Gli studi di Antonello Mattone e Salvatore Mura sulla storia della Sardegna
Tredici/A Hermes Storie di geopolitica – Italia
Salvatore Sechi
Docente universitario di storia contemporanea
Lo storico sardo Salvatore Sechi prendendo spunto da alcuni studi sulla storia delle inchieste parlamentari e della legislazione speciale per la Sardegna, invita il neo governatore dell’isola a non ripetere errori commessi dalle classi dirigenti isolane: “Alessandra Todde eviti inchieste parlamentari e legislazione speciale“.
La neo-governatrice della Sardegna, Alessandra Todde, non fa la storica. Ed è sottoposta all’assedio delle concioni e dei comizi, col loro tipico parlarsi addosso, dei professionisti romani della politica. Per costoro la vittoria di strettissima misura del Partito Democratico e del Movimento Cinque Stelle autorizzerebbe l’apertura di danze su strategie chiamate ‘campo largo’, rivalsa epocale della sinistra e altre immaginifiche illusioni.
In realtà, il successo di Alessandra Todde si spiega con l’idea molto semplice di stabilire dei programmi, cioè indicare delle priorità, e cercare di costruire delle alleanze intorno ad essi, come propone da sempre Giuseppe Conte e il suo stesso maggiore avversario Carlo Calenda.
La grande stampa ha evitato di documentare le miserabili condizioni dell’Isola. Eppure bastava montare su un taxi all’aeroporto di Olbia (più caro del costo di un biglietto per il “continente”), entrare in un reparto dell’Ospedale Civico di Sassari, andare in Gallura e affacciarsi sulla trivellazione affaristico-selvaggia della spiaggia Rena Bianca di Santa Teresa Gallura, o montare su un autobus da Vignola a Sassari, per rendersi conto di come il malgoverno locale si giustapponga alla mancanza di servizi da parte dello Stato.
Di questo calvario e dissipazione di risorse (il suo predecessore leghista, Christian Solinas, le ha lasciato un bilancio non speso di oltre tre miliardi) la Todde si è potuta rendere immediatamente conto appena ha cominciato a visitare i centri dell’Isola.
Il pericolo che incombe è che di fronte allo sfascio e ai guasti micidiali riscontrabili (per quanto concerne l’assistenza sanitaria, i collegamenti ferroviari e stradali, l’occupazione, la qualità e l’entità del lavoro, la fornitura dell’acqua, la delinquenza, ecc.) il nuovo governatore rischi di soggiacere a una vecchia tentazione: chiedere la nomina di una commissione parlamentare d’inchiesta.
Sarebbe la ripetizione di un grave errore. Lo stesso nel quale non di rado sono incorsi sia la rappresentanza politica della destra sia della sinistra in Parlamento dalla fine dell’Ottocento fino al secondo dopoguerra (avanzato).
Questo messaggio non vorrei fosse interpretato come un modo di alleviare le responsabilità (cioè il vero e proprio fallimento) di un classico seguace del ministro e vice-premier (addirittura) Matteo Salvini, cioè l’inobliabile ex governatore Christian Solinas.
Ad affratellare questi due fratelli siamesi, in un empito irresistibile, è lo sfoggio di incompetenza. Al pari, direi, dei difettucci esibiti dal sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, che ha avuto per mentore (bon à tout faire) la premier Giorgia Meloni. Ancora una volta, si tratti del sindaco di Roma o di Cagliari, non è in grado di scegliere i suoi partner istituzionali. Ama coprire la loro inettitudine col manto della sua personale arroganza.
Purtroppo ai gravi limiti politici di queste figure umbratili della politica regionale non si può attribuire un onere che, in realtà, è di ampiezza e volume secolare. Il disastro dei trasporti, delle condizioni della pastorizia e dell’agricoltura, la ristrettezza di una risorsa importante come l’acqua, le siccità prolungate, l’erogazione a contagocce dei crediti bancari, come lo sfascio -e lo sfruttamento di imprenditori per lo più stranieri – delle miniere, la diffusione endemica del banditismo e in generale il venir meno delle esportazioni, fanno parte della una storia lunga e dolente della Sardegna.
