo 30 anni non bastano a cancellare sofferenza e dolore di ciò che aveva rappresentato la casa armata della Ddr di Honecker sotto il feroce “ombrello russo”. Dunque potremmo dire che probabilmente non ha funzionato fino in fondo la chimica “culturale, sociale e spirituale” di quella pur necessaria unificazione voluta da Helmut Khol con i tedeschi dell’est che continuano a considerarsi di serie B?

Un malessere diffuso certo al quale non è estranea la propaganda putinista via social e che trova sostegno paradossalmente sia nell’estrema destra di Bjorn Hocke (AfD) che all’estrema sinistra di Sahra Wagenknecht (BSW) che peraltro apre la Germania – per la prima volta – a partiti personali. Dunque crisi dei partiti tradizionali che da 70 anni guidano la politica, sentimenti di marginalizzazione, fumus/humus putinista diffuso da social intrusivi aggressivi, con crisi economica-energetica e guerre a est con il dirigismo burocratico europeista percepito come inefficiente e ingiusto, sembrano rappresentare il mix esplosivo di questo esito del voto regionale tedesco e di caduta radicale della fiducia nei partiti tradizionali e di polarizzazione (soprattutto tra i giovani nati dopo l’89) che certo avrà effetti squilibranti a Berlino come a Bruxelles se non cambiando leadership e culture politiche sia della SPD che dei Liberali o della Linke e con cambi radicali di comunicazione, interazione e dialogo sui bisogni essenziali. Perché è chiaro che l’anno prossimo entreranno al Bundestag.

Colpisce la buona tenuta della CDU della Turingia e Sassonia che con difficoltà ha provato ad “inseguire” l’estrema destra xenofoba seppure ad un prezzo alto che solo nei prossimi mesi vedremo se e quanto “distorsivo” dei codici democratici come li abbiamo conosciuti nel tentativo di “rincorsa” di parole d’ordine finora estranee alla cultura occidentale dei cristiano-democratici che purtuttavia rimangono per ora ago della bilancia di un governo possibile e credibile a livello regionale. Quanto stabile lo vedremo nei prossimi mesi o settimane già nella formazione della emergente nuova Commissione Ursula.

3 – Quale Occidente esce dal voto regionale delle regioni dell’est ?

Quel che tuttavia sembra configurarsi di fronte alla crisi della democrazia americana o dell’attuale fragilità di quella euro-tedesca e che dovremmo indagare a fondo con il filosofo Sebastiamo Maffettone è se siamo di fronte al” tramonto del clima consensualista” che sembrava dovere condurre alla convergenza “necessitata” (o deterministica?) verso ciò che le avanguardie dell’Occidente avevano indicato di pace, benessere e diritti, almeno in un mondo “chiuso” (la Triade di Ohmae – USA, UE, Giappone, Canada) come quello emerso dalle due guerre mondiali e fino alla caduta del Muro di Berlino del 1989. Fuori dall’Occidente sembra ora configurarsi una “alternativa conflittualista” che è anche anti-occidentale e forse anche anti-moderna? Una alternativa che rappresenta l’uomo occidentale come avido, egoista, privo di valori umanistici, senza ideali e guidato esclusivamente dalla bramosia di denaro e profitto. Insomma, quell’uomo auto-interessato e (apparentemente) guidato da razionalità strumentale (dominio della tecnica) e guidato dall’istituzione che meglio ne regola le pulsioni all’arricchimento ossia il mercato e che è “protetto” da una formazione culturale egemonica di tipo giudaico-cristiana. Rappresentazione – che seppur parziale – è alla base del neoliberismo insegnato in tutte le business school occidentali da almeno 120 anni. Ora scivolata in una critica anti-occidentale , anti-razionalista e anti-modernista che – paradossalmente – trova tuttavia origini proprio nel pensiero occidentale come nell’”esistenzialismo tedesco” o nel “post-strutturalismo francese” e che trova tessuto connettivo nelle recenti proteste dei movimenti culturali diffusi in molte università su entrambe le sponde dell’ Atlantico travestite spesso anche da antiebraismo e antisemitismo di fronte alla tragedia di Gaza e nonostante il pogrom del 7 ottobre che non sembra trovare fine. Ma presenti negli stessi movimenti anti-governativi tra la popolazione israeliana di questi ultimi mesi e settimane e che sembrano portare alla “destabilizzazione” del Governo Netaniahu incapace di trovare soluzioni con il ritorno degli ostaggi se non in una ” guerra estrema” senza sbocchi e che pone in alta tensione i rapporti proprio con il “Grande Protettore” USA (fornitore primario di armi e storico partner strategico) che sponsorizza il Piano 2S2P (due stati due popoli garantiti da un perimetro di potenze regionali “ volonterose e responsabili”) ma rifiutato sia da Netaniahu che da Hamas in una paradossale “convergenza”. Da qui siamo al bordo del caos sul quale sembrano tragicamente danzare molteplici fattori di destabilizzazione globale e che oscurano tutti gli spiragli di soluzione soprattutto da parte delle nuove oligarchie imperiali (Russia, Iran, Yemen, Corea del Nord, Cina) tese a diventare eterarchie integrate anti-occidentali con lo scopo di auto-sostenersi e auto-confermarsi come macchine autoreferenziali alla ricerca di quella supremazia anti-occidentale finora sfuggita anche costruendo improbabili monete di scambio altamente non credibili come i bitcoin o una moneta partorita dai Brics che mai vedrà la luce per la totale assenza di fiducia globale verso i paesi sponsor, differenziati e in conflitto.

