Il libro di Biagio De Giovanni su Bruno e Vico, come occasione di un percorso civile nella società del calcolo
Tredici/D Lexicon Fresco di stampa
Michele Mezza
Docente di Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi, all’Università Federico II di Napoli
Per la rubrica Fresco di stampa Michele Mezza in una riflessione intitolata “Il conflitto nel ‘determinismo incantato del calcolo’. Il libro di Biagio De Giovanni su Bruno e Vico, come occasione di un percorso civile nella società del calcolo” esamina sotto la propria singolare angolatura il saggio dello studioso campano Giordano Bruno, Giambattista Vico e la filosofia meridionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2023, 146 p. “Bruno e Vico, spiega Biagio De Giovanni, sono due cristiani senza rivelazione, ossia due testimonianze di un pensiero che si confrontano con l’infinito senza potersi sostenere con la soluzione divina. Una vera eversione che infatti porterà l’uno al rogo in Campo De Fiori e l’altro all’isolamento nella sua Spaccanapoli.
Giordano Bruno, alla fine di quello sfolgorante Cinquecento, risponde scompaginando le vecchie geometrie a guglia dei poteri del tempo, con una cosmogonia che nel pieno antropocentrismo dell’umanesimo, nega ogni centralità del nostro mondo, e dell’uomo in esso, affermando, nelle sue Opere Magiche, che “nell’infinito spazio possiamo definire centro nessun punto, o tutti i punti: per questo lo definiamo sfera, il cui centro è ovunque”. Secondo Mezza “È la prima visione reticolare compiuta in occidente delle relazioni umane circolari, che in un’infinitezza dello spazio, sposta il baricentro civile dai soggetti alle comunicazioni: è la possibilità di connettere la varietà dei punti il valore della vita più che l’identità delle personalità che parlano. In una società di poteri esclusivi, dal papa all’imperatore, e giù per li rami in tutte le gerarchie intermedie, è una vera rivoluzione antropologica: l’uomo è marginale nell’infinito, nessun primato è in grado di dominare questa realtà, ed è nella sua capacità di parlare che si trova la via della salvezza. Di parlare tutti. Siamo in uno scorcio epocale che vede l’umanità del tempo atterrita dalla scoperta di un infinito senza Dio. Intendo quella scoperta che la filosofia, proprio con Bruno, e poi la scienza con Galilei e Keplero, di uno spazio non misurabile o recintabile dalla ragione, e quindi non controllabile nei suoi possibili effetti apocalittici. È uno stato di paura e insicurezza che porta allora alle guerre di religione per rivendicare il dominio in questo infinito, e che oggi vediamo tradursi nelle incertezze nella sostenibilità della vita sul pianeta, o nelle incompatibilità indotte dallo scontro di civiltà che si configura nella stessa Europa. Sono le chiese tecnologiche che oggi ci parlano di un’unica soluzione, quella di una ottimizzazione tecnologica della nostra vita, in cui scambiare semplificazione con subalternità. Matematica e natura, per tornare all’inventiva di Bruno si identificano in un unico dilemma: chi decide e come la soluzione? L’architettura circolare di Bruno – conclude Mezza – dà un primo contesto a quel processo di graduale ma inesorabile accorciamento delle distanze fra base e vertice, fra governanti e governati, fra élite e popolo di cui proprio la circolarità della rete è linguaggio”.
25 marzo 2024
Attorno a questo perno concettuale ruota il saggio di Biagio De Giovanni intitolato Giordano Bruno, Giambattista Vico e la filosofia meridionale1.
“Non c’è filosofia senza stato”. Un‘affermazione che collega quel fatidico XVII secolo, i cui due estremi, l’inizio e la fine, sono presidiati proprio dai due giganti della filosofia meridionale, al tempo nostro. A saldare le due epoche torna incombente inquisitore la potenza di calcolo, o, come spiega meglio il nostro autore, la ragione calcolante.
De Giovanni è un riferimento imprescindibile per una riflessione sulla cultura politica e civile del nostro paese. Acclamata carriera accademica, riconosciuta in Italia e all’estero, sul filo di una costante elaborazione proprio dell’intersezione fra pensiero e istituzione. Un profilo di filosofo che ha messo le mani nel magma politico – è stato parlamenta europeo del PDS da cui si è poi staccato – che dal secolo scorso è arrivato fino a noi, con un severo sguardo di epistemologo che ha duramente criticato la fragilità di pensiero e di ambizione culturale di una sinistra che ha perso la presa sulla filosofia e sullo Stato.
Con questo testo il filosofo napoletano lavora sulle matrici della sua formazione – Giovanni Gentile e Benedetto Croce che incontrano un Marx dei Manoscritti economico filosofici del 1844 – che attraverso proprio l’originale connubio fra Giordano Bruno e Giovanbattista Vico proietta sulla scena attuale ragionando appunto sull’autonomia del pensiero occidentale al tempo della pressione tecnologica.
“In realtà da Giordano Bruno a Giovanni Gentile lo scontro si sviluppa intorno alla negazione che il sapere calcolante e raziocinante possa esaurire la potenza della rivoluzione insita nel pensiero moderno”.
