Riflessioni di un ex consigliere di amministrazione dell’azienda di servizio pubblico
Tredici/B Techné Storie di media e società
Gianpiero Gamaleri
Studioso dei media, già dirigente Rai, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi
Gianpiero Gamaleri, studioso dei media, già dirigente Rai, professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, in un articolo intitolato “Non di solo Maestro Manzi vive la Rai” presenta le “Riflessioni di un ex consigliere di amministrazione dell’azienda di servizio pubblico”. “[…] arriverei a dire che servizio pubblico è “tutto” nel senso che è un’ottica, un taglio con cui si concepiscono e vengono presentate tutte le realtà sociali, culturali, espressive, oltre a quelle politiche in condizione di par condicio – scrive Gamaleri aggiungendo – Prendiamo un campo sterminato, come la fiction e il cinema. La fiction e il cinema sono importantissimi. Secondo Ettore Bernabei, che pur era giornalista, sono anche più importanti dei telegiornali perché attivano nello spettatore meccanismi di immedesimazione. Tanto è vero che poi ha fondato la casa di produzione Lux-Vide […] . Quante cose ci sono dunque al di là dell’amato Maestro Manzi! Per cui l’interrogativo si ribalta. Certamente la Rai deve essere il più possibile “servizio pubblico”. Ma gli altri, i privati, non possono o non dovrebbero esserlo in qualche misura anche loro?“.1
22 marzo 2024
C’è un solo punto su cui incredibilmente tutti sono d’accordo, da destra, centro e sinistra: la Rai deve essere un servizio pubblico. Alcuni lo dicono perché ci credono. Altri lo dicono per togliersela dai piedi sul terreno della concorrenza, isolando l’azienda in una funzione aulica e avere campo libero per i propri affari.
Ma che cos’è servizio pubblico? Qui le cose sono meno chiare. C’è una tradizione alle spalle, di 100 anni per la radio e di 70 per la tv. Ci sono poi fior di documenti tanto citati quanto sconosciuti, come la Convenzione con lo Stato e i Contratti di Servizio. Tutte cose per gli addetti ai lavori che lasciano indifferente proprio quel “pubblico” cui è destinato il servizio.
In questa riflessione vorrei partire dalla mia esperienza personale di funzionario e dirigente Rai per quasi trent’anni. Un’esperienza svolta tutta nell’ambito di strutture esplicitamente di servizio: il settore educativo, le tribune politiche, i programmi sperimentali dal satellite. Tutte funzioni che i privati non si sognerebbero mai di fare perché non rendono e che quindi si pretende siano fatte dal servizio pubblico che non ha fini di lucro.
Nell’educational c’erano ruoli mitici, osannati, come il “tormentone” del Maestro Alberto Manzi che tutti abbiamo apprezzato, anche se all’epoca partecipavano anche fior di professori universitari – dal filosofo Pietro Prini per le discipline umanistiche al fisico Piero Caldirola del Politecnico di Milano per quelle scientifiche – che curavano lezioni-programmi che sarebbero tuttora esemplari se qualcuno li recuperasse.
E sul terreno delle trasmissioni politiche, chi meglio di Jader Jacobelli, il padre delle “Tribune” potrebbe ancor oggi sostenere l’immagine di un’azienda veramente pluralistica, che riconosce spazio a tutte le voci politiche, sociali e culturali?
Per non parlare della sperimentazione del primo satellite italiano per diffusione televisiva diretta, l’Olympus, capostipite di un sistema che oggi assicura migliaia e migliaia di canali e altri servizi a livello planetario?
Tutto quello era sicuramente servizio pubblico su terreni di avanguardia. Ma servizio pubblico era ed è solo quello, che tutti sono disposti a riconoscere e lodare? Cioè cultura ed educational. O c’è stato e c’è molto di più?
La mia risposta è sintetizzata nel titolo di questo articolo: “Non di solo Maestro Manzi vive la Rai”. Servizio pubblico è anche tanto d’altro, arriverei a dire che servizio pubblico è “tutto” nel senso che è un’ottica, un taglio con cui si concepiscono e vengono presentate tutte le realtà sociali, culturali, espressive, oltre a quelle politiche in condizione di par condicio.
