E FINALMENTE PARLIAMO DI CALCIO

Essere tifoso è una malattia indotta come la droga, e come la droga è difficile uscirne, ma può succedere! Allo stato attuale delle cose elementi favorevoli alla guarigione stanno aumentando cioè a dire che lo spettacolo potrebbe perdere di
interesse e di puibblico.
Ci si ammala da giovani anzi da piccoli, seguendo il papà o la mamma o lo zio o un calciatore particolare, ma soprattutto la propria città: campanilismo calcistico.
Andare allo stadio è stato per decenni un evento atteso ogni 15 giorni, ora l’attesa è molto più breve per essersi moltiplicate le partite tra amichevoli, campionato, coppe e coppette. Ed anche il costo del tifo è diventato ben più caro per l’aumento del costo dei biglietti dello stadio e per l’inevitabile abbonamento a Sky e a Dazn.

La spesa però non scalfisce il tifo e la partecipazione, anzi moltiplica le emozioni. È comunque c’è sempre un amico titolare di abbonamento dove vedere insieme le partite senza costo. Gli elementi che inducono a liberarsi della passione calcistica sono sempre più numerosi anche se ancora poco produttivi. Per ora. Elenchiamone alcuni.


Primo : gli insuccessi delle proprie squadre sul piano nazionale ed internazionale e quelli della Nazionale esclusa dagli ultimi due Mondiali dopo le illusioni cullate con la vittoria ai calci di rigore nell’ultimo Europeo hanno mortificato la passione e le illusioni.
Secondo: C’è stata una progressiva e forte riduzione numerica dei calciatori italiani tra le squadre di serie A. Al fischio d’inizio delle 10 partite della 34ª giornata del Campionato di serie A i calciatori italiani nelle 20 squadre erano meno del 30% ossia 72 sui 220 scesi in campo con le formazioni iniziali. Se poi esaminiamo la classifica dei cosiddetti amati cannonieri alla stessa data, il primo degli italiani era solo al 10º posto.


Terzo: in Italia mancano i campioni sia italiani che stranieri . C’è stato un maldestro tentativo con l’ingaggio di Cristiano Ronaldo con grande sciagura per chi lo ha architettato ed anche per i tifosi. La storia del nostro calcio ha cambiato davvero
pelle. Eravamo partiti nello scorso secolo, prima e dopo la seconda guerra mondiale, con grandi giocatori italiani del calibro di Meazza, Piola, Mazzola, Boniperti, Rivera e con oriundi come Orsi e Sivori di ritorno dall’Argentina. Siamo arrivati al punto oggi che il Commissario tecnico della Nazionale è costretto a cercare oriundi sconosciuti in giro per il mondo che poi nessun Club italiano ingaggia dopo averli visti all’opera in Nazionale! Eravamo rimasti a Rossi, Tardelli, Scirea, Totti, Cannavaro, Del Piero, Baggio e pochi altri, ma anche loro sono scomparsi per motivi anagrafici e nessuno ne ha raccolto l’eredità. Amara realtà.


Quarto: c’è l’indigestione televisiva di partite di ogni genere da ogni parte del mondo. Il telespettatore o meglio il teleutente, viene rimbecillito di immagini propedeutiche ad ogni genere di pubblicità, dalle automobili al cibo per gli animali domestici, eccetera, sino a quando non si accorge di essere in overdose e spegne stizzito il televisore, compreso il calcio.
Quinto: il calcio sembra diventato l’oppio dei popoli. Induce passioni e violenza, successi economici e politici, ma anche fallimenti e disonore. I generosi mecenati del 20º secolo non ci sono più e le società sono tenute ad avere rigorosi bilanci in ordine ed almeno in pareggio. Il giorno che la pubblicità televisiva associata alle partite risulterà essere un investimento poco produttivo, si rischierà la catastrofe. Gli astronomici stipendi dei calciatori ritorneranno nei limiti della ragione, come per gli attori di qualunque spettacolo e il morboso interesse che li circonda incontrerà un felice ridimensionamento.


