Buongiorno presidente Barbabella,
pensavo di attendere la pubblicazione degli atti del Convegno di Orvieto per rileggere con attenzione una serie di interventi molto interessanti che hanno cercato di dare corpo e prospettive al tema del civismo al centro dell’incontro.
Poi è prevalsa l’idea di scriverti le mie impressioni subito.
La vita non si ferma e non si ferma la politica, ed anche se le esperienze nazionali ed internazionali di questi ultimi anni ci lasciano un panorama tutt’altro che entusiasmante non possiamo rinunciare a partecipare.
Negli ultimi anni l’assetto tradizionale dei partiti si è via via disgregato ricostruendosi poi in forme ed assetti imprevisti e spesso politicamente inefficaci a determinare un rilancio Italiano fatto di innovazione e riforme.
Assistiamo quasi quotidianamente ad organizzazioni politiche che, senza il collante ideologico tipico del ‘900, stentano a ricostruire percorsi di partecipazione democratica e di competente impegno amministrativo e politico.
E’ dai primi anni ’90 che attraversiamo crisi di identità senza individuare soluzioni convincenti per il rilancio del nostro Paese.
Disaggregare e poi provare a riaggregare sembra l’ultima e l’unica strada da tentare.
E’ un’onda lunga che non penso si arresti velocemente.
L’oggi lascia l’impressione di una stabilità riconquistata.
E’ una stabilità che personalmente non mi coinvolge e che non condivido ma soprattutto è una stabilità fondata sulla rinuncia a partecipare, sulla astensione nelle scelte elettorali, sulla sfiducia nelle capacità di Parlamento e Governo a gestire riequilibrio sociale e sviluppo sostenibile. Rilanciare il movimento politico è una impresa. Non sarà breve e non sarà facile.
Ma probabilmente vale la pena provarci. E probabilmente è opportuno riprovarci partendo dalle realtà locali.
Certamente è necessario ricostruire percorsi ed argomenti che stimolino e diano senso alla partecipazione dei cittadini partendo appunto dai temi più concreti e che immediatamente possono incidere nella nostra vita ed attività.
Organizzare questa partecipazione attraverso momenti di attribuzione di deleghe e di successive verifiche per selezionare in primo luogo nuove competenze ed obiettivi misurabili comporterà uno sforzo molto impegnativo.
I Comuni possono e devono tornare al centro della attenzione dei cittadini e di conseguenza della politica per ridar voce a quella che ormai da tempo è un area di crescente disillusione e rifiuto dei partiti tradizionali.
Il PD e la sinistra, che pure ancora oggi esprime numerosi amministratori e sindaci di grande capacità amministrativa e coinvolgimento del sociale, mostra da tempo un sostanziale disinteresse a rilanciare l’azione politica a questo livello. Governare le maggiori città sembra un “dato acquisito” piuttosto che un trampolino per una nuova e più forte iniziativa politica ed amministrativa.
Il centralismo è costitutivo della filosofia dei Partiti di destra e nel movimento Berlusconiano il centralismo è nel DNA del leader e nelle regole che ha imposto.
E’ questo confronto-dibattito a livello locale che dobbiamo essere capaci di rilanciare e coordinare per riconquistare fiducia e delega da cittadini che riprendono coscienza del proprio ruolo e nella possibilità di incidere di più e meglio nei fattori dello sviluppo sia personale che della propria comunità.
Ecco una delle cose che ho salutato positivamente nel Convegno: nessuno -nemmeno Signorile o e Mita- si è dedicato a rimpiangere il glorioso passato della prima repubblica.
Nessuno si è aggrappato al salvagente dei ricordi.
Si può e si deve guardare avanti.
Ed uno dei primi obiettivi da proporsi mi pare quello di andare incontro al grande bacino elettorale degli astensionisti con la forza di una diversa impostazione delle priorità e dei metodi di confronto, di selezione delle competenze, delle deleghe di rappresentanza.
E questo impegno non può e non deve fermarsi al sostegno di singoli progetti più o meno rilevanti; c’è un sistema Italia da rinnovare e rilanciare e c’è una visione globale del nostro Paese che deve sostituire come strumento di aggregazione gli ideologismi che oggi non esistono più o che hanno fallito nel promuovere le comunità che hanno voluto accettarli.
Oggi, quindi, mi pare importante segnalarti anche i problemi che vedo profilarsi davanti ad una iniziativa politica impegnativa proprio perchè riparte con l’obiettivo di rilanciare il ruolo delle comunità locali.