All’onorevole Todde raccomanderei la lettura di due recenti studi, a cominciare da quello a cura di Antonello Mattone e Salvatore Mura, Le inchieste parlamentari sulla Sardegna (1869-1972), edito nel 2021 da Franco Angeli 2021 fino alla più recente opera, a più voci e di ben 664 pagine, intitolata Storia della legislazione speciale per la Sardegna (1869-1914), pubblicata a Sassari nel 2022 da Edes.
Entrambe le iniziative parlamentari hanno avuto un esito in alcuni casi importante per quanto concerne la ricostruzione dello stato in cui versavano alcuni settori dell’economia e della società sarde. Ma non si può dire abbiano sortito risultati di qualche rilievo da un punto di vista operativo.
Intendo dire che l’intervento dello Stato è stato sempre di scarsa incidenza. Il limite più grave, prolungatosi per circa un secolo, mi pare possa dirsi sia stato il seguente: di fronte ad una realtà che richiedeva l’adozione di politiche strutturali, si è risposto con soluzioni di emergenza, caso per caso, cioè incidentalmente e con una scorta di risorse finanziarie assolutamente inadeguate.
Quanto questa cultura sia cambiata con la prassi politica seguita al varo del regime istituzionale di autonomia speciale accordato all’isola è un problema aperto. Una riflessione tenace è stata avviata da Francesco Soddu (e da suo padre Pietro un ex presidente di alcune Giunte) in un’utile collana di studi presso l’editore Franco Angeli.
Quel che colpisce esaminando comparativamente gli studi di Antonello Mattone, Salvatore Mura, Piero Sanna e Guido Melis (per fare degli esempi) con quelli di Soddu è l’assenza di continuità. Quanto è emerso dai migliori apporti della legislazione speciale e delle inchieste parlamentari non ha trovato uno sviluppo nelle politiche delle Giunte regionali del secondo dopoguerra. Non a torto, in un suo saggio edito da Franco Angeli, Salvatore Mura ha parlato di “pianificazione della modernizzazione”. Sintetizza efficacemente il dibattito teorico che a Cambridge fu prospettato da John Maynard Keynes e da Piero Sraffa (che formalmente manteneva ancora la cattedra di economia a Cagliari), ma venne contrastato dagli esponenti (Frederich von Hayek e Ludwig von Mises) della scuola viennese del liberalismo (studiati impeccabilmente da Raimondo Cubeddu).
C’è stato un eccesso, e un esito disastroso, nel concepire che ad un’isola si potessero applicare gli studi sulla pianificazione predisposti per l’Unione sovietica o per la Polonia. Studiosi come Witold Kula e Oskar Lange furono a lungo dei riferimenti precisi molto più di Gavino Alivia, Maurice Le Lannou, Gino Borgatta, Giovanni Maria Lei-Spano.
Non si trattò di un surplus di arroganza intellettuale ad opera degli economisti reclutati dai governi della Regione sarda. Se si esamina la cultura economica che venne distillata dalla Svimez e dalla Tennessee Valley Authority (l’estesa saggistica per la ripresa dei paesi in via di sviluppo) ci si trova di fronte agli stessi eccessi.
L’isola probabilmente esigeva non un massiccio Gosplan, come nelle esperienze dei paesi comunisti ma una politica industriale meno magniloquente e più circoscritta ai settori di possibile sviluppo. Onde evitare il disastro per cui non si è avuto né l’uno né l’altro…
Nel secondo dopoguerra vennero riproposte politiche dalla legislazione speciale come quelle (ma nell’insieme meno culturalmente eccellenti per alcuni settori) che è possibile rilevare nel primo Congresso regionale sardo. Venne promosso e organizzato, il 14 maggio 1914, a Roma nei locali di Castel Sant’Angelo dall’Associazione fra i sardi a Roma (nata nella primavera del 1911). A patrocinarlo, malgrado la discrezione che volle mantenere, fu l’esponente giolittiano sardo Francesco Cocco-Ortu.
