Vince Macron, perde la famiglia Le Pen e il giovane Bardella. Nasce un nuovo leader a sinistra, si chiama Glucksmann. E assomiglia un po’ a Mitterrand.
Tra la destra e il Parlamento, i francesi hanno scelto il Parlamento. Il Fronte Popolare ha vinto in Francia e con il Fronte hanno vinto gli europeisti. Obiettivo raggiunto dunque, anche se ora viene il bello perché governare sarà difficilissimo visto il quadro restituito dalle urne di domenica 7 luglio. Del resto il Fronte nasce contro.
Ha vinto Macron, che si rivela un politico di razza, coraggioso e spietato. Ha vinto Glucksmann, novello hidalgo federatore, capace di mostrare che federare oggi è la vera arte del possibile che serve alla politica.
Il primo turno, come si sa, si era chiuso con la vittoria dalla destra, il secondo con una sconfitta clamorosa. Non inaspettata per come si erano messe le cose, non scontata per la frammentazione del quadro politico. Un esito che così a naso non piacerà per nulla a Giorgia Meloni. Con buona pace dei tanti scettici nostrani.
Vive le France quindi, anche per noi italiani ed europei. Lo slogan “o destra o Parlamento” lanciato da Emanuel Macron, vale per tutta Europa.
Sei giorni di passione, sei giorni scandito appunto da “Abbiamo sei giorni per evitare la vergogna di consegnare alla famiglia Le Pen la Francia. Votate qualsiasi candidato, di destra, di sinistra, di centro contro questa destra reazionaria”. E il Fronte Popolare, da Melenchon a Glucksmann agli altri, subito dopo le elezioni francesi del 30 giugno, si è unito ed ha riguadagnato stando agli instant poll il 28 per cento, cioè sei punti in più dei sondaggi e di quanto ha preso alle elezioni europee.
Facciamo un passo indietro: ripartiamo dal 30 giugno, e dal primo turno.
Era chiaro a tutti che il ballottaggio del 7 luglio sarebbe stato decisivo per stabilire l’esito finale di una delle elezioni più importanti della storia della Francia e dell’Europa. Detto questo, vediamo alcuni elementi per fare una prima analisi. La prima questione riguarda le regole, che sono sempre la cosa più importante in un’elezione.
La Francia è divisa in 577 collegi tra l’area continentale, le isole, a partire dalla Corsica, e i territori d’oltremare. Apro una parentesi: magari a qualcuno può interessare per decidere dove andare a svernare che la sinistra ha stravinto in Martinica, per dire.
I collegi sono uninominali: ogni lista-coalizione presenta una candidatura specifica, e ci si può candidare in un collegio solo. L’elezione è a doppio turno, a differenza del Regno Unito: al ballottaggio si va se nessun* candidat* supera il 50% al primo turno. E a differenza delle amministrative italiane, al ballottaggio accede chiunque abbia superato il 12.5% delle preferenze, a patto che l’affluenza in quel collegio sia superiore al 25% tra chi si è iscritto a votare. Per esempio, nel collegio di Finistere, in Bretagna, ci sono ben quattro candidati che possono accedere al ballottaggio, cosa che in Francia il risultato del voto al primo turno era un dato che lasciava l’esito finale delle elezioni una partita tutta da giocare e apertissima.
La seconda questione riguarda l’affluenza, la più alta da 40 anni a questa pare per una tornata di legislative. Il fatto che a differenza del solito le legislative non sono state fatte subito dopo le elezioni presidenziali ha certamente favorito questa crescita. Occorre però anche tener conto del fatto che la popolazione francese era stata chiamata a votare per le europee poco più di un mese fa, e che la crescita rispetto a un mese fa è stata superiore di 20 punti, dato oggettivamente importante. Mi viene da dire che quando la cittadinanza ritiene che una elezione è davvero importante, e soprattutto che l’esito è incerto, e quando si può scegliere realmente tra candidati nei collegi, meglio se piccoli, e non tra liste bloccate e candidature civetta, la gente, “stranamente”, vota. Incredibile vero?
