ELOGIO DI SÉ STESSO: UN’AUTORECENSIONE

«Solo la luce che uno accende a sé stesso risplende in séguito anche per gli altri» (Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Adelphi, 1998). Ciò vien detto a proposito di un mio libricino pubblicato nello scorso febbraio dalle Edizioni Sabinæ (Elogio di sé stesso,pagg. 64, euro 8,00), per il quale è nata qui l’idea di un’autorecensione, un genere giornalistico-letterario (?) probabilmente nuovo.

A voler tessere un elogio dell’«elogio», è anche da citare Gesualdo Bufalino, che diceva: «Quanto male è nato dal pregiudizio che il biasimo sia intelligente e l’elogio stupido»; e il pensiero va anche all’elogio di S. Francesco che fa Dante nell’XI canto del Paradiso, all’Elogio della Follia di Erasmo, all’ “Elogio degli Uccelli”nelle leopardiane Operette morali e ai tanti elogi, spesso anonimi, alla modestia, all’eroismo, alla maternità, e perfino alla povertà, alla miseria, addirittura alla morte… E ad altri titoli più recenti e cólti: Elogio della lettura di Vargas Llosa, Elogio della letteratura di Zygmunt Bauman, Elogio dell’imperfezione di Rita Levi Montalcini, Elogio della penna stilografica di Giuseppe Neri, Elogio della Disarmonia di Gillo Dorfles… E non solo, poiché, spulciando il catalogo della casa editrice napoletana Pironti, si ritrovano titoli originali, come l’Elogio del gatto di Vittorio Paliotti, l’Elogio della suocera di Beppe Lanzetta, l’Elogio della bugia di Marcello D’Orta, e l’Elogio del filobus di Mauro Giancaspro; lo stesso Giancaspro è autore di un originale Elogio della zoccola pubblicato nelle Edizioni Sabinæ.

Il catalogo Pironti è ricco di tanti altri titoli, eccone alcuni tra quelli più curiosi e originali: Elogio della lettera anonima (Mauro Giancaspro); Elogio del caffè al bar (José Quirante Rives); Elogio di San Gennaro (Pietro Treccagnoli); Elogio della mala parola (Aldo di Mauro); Elogio della donna erotica (Tinto Brass); Elogio del nullafacente (Luigi Piazza); Elogio della malafemmena (Giancarlo Dotto); Elogio della risata (Mimmo Liguoro); Elogio dell’adulterio (Maria Roccasalva); Elogio dell’eros (Maria Roccasalva); Elogio del recupero (Mauro Giancaspro).

Per tornare al mio Elogio di sé stesso, il titolo del libricino, naturalmente, non è affatto indice di grande supponenza, giacché l’autore (che sono io…) non ha avuto affatto l’intenzione di chi va lodandosi e, per coerenza, meno che mai di sé stesso.

Sì, perché ‘elogio di sé stesso’, quasi un pamphlet, con gioco di sfacciata ambiguità, è da leggersi come un elogio del sintagma sé stesso con riferimento all’auspicata accentazione, sempre utile a ben distinguere il pronome dalla congiunzione se. È questo l’effettivo intento dell’autore; per il quale, a dimostrare la propria tesi (che più che tesi è una certezza), egli riporta le testimonianze di vari linguisti (Luca Serianni, in primo luogo, e poi altri, da Amerindo Camilli a Fausto Raso, da Aldo Gabrielli a Bruno Migliorini, da Maurizio Assalto a Giuseppe Antonelli). A suo sostegno figurano anche citazioni di vari autori contemporanei che usano accentare il sé stesso (e il sé stessa), senza invocare l’ausilio del contesto che, a dire degli oppositori all’accento, basterebbe per ben distinguere.

Le argomentazioni e le citazioni svolte e riportate valgono a mostrare come, per quasi un secolo, le ignare maestre abbiano aggiunto una stupida regoletta, che ha introdotto un’eccezione senza alcun fondamento e che non ha fatto altro che complicare anziché semplificare. La regoletta è stata insegnata e imparata a memoria senza soffermarsi sul fatto che in pratica si tratta di una complicazione, quando invece una norma chiara e semplice ci sarebbe: il pronome si accenta sempre, e basta!