I Comuni in Italia sono sempre stati molto di più che una semplice entità amministrativa, ma rimane il fatto che ripartire da questo livello comporta uno sforzo sia di elaborazione politica che di gestione amministrativa assolutamente straordinaria.
Se ci fermiamo al livello Amministrativo le scelte su singoli progetti producono esiti concreti e sostanzialmente immediati, sia nel bene che nel male.
Ma è impossibile non alzare gli occhi e guardare sia al livello Regionale sia poi al livello nazionale, ed oggi anche internazionale.
Incanalare le singole scelte in una dimensione più ampia come quella regionale ed integrarla poi nel contesto nazionale, di sistema Paese necessita di uno sforzo importante per aderire ad una visione più ampia, di sistema Paese.
E questa necessaria adesione può essere facilitata solo ideando procedure nuove che non deludano singole vocazioni locali con un troppo abusato richiamo ad “esigenze superiori”.
Ecco perciò la necessità di non trascurare un più ampio contesto ideale e politico nel quale collocare la nuova iniziativa politica che si sta immaginando.
Personalmente non credo si possa rinunciare ad un ruolo di leadership capace di sintesi e di indirizzo, che colleghi e raccolga le esperienze locali e le questioni di carattere nazionali, necessarie a dar contenuti ed obiettivi per qualsiasi forza politica.
Altre esperienze politiche nate con la volontà di promuovere adeguatamente territori specifici o importanti città hanno dovuto fare i conti con la mancanza di una ispirazione ideale, etica e politica, e di un metodo di gestione capace di integrare e valorizzare i singoli apporti.
E poi il valore del contesto geopolitico. Fino a pochi anni fa la politica estera era importante ma gestita sostanzialmente come accettazione passiva del vincolo atlantico e come occasione di ricordo commosso del contributo italiano ad immaginare la realizzazione della Comunità Europea.
La politica estera era considerata e vissuta più come una serie di linee rosse da non superare piuttosto che come una occasione per dar vita ad iniziative politiche e programmatiche capaci di ridefinire l’Italia come un soggetto attivo e propositivo sia nel progresso concreto dell’Unità Europea sia nel nuovo quadro di riferimento internazionale con la crescita di Cina ed India destinate ad imprimere un significativo cambiamento nei tradizionali equilibri geopolitici.
La capacità e la competenza nella gestione dello sviluppo delle singole realtà comunali non può restare disgiunta da un momento di impegno politico più generale che attraverso le elezioni politiche definiscano alleanze di governo più adeguate al nuovo contesto europeo ed internazionale consentendo ai cittadini forme di partecipazione concrete con il medesimo criterio adottato per la nuova iniziativa a livello civico Comunale.
La scelta Occidentale di Alleanza con gli USA e gli altri Paesi che da sempre si collocano nell’area delle democrazie; la scelta convintamente Europeista che punti da un lato a dare maggior efficienza alla governance con la cancellazione del diritto di veto ed una visione tendenzialmente federalista che consenta di governare con decisioni a maggioranza o maggioranza qualificata a seconda dei temi ed in ricaduta rispetto ai trattati. Una scelta europeista che acceleri sulla costituzione della Forza Militare Europea distinta dalla NATO e governata con una politica estera Europea insieme al rafforzamento della politica di bilancio Europea.
Queste azioni dovrebbero consentire alla EU di discutere con gli USA un diverso equilibrio con una redistribuzione delle responsabilità nei diversi scacchieri. E’ essenziale riportare al centro della azione politica Europea, e poi occidentale, il tema del Mediterraneo allargato e contemporaneamente un intenso programma di collaborazione economica, culturale e politica con l’Africa candidata naturalmente a risultare centrale negli equilibri, in primo luogo economici, nei prossimi decenni. Una nuova presenza non coloniale della EU in Africa ed in primo lugo nei Paesi fronte Mediterraneo è una priorità non più trascurabile. La EU dovrà farsi carico di gestire i nuovi equilibri con la Russia e Bielorussia consolidando contemporaneamente la propria presenza nei Balcani. Infine la Cina. Un equilibrio diverso e tendenzialmente paritario tra EU ed USA pur nel riconoscimento della leadership americana consentirà alla EU di gestire un più efficace rapporto con la Cina valorizzando le esigenze commerciali della Cina in cambio di una più coerente adesione a principi di democrazia sociale ed economica.
Questo comporta in Italia uno sforzo per riaprire il confronto su alcune necessarie modifiche alla Carta Costituzionale puntando sulla maggior efficienza della azione governativa con maggiori poteri al Presidente del Consiglio, l’adozione del monocameralismo, la conferma del Capo dello Stato come istituzione di garanzia.
