Una scena americana
Quattordici/A Hermes Storie di geopolitica – Mondo
Guido Barlozzetti
Conduttore televisivo, critico cinematografico, esperto dei media e scrittore
Una scena americana. Guido Barlozzetti cerca di inquadrare una scena già vista tante volte nell’immaginario degli Stati Uniti, un déjà vu per nulla banale ma che si ripropone regolarmente in un Paese dove si usano troppo facilmente le armi non solo nel film Western. L’attentato fallito a Trump conclude forse un film iniziato con l’assalto al Campidoglio prima dell’incoronazione alla Convention repubblicana dell’ex presidente oggi sfidante.
16 luglio 2024
È una scena americana quella che continuiamo a vedere sull’attentato che poteva essere mortale a Donald Trump. È americana perché sta tutta dentro l’immaginario che abbiamo dell’America e che il cinema e le cronache hanno alimentato in questi decenni.
Butler, Pennsylvania, una delle tappe del tour elettorale di Donald Trump candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, una campagna tesa come non mai, con il paradosso di un presidente uscente che fa venire dubbi sulla sua integrità mentale e un antagonista, già Presidente, pronto se serve a lanciare l’assalto a Capitol Hill.
Trump sta parlando avendo un leggio davanti, per chi lo guarda una scritta con il suo nome in maiuscolo e sotto lo slogan storico “Make America Great Again!”. Ha una giacca blu scuro, la camicia bianca con il colletto slacciato e un cappellino rosso che ripete lo slogan, come quelli dei tanti che sono alle sue spalle, è circondato infatti dai fans che espongono cartelli ironici sul competitor, “Joe Biden, You’re fired!”.
Neanche il tempo di udire due colpi, Trump si porta la mano all’orecchio destro e vede il sangue, si abbassa per ripararsi sotto il leggio, mentre irrompono le guardie del corpo e si gettano su di lui, sullo sfondo la gente ondeggia, si guarda intorno, non capisce cosa stia succedendo, urla, risuonano altri spari, qualcuno riprende tutto con il telefonino, entrano in scena dei militari, alcuni vestiti di nero con il mitra, anche loro non sanno bene cosa fare, altri in mimetica, e intanto nel frastuono si sentono gli agenti della sorveglianza che si stanno preparando a portare via l’ex presidente ferito, fino a che si tirano su, una corona che fa un muro precario intorno a Trump che mostra il pugno, saluta, urla “Fight, fight, fight!”. L’Eroe non si arrende, davanti ai suoi, ferito, incita a combattere. Lo portano via, e la gente in coro grida “Usa. Usa. Usa”.
È una scena americana perché dentro ci stanno un candidato alla Presidenza e uno che gli spara, e non è la prima volta, la storia degli inquilini della Casa Bianca è contrappuntata da spari assassini, da Abraham Lincoln a James Garfield, da William McKinley a John Kennedy, su cui ancora ci stiamo chiedendo cosa mai ci sia stato dietro lo sparatore ufficiale Lee Harvey Oswald, e ancora gli attentati da cui si salvarono Franklin Roosevelt, Gerald Ford e Ronald Reagan.
Ci sta, che in America qualcuno spari a un Presidente o a qualcuno che vuole diventarlo e ci sta anche che intorno ci sia la gente, tanta gente, Lincoln fu ucciso in un teatro, Kennedy mentre passava a Dallas tra due ali di folla, ancora rivediamo il film in 16 mm di Abraham Zapruder che immagine dopo immagine ci mostra i colpi fatali e gli effetti devastanti.
Ci sta che un attentato sia anche una cerimonia pubblica, a cui si partecipa come a un programma televisivo e che in questo caso tutti riprendono con il telefonino per poi rovesciare le immagini sui social e dire un giorno che c’erano anche loro lì a Butler in Pennsylvania dove hanno tentato di ammazzare Donald Trump. Tant’è che lo vediamo di fronte, di lato da dietro, e vediamo pure i cecchini appostati e poi su un tetto il corpo esanime del presunto attentatore, un ventenne che la verità l’ha portata con sé.
È una scena americana per questo mix inconfondibile di spettacolo e tragedia, per cui si va a seguire un comizio che però può diventare un omicidio in diretta, sotto gli occhi di tutti, seduti come spettatori davanti a chi impersona il potere o l’ambizione di conquistarlo, mentre un anonimo Nessuno, su un tetto, si prepara ad ammazzarlo, perché in America la questione si può anche risolvere così, con un colpo di fucile. E quanti ne abbiamo visti di assassini individuali e seriali, al dettaglio e di massa, dalla Columbine high School a El Paso a Las Vegas, misteri che rimangono chiusi in un testa fuori controllo.
Il Presidente e l’Assassino, non sono una novità, li abbiamo già visti all’opera in più di un film, Nel centro del mirino, Big Game, Air Force One… Resta memorabile il magnifico Nashville di Robert Altman. L’ultima scena, un concerto per la campagna elettorale di Hal Philip Walker, Barbara Jean finisce di cantare e un tipo con gli occhiali confuso tra il pubblico tira fuori la pistola e comincia a sparare, uccide lei e ferisce la star country Haven Hamilton… Ma poi, passato il momento di panico, lo stesso cantante ferito grida che “Non è Dallas” e sul palco sale Winifried che intona “It Don’t Worry me”… Non ti preoccupare, lo show va e deve andare comunque avanti e, possibilmente, God Bless America.
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