La destra-destra vince ma non vince. Macron, il pokerista.
L’estrema destra di Marine Le Pen e Jordan Bardella (il Rassemblement National, o la famiglia Le PEN come la chiama Glucksmann) è andata molto bene, ed è stato il primo partito di Francia, come già era accaduto un mese fa ma con un numero di voti assoluti molto superiore, a causa dell’aumento dell’affluenza. Ma questo vuol dire che ha vinto le elezioni? La risposta è sì e allo stesso tempo non ancora, perché le elezioni francesi sono a doppio turno, quindi conta il risultato dei ballottaggi. Se le forze alternative a RN costruiscono patti e alleanze con i ritiri selettivi e le resistenza lo scenario del ballottaggio rimette in gioco tutto. Macron, tra l’altro, non ha perso le elezioni. La sua coalizione ha guadagnato circa sette punti rispetto alle europee di un mese fa (l’aumento di voti è anche qui in termini assoluti data la crescita dell’affluenza) e l’onda nera è stata tamponata. Lo stesso Macron e il suo partito poi hanno annunciato da subito il ritiro dei propri candidati se giunti terzi al primo turno. È vero, la rappresentanza parlamentare dei macroniani viene ridotta rispetto alle scorse legislative, ma era comunque il prezzo che lo stesso Macron sapeva di pagare quando ha chiesto lo scioglimento del Parlamento dopo le europee. L’obiettivo di Macron era un altro: evitare lo sfondamento e il trionfo di Le Pen, a costo di perdere la maggioranza parlamentare. Di qui la sua scommessa che a molti è parsa azzardata. Rispetto a questo disegno, molto coraggioso, molto politico, molto fantascientifico anche se pensiamo all’Italia, il primo turno dice che la scommessa potrebbe riuscire. E che Macron potrà essere presidente della Repubblica in un Parlamento a maggioranza di sinistra-centro, invece che di destra-destra.
In sostanza la scommessa di Macron si è basata sul fatto che la destra ha il 40% circa di consenso e pochissime possibilità di incremento, mentre attraverso la strategia dei desistment, gli anti-Le Pen partivano da un teorico 52 di partenza, compresi i soliti scettici a sinistra, secondo cui Melenchon è impresentabile e Glucksmann non può stare con la sinistra sinistra o accettare alleanze simili. I socialisti riformisti sono di nuovo il primo partito della sinistra in Francia e quindi semplicemente non possono preferire la destra-destra al potere. Lo stesso vale per i liberali, tanto è vero che quelli seri, come Bayouru, Philippe e altri hanno già scelto senza esitazioni. Non si tratta di far vincere Melenchon, ma di far perdere la destra. Se nessuno avrà la maggioranza assoluta allora Macron avrà un governo di sinistra centro. I socialisti eletti saranno molti di più di quelli di Melenchon e il probabile primo ministro potrebbe essere socialista. Molti in Francia prima del ballottaggio dicevano che il vincitore delle elezioni alla lunga sarebbero stati Gluksmann e Hollande.
Il frontismo
La logica del Fronte è questa: un lepenista in più porta al governo Bardella, un Melenchon in più porta al governo Macron più sinistra, che non deve stare insieme a lungo, ma abbastanza a lungo per fermare Le Pen. La realtà è stata questa: il front populaire ha ritirato 121 candidati arrivati dietro ensemble. Ens ne ha ritirati 88. Si è discusso caso per caso dei 19 collegi dove ens è secondo dietro Rp e davanti a Rn: Glucksmann con Melenchon tende a prendersi a pugni ma è stato fermissimo nel chiedere il voto per fp in funzione antilepen, e lo stesso Melenchon non ha detto di votare per Macron, ma di votare contro Le Pen. La mia sensazione, limitata a Parigi che può essere molto diversa dal resto della Francia, era che il voto repubblicano avrebbe funzionato. A Parigi la sensazione era che i 60 collegi circa della ile de France triangolari sarebbero stati tutti persi per Le Pen.