È questa la frontiera – una lotta contro la seduzione della razionalità calcolante – su cui si disegna la mappa cognitiva di De Giovanni.
Un’affermazione quella appena richiamata, con cui si fissa una posizione, diciamo non negoziabile: le connessioni fra i grandi interpreti di quella filosofia meridionale, colta come asse portante della testimonianza più originale di un pensiero italiano, è rintracciata ed esibita proprio nella critica di un positivismo assunto come il nemico della stessa idea di pensiero.
Un nemico quello del pensiero scientista che però, e qui è l’ambiguità e una certa debolezza dell’assunto dell’autore, che viene inteso in un’accezione deterministica che non trova più ragioni nell’evoluzione del dibattito sulle nuove forme delle psico tecnologie. La mutazione in corso che vede proprio la composizione epistemologica della tecnica, che chiamiamo intelligenza artificiale, sollecita esattamente le categorie filosofiche e di linguaggio che De Giovanni usa contro ogni tentazione di ibridazione dei saperi.
La ragione la incontriamo nella parte finale del libro, quando De Giovanni, risale alle sue matrici, con i profili di Giovanni Gentile e Benedetto Croce, rientrando così in quel crocicchio di idealismo-storicista – la famosa linea De Santis-Croce-Labriola-Gramsci – su cui è stata forgiata l’intellettualità del PCI negli anni togliattiani, e per la quale non mancano, molto cifrate e contenute dobbiamo dire, note di nostalgico apprezzamento.
Proprio la figura di Gentile, che domina sullo stesso Croce nella gerarchia sostanziale che ricaviamo dal testo, con la sua parabola di intellettuale di punta del fascismo, ci ricorda come sia difficilmente arginabile una deriva culturale verso lidi dichiaratamente conservatori se non esplicitamente reazionari, di una critica dei processi innovativi in nome di una supposta autenticità, avrebbe detto il cattivo maestro Martin Heidegger, del naturalismo umano.
Rintanarsi in una supposta supremazia umana, che già Bruno frantuma con i suoi Infiniti mondi, come vedremo, giocata contro ogni forma di tecnicismo destabilizzante, di cui il calcolo è luogo di conflitto, non forma da rigettare, porta inevitabilmente ad una decadenza nostalgica che oggi vediamo finalizzata dal sovranismo populista.
Ed infatti nel testo che stiamo commentando si scovano, con una indubbia padronanza delle fonti citate, proprio le convergenze fra i Dialoghi Italiani del monaco nolano2, scritti fra il 1583 e il 1584, con la Scienza Nova di Vico del 17443, che indubitabilmente rafforzano lo scetticismo per quell’ondata di scientismo matematico che nei decenni che separano le due opere si pervase in Europa e che fece appunto dire a Galilei che
“la matematica era il linguaggio con cui era scritto il libro della storia”.
Viene sventolata la battuta che nella sua Cena delle ceneri, Bruno scaglia contro gli epigoni di quelle tecniche combinatorie di cui lui stesso per altro fu maestro, con le sue macchine numeriche
“altro è giocare con la matematica, altro verificare con la natura”.
Ma il verificare con la natura per lui è pratica di una “magia tecnica” che non ci appare troppo distante dalle applicazioni odierne.
Così come Vico attacca duramente il cartesianesimo che a suo parere “assidera” lo spirito ignorando la storia come profondità di una scienza della vita, ed aprendo però così la strada ad un’emancipazione dell’uomo dai vincoli naturali.
Ma entrambi, questa è la concreta e vitale connessione fra i due pensatori, sono portatori di una vitalità innovativa che rompe con le tradizioni accademiche e curiali, irrompendo sulla scena europea con un pensiero civile che non si fa politica, e dunque Stato.
Bruno e Vico, spiega Biagio De Giovanni, sono due cristiani senza rivelazione, ossia due testimonianze di un pensiero che si confrontano con l’infinito senza potersi sostenere con la soluzione divina. Una vera eversione che infatti porterà l’uno al rogo in Campo De Fiori e l’altro all’isolamento nella sua Spaccanapoli.
Giordano Bruno, alla fine di quello sfolgorante Cinquecento, risponde scompaginando le vecchie geometrie a guglia dei poteri del tempo, con una cosmogonia che nel pieno antropocentrismo dell’umanesimo, nega ogni centralità del nostro mondo, e dell’uomo in esso, affermando, nelle sue Opere Magiche, che
“nell’infinito spazio possiamo definire centro nessun punto, o tutti i punti: per questo lo definiamo sfera, il cui centro è ovunque”4.
È la prima visione reticolare compiuta in occidente delle relazioni umane circolari, che in un’infinitezza dello spazio, sposta il baricentro civile dai soggetti alle comunicazioni: è la possibilità di connettere la varietà dei punti il valore della vita più che l’identità delle personalità che parlano. In una società di poteri esclusivi, dal papa all’imperatore, e giù per li rami in tutte le gerarchie intermedie, è una vera rivoluzione antropologica: l’uomo è marginale nell’infinito, nessun primato è in grado di dominare questa realtà, ed è nella sua capacità di parlare che si trova la via della salvezza. Di parlare tutti.