Prendiamo un campo sterminato, come la fiction e il cinema. La fiction e il cinema sono importantissimi. Secondo Ettore Bernabei, che pur era giornalista, sono anche più importanti dei telegiornali perché attivano nello spettatore meccanismi di immedesimazione. Tanto è vero che poi ha fondato la casa di produzione Lux-Vide. Vedendo ad esempio la fiction su Giuseppe Moscati con Beppe Fiorello, sembra di aver conosciuto di persona il grande medico santificato dalla Chiesa. La Rai persegue l’obiettivo di far conoscere agli Italiani la loro storia attraverso le figure di maggiore spicco. Si domandava Luca Zingaretti:
“Perché la gente ama Montalbano? Perché è un personaggio che incarna non solo i pregi ma anche i difetti degli italiani, le piccole debolezze ma anche gli slanci positivi al momento giusto”.
Recentemente due “prodotti” di alto livello hanno trasmesso agli spettatori conoscenze ed emozioni fondamentali di “pagine” che tutti noi e soprattutto i giovani non possono ignorare. Il primo di questi programmi è consistito nelle tre serate consecutive dedicate a La lunga notte del Gran Consiglio del Fascismo e della caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, che ha consentito agli spettatori una full immersion in quell’imporrante momento storico. Un tema molto delicato per le passioni che tuttora alimenta e che è stato rappresentato con equilibrio e completezza dalla regia di Giacomo Campiotti e con un Alessio Boni strepitoso.
Il secondo prodotto è la ricostruzione dell’esodo istriano attraverso la fiction La rosa dell’Istria”, programmato in occasione del “Giorno del ricordo di uno degli eventi tra i più controversi della nostra storia recente. Non si può trascurare anche la fiction su Mameli, realizzata dalla casa di produzione di Agostino Saccà, che ha aperto una finestra originale su un Risorgimento che ha avuto come protagonisti giovani dell’età dei nostri figli e nipoti.
E sul terreno della serialità, altri prodotti densi anche di finezza, ironia, umanità come Imma Tataranni sostituto procuratore con la coppia Vanessa Scalera e Massimiliano Gallo. E ancora Un professore con un Alessandro Gassman che tutti avremmo voluto avere come docente. Per non parlare di Mare fuori che ha conciliato alla televisione le giovani generazioni assorbite dai social. E su questa strada anche Sanremo ha fatto un grande passo in avanti verso le più giovani generazioni.
È questa la mission di fiction e cinema del servizio pubblico.
Personalmente l’ho capito molto bene per aver fatto parte del Consiglio di Amministrazione che nel 2000 ha fondato RaiCinema, una fucina di professionalità fondamentali oggi per la costruzione del nostro immaginario collettivo, con film spesso in gara per i David di Donatello o addirittura per gli Oscar. Per non parlare della struttura Fiction rimasta a operare con grande efficacia all’interno degli organigrammi aziendali.
Merita di essere citato, su un altro piano, il programma di Virginia Raffaele, un certo rilancio del varietà con largo spazio per l’ironia e persino con qualche punta di satira di cui ci eravamo dimenticati.
E che dire dell’informazione? Telegiornali e Giornali Radio sostengono con efficacia la terribile sfida di rappresentare gli scenari di guerre ormai ai nostri confini, con tanti giornalisti e giornaliste che hanno ritrovato la loro funzione di inviati sui fronti più difficili e pericolosi. Professionisti che Papa Francesco ha chiamato
“fratelli giornalisti perché per informarci rischiano la loro vita”.
Quante cose ci sono dunque al di là dell’amato Maestro Manzi! Per cui l’interrogativo si ribalta. Certamente la Rai deve essere il più possibile “servizio pubblico”. Ma gli altri, i privati, non possono o non dovrebbero esserlo in qualche misura anche loro?
Invece di voler ghettizzare la Rai in una visione restrittiva e passatista. La risposta ancora una volta l’ho trovata nella saggezza di Jader Jacobelli, con cui ho lavorato per più di tre anni: quanto un mezzo di comunicazione raggiunge platee molto larghe – egli diceva – allora deve ampliare anche le proprie responsabilità ed essere a sua volta uno stimolo di pubblica utilità. Così un intero Paese diventa più maturo in tutte le sue componenti.
- Nuova armonia, 1/2024, pp. 6-7 ↩︎
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