4 – Le politiche europee per ripartire nella ricostruzione di una democrazia attiva e partecipata

È chiaro che si richiede urgentemente alla nuova commissione europea di invertire la rotta di fronte a tali minacce all’Occidente e alla sua constituency con quella repentina caduta della sua fiducia storica e relativo declino della democrazia europea con una forte sterzata perché quella pace e benessere prodotto in 70 anni non basta più e va urgentemente rinnovato con un nuovo Patto Sociale connettendo il New Green Deal con un New Industrial Deal lungo le linee tracciate dal Rapporto Draghi sulla Competitività per la Commissione. In particolare, con una maggiore integrazione del mercato unico europeo per liberare le sue enormi potenzialità di concorrenza verso Cina e USA oltre all’India e in generale dei Brics (nei quali ha chiesto di entrare anche la Turchia), per recuperare efficienza, dinamismo, capacità innovativa ed equità e dunque credibilità in particolare nei campi della finanza, dell’energia, delle TLC e della difesa, allineando / omogeneizzando peraltro quanto avviene nella fiscalità, nei diritti commerciali e avviando una robusta sburocratizzazione che unisca i troppo frammentati 27 staterelli dell’Unione con un 28esimo come nel Rapporto Letta sul Mercato Unico presentato alla Commissione nelle settimane scorse. Traiettoria utile a valorizzare un eco-sistema industriale continentale composto da oltre il 95% di PMI che domandano maggiore flessibilità, adattabilità e velocità per cogliere le opportunità di digitalizzazione e sostenibilità necessarie ad accelerare l’integrazione avanzata del Mercato Unico e i suoi potenziali rinnovando il modello sociale europeo anche con campioni continentali in vari settori (dal biotech, all’agroindustria, al farmaceutico, alla componentistica auto, alle terre rare, all’AI, fino ai social). Visto che solo il 17% di queste PMI usa il Mercato Unico sottovalutando i potenziali della crescita reticolare che si impongono per agire nei mercati globali e non usufruendo di quei campioni nazionali che invece sono in dotazione ai concorrenti extra-europei. Infatti è da circa 25 anni che il PIL pro-capite UE è stato inferiore del 30% a quello USA spiegato al 70% da scarsa produttività dovuta a deboli investimenti tecnologici, privati e pubblici oltre che di reti infrastrutturali in R&D a livello UE. Per rinforzare con il recupero di innovazione e produttività quel sostanziale “sovranismo europeo” finora mancato e frenato da 27 sovranismi inefficienti e stentorei e che sono tentati di legare le proprie debolezze individuali alle nuove oligarchie anti-occidentali e che vanno invece spezzate con politiche industriali ed economiche credibili, sostenibili e condivise con flessibilità fiscale. Di fatto reinventando quell’Occidente Transatlantico per ricostruire quelle forze liberali e socialdemocratiche capaci di ridisegnare il Modello Sociale Europeo acconcio ad un mondo multilaterale e multicentrico quale barriera democratica alle forze illiberali e distruttive che avanzano nei diversi continenti e strisciano nei gangli delle stesse forze liberali spesso con mezzi illeciti e illegali travestite da “fascinazioni” anti e post-coloniali ma con un Putin – per esempio – che da revisionista radicale vuole ripristinare con la forza bruta delle armi territori e aree di influenza dell’URSS dissolta nel 1991 cancellando la storia degli ultimi 30 anni. Riesplorando illusoriamente quello spazio inesistente tra un non-Occidente e un non-Oriente dove collocare la Russia post imperiale entro una faglia immobile tra un’alba non conclusa e un tramonto mai sorto di un Oriente non finito e un Occidente non cominciato.

Una “pura illusione” direbbe Franco Cassano, perché l’Ovest come fucina della libertà e dei diritti (individuali e collettivi) è li a scandire il tempo e lo spazio di un individuo che esplora nell’esperienza la costruzione del Mondo Nuovo e della post-modernità e l’Oriente scandisce invece la costruzione dei contesti e della coesione necessaria a muovere le greggi oltre i confini dell’Io singolo immerso nel Tutto e del quale quell’Io ha bisogno per crescere e guardare l’orizzonte e l’infinito dove da solo non può sopravvivere. Contesti d’Oriente che necessitano tuttavia di costituzioni e diritti, di libertà di uomini e donne. E’ nell’incontro tra questi due estremi che cerchiamo da secoli pace e innovazione nella libertà, come unione tra un Individuo Libero e il Tutto, tra il Sé e l’Altro senza assimilazione ma in un dialogo e conflitto continui.

Dunque Putin cerca uno “spazio vuoto” che non c’è e che serve solo a se stesso e alla sua oligarchia ( di un centinaio di soggetti che controllano il 98% dell’economia russa) e per questo va combattuto contribuendo alla difesa dell’Ucraina con i mezzi leciti disponibili, costruendo l’autonomia energetica e l’indipendenza della difesa e commerciale (re-internalizzando filiere delocalizzate nell’automotive e nel biotech come nel digitale e AI), quali leve di un industrial new deal europeista da accoppiare al green new deal di contrasto a tutti i nazionalismi economici e sociali.


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