Commentando amaramente l’indecisione del Senato romano di fronte all’assedio di Sagunto, città spagnola alleata di Roma, da parte di Annibale nel 219 a.C., Tito Livio scrive testualmente: «Dum ea Romani parant consultantque, iam Saguntum summa vi oppugnabatur», “Mentre i Romani preparano e discutono quelle cose, ormai Sagunto era espugnata con grande violenza” (Ab Urbe condita libri, XXI, 7).
Ne è scaturita la frase lapidaria, divenuta proverbio, «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur», “Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”, che viene citata ogni volta che si vuole stigmatizzare inutili e dannose perdite di tempo in consultazioni di fronte all’evidente necessità di prendere rapide decisioni.
Annibale stava provocando Roma in attuazione del suo progetto di conquista. Così, mentre a Roma non si sapeva che pesci pigliare e si continuava a discutere sul da farsi, Annibale prendeva Sagunto e la distruggeva. Fu questo l’innesco della seconda guerra punica, che durò ben sedici anni, finché sotto il comando di Scipione l’Africano l’esercito romano non riuscì a sconfiggere Annibale nel 202 a.C. nella battaglia di Zama.
Nelle vicende umane, e in particolare in quelle politiche, il protrarsi di inutili discussioni di fronte all’urgenza delle decisioni crea danni nell’immediato e in prospettiva. È ciò che accade oggi in Europa e nell’intero Occidente di fronte all’urgenza di aiutare l’Ucraina a difendersi dalla ferocia dell’assalto russo e di fronte alla pari urgenza di reagire al pacifismo irresponsabile e al montante antisemitismo, finalizzato questo di fatto non solo ad Isolare Israele e ad aiutare Hamas, ma a minare la credibilità dell’Occidente e del sistema democratico che lo caratterizza.
Le classi dirigenti occidentali si comportano come il Senato romano di fronte al disegno espansionistico di Annibale. Rischia di prevalere l’idea che lasciandogli mangiare ancora qualche pecora, l’orso putiniano si senta sazio, come d’altronde l’orso jihadista.
Una tragica illusione!
“Pace subito”, il grido dei “pacifisti”, in realtà equivale per Putin a “via libera per Kiev” e per Teheran e Hamas “free Palestine from the river to the see”, cioè fuori Israele, il sogno degli antisionisti, in realtà antisemiti, e dell’antioccidentalismo universale.
Ciò che accade da anni sotto i nostri occhi increduli ci potrebbe indurre a pensare che le classi dirigenti del vasto e variegato Occidente non abbiano capito per tempo, dopo la fine della guerra fredda e il passaggio al mondo multipolare, da una parte la strategia cinese di espansione a piccoli e solidi passi e quella russa dei fatti compiuti (Cecenia, Ossezia, Georgia, Crimea, fino appunto all’Ucraina), e dall’altra, dopo la fine tragica e miope della vicenda afghana, il ruolo dell’Iran rispetto al jihadismo della fratellanza musulmana con l’organizzazione della rete di gruppi armati intorno ad Israele pronti a intervenire a comando: Hamas, Hezbollah, Houthi. In realtà non possono non aver capito. Ci sono fior di teste pensanti nei Centri studi, ci sono gli analisti militari, ci sono gli esperti di geostrategia. Basterebbe peraltro il nostro Vittorio Emanuele Parsi. C’è, seppure sfiatato dal semideserto politico, anche qualche politico ancora capace di analisi lungimirante e pensiero progettuale. Non possono non aver capito.
Dove sono dunque le ragioni della titubanza, della discussione infinita senza costrutto, della perenne indecisione sul da farsi delle classi dirigenti occidentali, mentre l’Ucraina viene massacrata, i suoi bambini deportati, il suo patrimonio ridotto in cenere? E mentre le ragioni di Israele gli si ritorcono contro e quelle di Hamas diventano benzina nel motore ben registrato del disorientamento globale?