Siamo in uno scorcio epocale che vede l’umanità del tempo atterrita dalla scoperta di un infinito senza Dio. Intendo quella scoperta che la filosofia, proprio con Bruno, e poi la scienza con Galilei e Keplero, di uno spazio non misurabile o recintabile dalla ragione, e quindi non controllabile nei suoi possibili effetti apocalittici.
È uno stato di paura e insicurezza che porta allora alle guerre di religione per rivendicare il dominio in questo infinito, e che oggi vediamo tradursi nelle incertezze nella sostenibilità della vita sul pianeta, o nelle incompatibilità indotte dallo scontro di civiltà che si configura nella stessa Europa. Sono le chiese tecnologiche che oggi ci parlano di un’unica soluzione, quella di una ottimizzazione tecnologica della nostra vita, in cui scambiare semplificazione con subalternità. Matematica e natura, per tornare all’inventiva di Bruno si identificano in un unico dilemma: chi decide e come la soluzione?
L’architettura circolare di Bruno dà un primo contesto a quel processo di graduale ma inesorabile accorciamento delle distanze fra base e vertice, fra governanti e governati, fra élite e popolo di cui proprio la circolarità della rete è linguaggio.
In questo gorgo Aldo Masullo, uno dei più limpidi lettori di Bruno, ci spiega nel suo ultimo testo Giordano Bruno Maestro di anarchia5 che proprio con questa visione prospettica e circolare
“il mondo da idea diventa un problema”.
Un problema di tutti. Un problema algoritmicamente pianificabile. Ma solo filosoficamente governabile.
Come scriveva Alan Turing nel suo fondamentale articolo del 1936 “On Computable Numbers, with an application to the Entscheidungsproblem”
“Si potrebbe sperare, ingenuamente, che ogni risultato della matematica sia riconducibile, almeno teoricamente a un opportuno algoritmo. Ma questa speranza è sbagliata. Esistono problemi senza soluzione”6.
Ed è questo oggi lo spazio della politica e dello Stato. Ossia di un pensiero che abbia una sua visione materiale delle forme di convivenza umana in grado di interloquire e negoziare con quel “determinismo incantato”, come lo definisce Kater Crowford, che accreditano oggi i proprietari delle grandi piattaforme computazionali.
Sulla necessità né di esorcizzare, né tanto meno di snobbare la pervasività di questa potenza di calcolo che si candida a risolvere il problema del mondo, sarebbe interessante poter sollecitare De Giovanni, allungando il senso del suo ragionamento sulle conseguenze di questo strappo antropologico che viviamo con la domanda di grandi masse, siamo ad oltre cinque miliardi, che oggi chiedono di condividere con noi occidentali modello di vita e ambizione a partecipare ad uno spazio pubblico: come assicurare a tutti la possibilità di parlare? E, proseguendo in questa riflessione, come dare a tutti gli uomini l’opportunità di “verificare la natura” come chiede Bruno a dispetto delle semplici elucubrazioni matematiche? Con queste domande la filosofia incontra lo Stato, o meglio, incontra la necessità di governare queste rivoluzioni antropologiche.
Si apre qui lo spazio di una nuova missione civile della politica, che è appunto quella di dare un senso al “determinismo incantato”, a quel processo tecnologico abbagliante che tende a soffocare ogni forma di negoziato sociale, di conflittualità politica che dia sostanza a rappresentanza materiale alla democrazia.
E quella dinamica dei contrari che Bruno individua come primo principio dialettico di un processo di civilizzazione laico e che oggi, proprio nella relazione fra calcolanti e calcolati, le due categorie che le nuove forme di produzione immateriale ci impongono, possiamo ritrovare quel connubio progressivo fra filosofia e Stato, fra pensiero e forma di organizzazione condivisa della nostra vita.
- Biagio De Giovanni, Giordano Bruno, Giambattista Vico e la filosofia meridionale Napoli, Editoriale Scientifica, 2023, 146 p. ↩︎
- Vedili nell’edizione critica a cura e con un saggio introduttivo di Michele Ciliberto: Giordano Bruno, Dialoghi filosofici italiani, Milano, Mondadori, 2000, CXIV-1540 p. ↩︎
- Giambattista Vico, La scienza nuova. Le tre edizioni de 1725, 1730 e 1744, a cura di Manuela Sanna e Vincenzo Vitiello, Milano, Bompiani, 2012, CLXXX-1318 p. ↩︎
- Giordano Bruno, Opere magiche, edizione diretta da Michele Ciliberto, a cura di Simonetta Bassi, Elisabetta Scapparone, Nicoletta Tirinnanzi, Milano, Adelphi, 2001, 1732 p. ↩︎
- Aldo Masullo, Giordano Bruno Maestro di anarchia Caserta, edizioni Saletta dell’Uva, 2016, 120 p. ↩︎
- In Proceedings of the London Mathematical Society, Volume s2-42, Issue 1, 1937, pp. 230-265. Oggi può essere consultabile al seguente link: https://www.cs.virginia.edu/~robins/Turing_Paper_1936.pdf ↩︎
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