L’autore non si spreca a perorare la causa per il sé stessi giacché non ve n’è bisogno, vista la fortunatamente quasi sempre riconosciuta necessità dell’accento per distinguerlo dal se stessi pròtasi di un periodo ipotetico che precede l’apòdosi. Lo stesso vale relativamente al sé stesse.

Intanto, deve riconoscere con soddisfazione che il sé stesso ne ha fatta di strada, mentre le grafie diverse derivano da quel falso insegnamento scolastico, dove si continuano (?) a diffondere regole illogiche e senza ragione. Sì, perché da qualche tempo è diventato fatto non infrequente ben ritrovarlo nelle pagine di quotidiani e riviste; tra il 2015 e il 2020, in un ampio corpus di articoli usciti su “la Repubblica”, risultano presenti 1.360 attestazioni di sé stesso a fronte di 7.173 occorrenze della forma non accentata; deve anche ritenersi, però, che il rapporto (~19%) sarebbe stato più elevato, se l’indagine fosse stata estesa alle forme sé stesse e sé stessi (grazie, in questi casi, alla riconosciuta possibilità di equivoco). E, con molta soddisfazione l’autore riporta la decisione della Neri Pozza di introdurre l’accentazione del sé stesso tra le sue norme editoriali, tra le quali è pure quella che pone l’accento acuto, e non grave, sulle í e sulle ú accentate.

La stessa “protesta” viene svolta a proposito della mancata distinzione tra il su preposizione e il avverbio che, a ragion veduta, dovrebbe essere accentato; ma la cosa viene giudicata un’inutile pignoleria, tanto da essere raramente contemplata nelle grammatiche e egualmente indicata come rara in molti dizionari. Anche in questo caso si sostiene che basta il contesto per giustificare l’eliminazione dell’accento. Ma allora dovrebbe essere così anche in molti casi analoghi, osserva Antonelli «che riguardano altri monosillabi: come ‘fatti più in là’, in cui non c’è alcun rischio di confusione con l’articolo, o ‘dimmi di sì, laddove nessuno scambierebbe l’avverbio affermativo per il pronome riflessivo».

I dilemmi linguistici vengono così esposti, tra il serio e il faceto, non soltanto attraverso percorsi logici, attenzione a regole grammaticali specifiche, riferimenti ad autori classici e all’opinione di specialisti, ma anche mediante divagazioni, forse surreali e deliranti, che alleggeriscono il libello discostandolo da quello che potrebbe apparire un pamphlet pienamente studiato e dal carattere scientifico. Ne è prova lo stesso titolo scelto, che assicura circa il tono dello scritto; uno scritto, almeno apparentemente, scherzoso, quasi da essere considerato un divertissement, ma che aspira comunque a essere letto, considerato e ci si augura accettato nelle sue conclusioni. Delirante, ad esempio, è l’accenno a un testo dello stesso autore, L’accentuazione dell’accentazione, nel quale ogni parola appare accentata, piana, sdrucciola, bisdrucciola… che sia.

E c’è anche dell’altro nelle poche pagine del libricino, a proposito, per esempio, della proposta di introdurre nella nostra scrittura, come in quella spagnola, i segni capovolti ¿ e ¡ a inizio delle frasi interrogative ed esclamative; e ancora quella di distinguere il vocabolo che indica il nipote da nonno da quello da zio. Senza dimenticare le pagine riguardanti una “deriva tollerante” relativa a forme errate che rischiano di entrare a far parte della lingua corrente

¿ ? ¡ !

A proposito di strane recensioni viene da ricordare quelle di tale Pellegrino Dandi, abate del Settecento, il quale si rese autore di una serie di originali plagi; essi avevano oggetto recensioni di libri scritte da altri, ma che egli faceva proprie firmandole con il proprio nome. E, ancora, le performance di due oplepiani, Giuseppe Varaldo e di Cesare Ciasullo: Ciasullo ebbe a scrivere venti poesie che seguivano altrettante recensioni compilate da Varaldo (Recensioni preventive, Biblioteca Oplepiana n. 37, Napoli, 2014).

Questo, però, dell’Elogio di sé stesso è un caso diverso: la recensione è mia e la firmo con il mio nome!

Per ordinare il volume o avere informazioni: ordini@edizionisabinae.com


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