CARMINE FOTIA
La sconfitta del centro sinistra in Liguria, ancorchè di stretta misura, anzi proprio per questo, dovrebbe fare squillare un campanello di allarme nella testa di Elly Schlein.
Se non vinci in una regione dove il centro destra è stato travolto dagli scandali e dove hai messo in campo un big come Andrea Orlando e dove il tuo partito doppia Fratelli d’Italia e raggiunge vette da Pci berlingueriano, è evidente che devi guardare alla realtà con occhi nuovi. Mettiamo in fila alcuni fatti.
Anzitutto, gli scandali giudiziari e i gravi episodi di corruzione spingono i cittadini ad allontanarsi dal voto e rifugiarsi nell’astensione piuttosto che favorire uno o l’altro schieramento. Di conseguenza il peso elettorale di chi, come il Movimento 5 Stelle, è nato sull’onda dell’indignazione populista e giustizialista è destinato a scemare. In tutto il Nord produttivo il peso del Movimento è ininfluente e marginale.
Le convulsioni interne ne sono l’effetto, non la causa che risiede invece nella natura stessa del populismo, forte proprio perché e fino a quando resti inafferrabile e inclassificabile, ma che va in mille pezzi nel duro confronto con la realtà e finisce come capita sempre ai partiti populisti in una dura lotta tra capi dove conta solo il potere.
Bisogna che il populismo consumi la sua crisi senza precipitarci dentro con un’idea di alleanza strategica tra Pd e M5S.
Il campo largo, dunque esiste solo nell’utopia di Goffredo Bettini che sognava l’innesto del populismo delicato di Giuseppe Conte per rivitalizzare un Pd stanco e diviso. Agli elettori si dovrebbe presentare la piattaforma politica del principale partito di opposizione, una leadership nuova, forte, credibile come potrebbe essere quella di Elly Schlein se fosse libera da lacci e lacciuoli che ne frenano le capacità espansiva.
La Liguria ci dice anche questo: il centrodestra ha vinto con una candidatura forte, in qualche modo civica, in grado di attrarre anche voti moderati non non necessariamente di destra che in queste elezioni non hanno trovato rappresentanza nel centro sinistra per i veti di Conte e per l’infantile e nevrotica rissa nello schieramento di centro e che hanno consegnato la vittoria a Bucci.
Non si tratta di tornare a una logica di autosufficienza ma di fare capire agli elettori chi detta le regole e determina la strategia dell’alleanza. Pochi punti di programma e leadership nelle mani del partito guida. È una scelta che andrebbe fatta subito, con evidenza, dandogli il senso di una svolta, ricollocando il Pd al centro della scena e ponendo davanti ai potenziali alleati la scelta di adeguarsi a questo nuovo corso o sparire. Nuove stringenti regole d”ingaggio: alleanze valide a livello nazionale e non a macchia di leopardo, pochi punti di programma cui attenersi.
Non servono caminetti, riunioni tra capi, occorre una leadership che parli tanto agli elettori smarriti del centro sinistra quanto ai moderati in bilico. Ci sarebbe bisogno di un gesto rapido, una svolta come quelle cui si sono capaci solo i leader coraggiosi e lungimiranti. Finora Elly Schlein ha sbagliato poco. Ora si tratterebbe di compiere un salto.
L’urgenza è dettata dal fatto che con tutti i guai che la aspettano (anni di lacrime e sangue, riforme divisive nel suo stesso campo) non è detto che Giorgia Meloni voglia aspettare la conclusione naturale della legislatura. Tanto più se (Dio ce ne scampi) Donald Trump dovesse vincere le presidenziali americane. A quel punto la tentazione di cavalcare l’onda e affondare un’opposizione allo sbando potrebbe essere irresistibile.
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