Non credo proprio di aver esaurito gli argomenti di cui si potrebbe discutere ma spero di averti spiegato come ho vissuto l’opportunità che mi hai offerto invitandomi al Convegno ad Orvieto.
E’ molto vera la notazione fatta da uno degli oratori: “il centro non è moderato per definizione; non si sta al centro ma si conquista il centro”.
Non mi soffermo sulla quotidianità di un Governo Meloni che con abilità sta sfruttando le linee guida ed i risultati ottenuti da Draghi sia a livello nazionale che in Europa, aggiungendo di suo sempre più sbiadite ma dannose iniziative di bandiera.
Meloni e Giorgetti giocano con astuzia su una linea di continuità con il precedente Governo in attesa e con la speranza di poter godere di maggior respiro a ridosso delle prossime elezioni europee.
La disarticolazione della opposizione parlamentare e sindacale sta agevolando il percorso Meloni.
Il PD ha rinunciato a sottolineare la continuità ed il vantaggio che deriva dalla copertura offerta da Draghi ed il M5S cerca inedite alleanze con parte delle organizzazioni sindacali più chiaramente movimentiste privilegiando le piazze alla iniziativa politico-parlamentare per mancanza di competenze e iniziativa politica.
In sostanza c’è la necessità di una forte discontinuità nella iniziativa politica di riformisti. Innovatori
E democratici. L’iniziativa civica può essere un buon punto di partenza ma a patto di non ripetere errori già commessi da altri in passato. Disegniamo prima il percorso completo anche se forzatamente sarà a tappe.
Un saluto
Giorgio Casadei
RISPOSTA DEL PRESIDENTE
GRAZIE, CARO GIORGIO, DI QUESTE SUE GRADITE RIFLESSIONI
Questo, com’è naturale, non è il solo contributo di riflessioni conseguenti al convegno di Orvieto, ma di quelli che ci sono giunti è certamente il più ricco di analisi e di proposte approfondite e coerenti. Un grande, intelligente contributo. Mi pare che del convegno colga innanzitutto il significato primario: il tentativo del civismo di ridare senso alla politica ridefinendone fondamenti e direzione. Non è poco, in una fase storica in cui domina lo schiacciamento sul presente, l’incompetenza, il pressappochismo fino all’irresponsabilità.
C’è un dato incontrovertibile che condividiamo: i partiti tradizionali si sono sgretolati per non aver capito il cambiamento di scenario e le tempestose trasformazioni culturali e di sensibilità che hanno accompagnato il mutare dei tempi, allontanandosi così dai bisogni e dagli orientamenti delle persone. La crisi delle ideologie non è stata superata con un nuovo pensiero, si è generato un vuoto e ci si è accontentati di amministrare l’esistente. Così la povertà intellettuale è diventata perdita di fiducia e di speranza e larghi ambienti di popolo hanno rifiutato la politica e si sono rifugiati nell’astensionismo. Massima responsabilità della sinistra aver tradito la sua missione storica. La destra ha collaborato al degrado ma ne ha saputo trarre vantaggio. I settori moderati e riformisti non hanno saputo reagire e sono rimasti deboli e dispersi.
Ecco, il civismo reagisce a questo stato di cose. Giorgio Casadei coglie nei suoi connotati profondi la differenza tra l’operazione di scomposizione e ricomposizione delle alleanze politiche che le classi dirigenti hanno tentato dagli anni novanta in qua e quella che oggi tenta il civismo. Da una parte il tentativo, di fatto disperato, di sopravvivere insieme ad un sistema sempre più vecchio e inadeguato, dall’altra quello di reimpostare la politica su nuove basi, di pensiero e di azione. In sostanza, la differenza tra un’operazione di vertice fatta di accordi strumentali e di potere senza disegno e senz’anima e un’operazione che riscopre il punto di partenza, la forza della realtà dove pulsa la complessità della vita, il cardine, il birillo del biliardo di Foligno.
Si tratta appunto di rimettere al centro del pensiero e dell’iniziativa politica le comunità locali e su di esse ricostruire il sistema, anzitutto la logica del sistema. È su questo che stiamo ragionando. E lo facciamo proprio abbandonando il localismo, la logica deleteria secondo cui ogni comunità si pensa autonoma se basta a sé stessa. Mai il civismo aveva tentato di organizzarsi per uscire da questa logica, mai aveva tentato di fare il salto, di trasformare le differenze in processo di unità che diventa ricchezza di ciascuno in quanto lo è di tutti. Si presenta per questo come la via verso una nuova visione del sistema Paese, come giustamente sottolinea Casadei.