Come si è arrivati a questo esito quindi lo abbiamo detto: 220 desistenze, 130 del fronte popolare, 88 del partito di Macron. Il fronte repubblicano, almeno per quanto riguarda le candidature non solo ha retto, ma è andato decisamente oltre le previsioni iniziali. Trasformare la resistenza in eletti diventa la partita la partita più dura, ma il primo risultato è strato portare a casa l’isolamento della Le Pen: tranne pochissimi esponenti politici, e comunque non di primo piano, nessuno dei moderati o della destra Republicans si è dichiarato “tentato” dal voto a destra.
I frontisti la pensavano e la pensano diversamente su molte cose, su Gaza, Ucraina e molto altro, ma non su tutto. E soprattutto contro Le Pen quotata al 34% hanno deciso di giocarsi la partita che invece noi in Italia non abbiamo voluto o saputo giocare contro la Meloni. Complice il sistema del ballottaggio, con la desistenza e la rinuncia del terzo, per fermare ancora una volta Le Pen. Noi, in Italia, questo sistema lo abbiamo smontato scientificamente.
Le ragioni del frontismo. Il caso Philppe.
Il tema è non fare vincere Le Pen, quindi come dice Macron: ‘Mai con Mélenchon, la desistenza non è coalizione’. O Come aggiunge Attal: ‘Il potere all’estrema destra o al Parlamento’. (Redazione Ansa. PARIGI – Luglio 03, 2024 – News). Con i ballottaggi il potere in Francia andrà “o a un governo di estrema destra, oppure al Parlamento”. “Oggi c’è un blocco che è in posizione per avere una maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, ed è l’estrema destra – ha riconosciuto Attal – ma al termine di questo secondo turno di voto o il potere sarà nelle mani di un governo di estrema destra, oppure il potere sarà del Parlamento Io mi batto per il secondo scenario”.
Uno degli episodi più interessanti e significativi della campagna elettorale è stata l’immagine della candidata di Rn fotografata con il berretto nazista (immediatamente ritirata dal ballottaggio) ha dato la spinta finale a molti. Quel che da noi è folclore, in Francia è ancora dolore… Questo episodio ha accelerato tutto e inasprito la contesa in una campagna elettorale con casi paradossali, ad esempio quello di Edouard Philippe, l’ex premier francese oggi sindaco di Le Havre è stato tra i sostenitori della linea ‘Né RN, né France Insoumise’, durante le elezioni al rimo turno, ma al secondo turno ha votato per il candidato del Partito comunista francese (Pcf) aderente al Nouveau Front populaire (Nfp), Jean-Paul Lecoq, nell’ottavo collegio di Seine-Maritime. La storia è interessante. Il deputato comunista è stato avversario dello stesso Philippe nelle elezioni comunali del 2020 (perse con il 42,82% dei voti) e ha affrontato al secondo turno una candidata lepenista, Isabelle Le Coz (31,32%). Intervistato da TF1, Philippe ha detto che preferisce “un candidato che conosco, con cui lavoro nell’interesse di Le Havre. E malgrado le differenze mi pare che risponda ad esigenze democratiche che condivido, rispetto al Rassemblement National”. La reazione di Marine Le Pen è stata immediata. “Édouard Philippe invita a votare comunista. Jean-Luc Mélenchon invita a votare Gérald Darmanin. E Christian Estrosi annuncia che alla guida del gruppo maggioritario, all’Assemblea, farà un colpo di Stato: la classe politica dà di sé stessa un’immagine sempre più grottesca”.
Domani Lunedì 8 luglio
Domani che succede? Finisce il Fronte e si arriva ad una alleanza. Il partito socialista redivivo è il primo partito del Fronte Popolare. E Glucksmann davvero potrebbe essere il nuovo federatore che mette assieme rossi e verdi e che punta dritto verso i liberali. Una lezione a molti politici di casa nostra e, per chi ha memoria storica, degna del vecchio indimenticata Francois Mitterrand.
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