Due a ben vedere appaiono le ragioni fondamentali: l’Occidente è ridotto ormai, direbbe il Principe di Metternich, a pura espressione geografica e in esso l’Europa è sulla strada per diventarlo; all’interno di quest’area, una volta culla dei valori universali, terreno di lotta per l’affermazione dei diritti umani, patria elettiva comunque delle democrazie liberali, si sono sviluppate correnti di pensiero e si sono strutturate organizzazioni che, in modo esplicito o subdolo, autonomo o eterodiretto, contestano proprio questo patrimonio costitutivo. Le università ne sono il luogo privilegiato, indice di un disorientamento radicale.
Il risultato è che non solo non c’è convergenza di visione e di intenti strategicamente vincolanti, ma si percepisce debolezza, rinuncia, pusillanimità. Ogni governo si para anzitutto dai nemici interni, ogni leader pensa a come mantenere o rafforzare il proprio consenso, l’unità è parola vuota di strategia e di contenuti. Ogni tanto emerge qualche personalità che ha il coraggio della lungimiranza e delle parole di verità, ma il più delle volte appare solo una voce fuori dal coro messa a tacere o dalle deformazioni finalizzate o dal potere dell’indifferenza o dalle forze interessate al mantenimento dello status quo. Emblematico l’ultimo caso, quello della resistenza dei leaders occidentali ad autorizzare l’uso delle armi in territorio russo per permettere agli ucraini di difendersi dai missili che partono da aerei che non escono dal territorio russo, ciò che significa fornire all’Ucraina armi di difesa non utilizzabili per difendersi, una contraddizione in termini, una collaborazione di fatto con l’aggressore.
Il contesto dunque è chiaro: percepita la debolezza interna ed esterna dell’Occidente, rese evidenti le contraddizioni che rendono permeabili le democrazie, le autocrazie organizzano le loro strategie espansionistiche sapendo che se le cose continuano a stare come stanno possono agire senza troppi contraccolpi e gli obiettivi saranno certamente raggiunti, è solo questione di tempo, e di tempo loro ne hanno, contrariamente alle democrazie.
Non può sfuggire la drammaticità di questa situazione, che però non pare interessare i partiti in competizione per le elezioni europee di sabato 8 e domenica 9 giugno. Eppure si tratta di un vero e proprio attacco organizzato all’Occidente e in primo luogo all’Europa, una guerra ibrida, un disegno complesso che parte da lontano e che si sta sviluppando su diversi terreni. La guerra russa all’Ucraina è un tassello a cui si sono aggiunti poi altri tasselli: probabilmente l’attacco jihadista ad Israele del 7 ottobre, che avrebbe inevitabilmente comportato l’intervento israeliano su Gaza contro Hamas, è stato pensato a Mosca, organizzato a Teheran ed eseguito appunto da Hamas.
Un diversivo per impegnare su più fronti le forze militari ed economiche dell’Occidente, soprattutto degli USA, e favorire la campagna russa in Ucraina. Allo stesso disegno evidentemente rispondono le azioni di disturbo e di guerra di Hezbollah e Houthi, come su un altro piano – appunto la guerra ibrida – gli attacchi alle strutture informatiche, l’affratellamento di intellettuali e politici occidentali e l’organizzazione delle fake news per condizionare l’esito elettorale.
Una tale drammatica situazione richiederebbe una seria presa di coscienza delle élites democratiche e una reazione diffusa e lucida, capace di trasformarsi in responsabilità di popolo e politica strategica. Ciò che purtroppo non si vede. Le elezioni europee in questo senso rischiano di essere l’ennesima occasione perduta, ma comunque diranno a che punto siamo e in quale direzione andremo nell’immediato e in prospettiva.
Volendo non essere fino in fondo pessimisti, dobbiamo affidarci ad una evidenza storica: l’Europa fa passi avanti o dopo un tragico evento o in presenza di una minaccia di dramma incombente. È successo a seguito della seconda guerra mondiale, è successo per uscire dalla pandemia innescata da Covid 19. Speriamo che anche questo passaggio sia occasione di un salto in avanti. Abbiamo ancora bisogno di Europa, anzi, ne abbiamo ancor più bisogno ora! L’esito delle elezioni ci dirà se la storia ancora ci parla e se la ragione ha ancora spazio da queste parti. Forse.
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