Ci è chiaro dunque perché sono fallite le alchimie della sinistra, perché il populismo ad un certo punto ha trionfato e perché la destra è stata più abile a trasformare le disillusioni, le paure e le ansie in progetto di consenso vincente. Il sovranismo tira più che l’internazionalismo o l’europeismo; i proclami della chiusura dei confini contro l’invasione dei migranti vanno dritti al cuore e hanno più fascino che razionali politiche di gestione dei flussi e dell’accoglienza; la diffusa diffidenza verso la scienza, i saperi e le competenze, consente quelle spericolate e redditizie operazioni demagogiche che le spiegazioni razionali, le metodiche di ricerca e le applicazioni con rigorosi protocolli non possono consentire.
Ci è chiaro allora anche perché ha preso forza il disegno conservatore con l’obiettivo ad esso consustanziale del rovesciamento della governance dell’Europa, e contestualmente perché questo non può essere contrastato con operazioni che ripetono il già visto e fallito: alchimie di breve momento e patti tra leader. Ci vuole ben altro. Ci vuole un progetto riformatore di ampio respiro, che partendo dalle comunità e dai territori investa l’intero sistema, un “vento del nord” che magari spiri stavolta dalla direzione opposta, “il vento del sud”, ma con la stessa forza o anche maggiore.
Le stesse culture disperse e deboli del riformismo possono essere aggregate attorno ad un disegno riformatore se il disegno è grande, se suscita la passione del pensiero che diventa partecipazione. Un’utopia che interpreta e cambia la realtà sfiduciata e stanca. Soltanto una mente aliena può pensare che la via sia quella del partito unico, cioè la rinuncia alle differenze di storia, cultura e protagonismo. La vera sfida di oggi è infatti proprio quella di valorizzare l’apporto che ciascuna esperienza significante può dare alle altre esperienze significanti. Ciò che pone la questione della visione prospettica, del disegno che la rende percettibile e del progetto che la rende realizzabile.
Paradossalmente ma non tanto, è proprio la partenza dalla molteplicità delle comunità e dei territori propria del civismo che pone l’esigenza pressante di trovare le coordinate condivise dell’unità, di individuare il paradigma che può tenere insieme le molte differenze, di provenienza, di esperienza, di interesse e di avanzamento sociale e culturale. Il civismo è per questo naturalmente federalista. Lo è come visione politica della nuova Europa di cui c’è urgente bisogno nel mondo che si riorganizza in senso plurale e con forte impronta competitiva intorno a nuovi centri di potere.
Lo è come visione di una nuova Italia, che può uscire dal suo permanente disequilibrio solo se da una parte la si trasforma col criterio della piramide rovesciata – il Mediterraneo come punta di diamante dell’Europa e il Centro-sud o Sud-centro come punta di diamante dell’Italia – e dall’altra si chiude con il centralismo, sia statale che regionale, e si riorganizza il sistema intorno a reti di città che trovano il supporto necessario in una nuova configurazione delle regioni come macroregioni di programmazione e di servizio per le grandi infrastrutture e le politiche macroterritoriali. L’Italia attende riforme da cinquant’anni. È un’impresa, ma va tentata, e che almeno si cominci avendo una visione coerente dei punti di crisi, dei bisogni, delle possibilità e del percorso. Un’utopia operativa.
Infine, il civismo è federalista al suo interno, per il processo di aggregazione che non schiaccia nessuno e valorizza tutti in quanto concilia la governance unitaria con lo spazio di intangibilità che ciascuno è chiamato ad esercitare con responsabilità, competenza, sapienza, spirito di collaborazione. In questa prospettiva federalismo vuol dire ricerca costante delle soluzioni ai problemi che si pongono e in questa fase costitutiva vuol dire in particolare manifesto di principi e di regole fondamentali, un patto tra pari.
Siamo in cammino. Sappiamo che nulla è scontato. Siamo consapevoli che potremmo anche non riuscire. Ma la consapevolezza che questo che viviamo è il mondo dell’incertezza non ci spinge all’inerzia, ché anzi ci convince che proprio l’incertezza è l’ambiente delle opportunità in cui si possono meglio esercitare l’intelligenza, la passione e la generosità.
Grazie a Giorgio Casadei per questo suo contributo. Ci auguriamo che voglia partecipare insieme a noi a questa impegnativa ma anche entusiasmante avventura e che partecipi perciò, nel modo che riterrà più giusto e coerente con le sue convinzioni, alla fase costituente della Federazione civica nazionale, che si configura ormai come alleanza di alleanze e dunque come Alleanza dell’Italia Civica.
Franco Raimondo Barbabella
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