Siamo alle soglie della prima guerra mondiale alla quale i sardi diedero con la Brigata Sassari (studiata in maniera esaustiva da Giuseppina Melis) un generoso contributo di sangue. Con i centomila morti e feriti nelle trincee del Carso, si volle estinguere per sempre le malizie e i doppi-sensi sull’identità italiana dei sardi.
Il periodo fu duramente segnato dai danni conseguenti all’imperversare della siccità e alle lentezze di attuazione della legislazione speciale, il cui Testo Unico era stato approvato sette anni prima, cioè nel 1907.
Di fronte alla fragilità delle strutture economiche dell’isola ci si chiese se non fossero necessari ulteriori provvedimenti per il futuro, e in primo luogo un aumento delle risorse finanziarie. Per un alto funzionario come il cagliaritano Edmondo Sanjust di Teulada, il limite sostanziale della legislazione speciale risiedeva nel fatto che
«per contentare le popolazioni interessate le leggi si formulano con larghi programmi: ma intanto, per proporzionare l’onere dello Stato alla sua potenzialità finanziaria, si prevedono finanziamenti insufficienti: nella pratica applicazione poi non si spendono nemmeno le somme corrispondenti alle previsioni delle leggi votate».
Oggi, col PNRR, si rischia di replicare gli errori della legislazione speciale. In buona sostanza, l’attuazione delle leggi con i loro indubbi benefici impattava sulle correnti avverse della burocrazia (cioè i ritardi nella compilazione dei progetti e altre pastoie), sugli insufficienti stanziamenti di bilancio che facevano sì che «le diverse leggi speciali» non venissero «mai eseguite nel periodo di tempo prefissato». Sanjust di Teulada sottolineava che le grandi opere previste dal Testo Unico del 1907, in particolare il «grande serbatoio del Tirso» che avrebbe potuto irrigare 30 mila ettari di terreno e produrre 5 mila cavalli di forza motrice, era un’«opera gigantesca» proiettata nel futuro:
«La pianura di Oristano – affermava –, fra cinquant’anni, quando sieno compiute le bonifiche ed entrato nel suo pieno esercizio il serbatoio, potrà diventare una delle plaghe più ricche e salubri d’Italia».
Solo che il lungo periodo, come nelle ricette keynesiane, era nemico del breve periodo, nel quale i politici ancora oggi, dopo un secolo, si identificano per l’instabilità delle legislature. Il limite sostanziale della legislazione speciale stava nel fatto che
«per contentare le popolazioni interessate le leggi si formulano con larghi programmi: ma intanto, per proporzionare l’onere dello Stato alla sua potenzialità finanziaria, si prevedono finanziamenti insufficienti: nella pratica applicazione poi non si spendono nemmeno le somme corrispondenti alle previsioni delle leggi votate».
Era d’altra parte inevitabile, a suo avviso, attendere un «tempo abbastanza lungo» affinché le opere progettate acquistassero la «loro massima efficienza», con la conseguenza che anche «il vantaggio loro economico» sarebbe stato «progressivo e graduale»:
in «opere così grandiose» – era la sua conclusione – non bisognava «lavorare solamente per il presente», ma bisognava «pensare con lodevole altruismo alle generazioni future”.
Un nuovo ciclo di riformismo va messo all’opera in Sardegna. Ma esso non ha niente a che fare, o lo ha scarsamente, tanto con le ammucchiate dei larghi schieramenti (di destra e di sinistra) quanto le litanie degli obiettivi.
Contano le priorità (lavoro, assistenza sanitaria, trasporti, acqua, energia elettrica, turismo non privatizzato).
Riferimenti bibliografici
Antonello Mattone e Salvatore Mura (a cura di), Le inchieste parlamentari sulla Sardegna (1869-1972), Milano, Franco Angeli, 2021, 438 p.
Antonello Mattone, Storia della legislazione speciale per la Sardegna (1869-1914). Origini, sviluppi, aspettative, delusioni, Sassari, Edes, 2022, 672 p.
Salvatore Mura, Pianificare la modernizzazione. Istituzioni e classe politica in Sardegna (1959-1969), Milano, Franco Angeli, 2015, 288 p.
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