Sesto: il problema etico non riguarda solo i calciatori e la dirigenza sportiva, ma anche soprattutto il mondo della stampa, l’esercito dei cronisti di ogni tipo di media, i commentatori televisivi professionali e non, la ripetizione infinita delle immagini televisive che riducono ogni altra manifestazione sportiva in un angolo poco frequentato. Ore ed ore di televisione su una infinità di canali e pagine e pagine su ogni tipo di quotidiano, nei quali un esercito di “ben pagati” cerca di trasformare una facezia in una cosa seria, il nulla nel tutto. Qualcuno dice che si tratta di plagio o di truffa, ma la verità è che al momento il popolo plaudente vuole essere plagiato o truffato. Chi scrive quest’articolo sa di incontrare il favore solo di pochi, ma c’è una Elite che cresce e che sta abbandonando il tavolo del plagio ,anzi la poltrona davanti alla tivù, che inorridisce per la violenza negli stadi, che comincia a pensare che ogni overdose e’ nociva,che la ragione deve prevalere sulla emozione.


Settimo: è scesa la qualità dello spettacolo diventato sempre e dovunque uguale e per lo più scadente, soprattutto in Italia. C’era una dottrina appassionata di un vecchio allenatore che diceva:” palla avanti e galoppare”. Era un calcio veloce,
divertente, funambolico, le squadre seguivano il pallone verso la porta avversaria e si ritiravano altrettanto velocemente quando la perdevano. Poi dagli uomini di campo si è passati ai “Soloni della lavagna”, quelli che studiano a Coverciano alla
scuola per allenatori ed il motto è diventato:”primo non prenderle”, con le squadre arroccate in difesa che quando riconquistano il pallone lo passano dal un giocatore all’altro, compreso il portiere, nella propria metà campo. Il mantra ora è che “quello che conta è il risultato”, ossia vincere per uno a zero.

osì lo spettacolo muore, ma la folla plagiata, vittima della passione, applaude alla vittoria, e tanto basta ai teorici del non gioco, malgrado spesso l’uno a zero si trasforma nello zero a uno . Poi ci sono quelli del passaggio indietro come prima regola, quelli che il contropiede lo fanno fare in due massimo in tre perché la linea di centrocampo deve essere superata solo “lento pede” , quelli che il centravanti lo considerano l’agnello sacrificale da immolare in assoluta solitudine in mezzo ai difensori avversari per far credere che sia il pericolo numero uno, che invece non è. Per fortuna a fronte di questi condottieri in giacca e cravatta, ce n’è di quelli, pochi, controcorrente. Sono e saranno loro la salvezza di un gioco che era un bel gioco e che è diventato uno spettacolo senza fascino in via di smobilitazione? Passione a parte.


Ottavo: i calciatori chiaramente riescono a rappresentare un esempio di regressione della specie: il loro protagonismo con la variopinta coltivazione del pelo, ossia di barba e capelli, e l’utilizzo della propria pelle per tatuaggi parziali o totali,
come dimostrazione di una cultura non alfabetizzata, rappresentano un vero cattivo esempio per la gioventù che le Società sportive non dovrebbero tollerare. E poi le interruzioni del gioco per un calciatore a terra, che va bene quando ciò è dovuto ad una caduta, uno sgambetto, un calcio, un pestone , ma che non può giustificarsi per una gomitata o per uno schiaffo, insomma tutti a terra per eccitare gli animi del pubblico ed intimorire gli arbitri. Esattamente il contrario di quello che l’ordine pubblico richiederebbe.

Così poi fuori dallo stadio prima e dopo la partita, il tifo e la passione si trasformano in violenza o forse rappresentano l’alibi per i violenti la cui partecipazione all’evento non è legata al tifo ma è l’occasione per misurare la propria forza, il proprio istinto selvaggio, fatto di pestaggi, distruzione, incendi, coltellate ed ogni tanto ci scappa il morto. Allora si dice che l’ordine pubblico non era sufficientemente garantito ed anche che bisogna schierare l’esercito, allora si dice che il calcio è finito, che siamo tornati all’epoca dell’Impero Romano quando l’Olimpico non c’era, ma c’era il Colosseo per liberare la violenza e fare scorrere il sangue.

Cicli della storia ? Orrore da prevenire, contenere, condannare, ma anche da ricercare nel disagio sociale, politico, culturale di certa gioventù e di certi adulti che sono cresciuti male. Finale: meditate gente, meditate. Il programma di tutela e di rinascita di un grande spettacolo sportivo quale è il gioco del calcio dovrebbe essere impostato sul presente, non con il ritorno al passato, ma con una corretta efficace e rapida programmazione riportandolo alla giusta dimensione, al di là delle molte storture degli anni che stiamo vivendo, con la collaborazione di tutti, perché un gioco ritorni ad essere un gioco semplice e divertente di ragazzi bravi e non una battaglia.


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