L’imprevedibile “tranello” organizzato a casa Segre fa strage di un luogo comune (è
destino dei luoghi comuni essere continuamente smentiti) che sostiene che i torinesi sono falsi e cortesi. Qui siamo di fronte al contrario: veri e sinceri (fino all’autolesionismo) ma molto maleducati.
Se è per questo c’è una aspettativa scontata anche sui banchieri : la riservatezza, la discrezione, il silenzio non è solo la loro attitudine ma anche una regola deontologica. Meglio di loro solo i notai.
Infine è largamente condiviso che l’unico difetto che non può essere associato a un uomo di finanza è la cafonaggine.
Tutto questo è stato scardinato in quello che sembrava una sorta di addio al celibato e che si è tramutato in un addio al matrimonio.
Un testo nascostamente preparato, ben recitato, pieno di pause ad effetto.
Non cascateci, il dottor Segre non si considera un cornuto bensì un eroe senza macchia e paura, un vendicatore dell’umanità tradita.
Siccome ho programmaticamente deciso di non stupirmi più di niente, non mi dedicherò alla valutazione dei torti reciproci, alla vergogna (che non a caso deriva da “gogna”), alla umiliazione e agli altri sentimenti svillaneggiati nell’occasione, per sottolineare solo il male del secolo: l’esibizionismo social e la scomparsa del senso del ridicolo.
“Chi può” imita ormai nella vita le peggiori trasmissioni televisive.
I matrimoni somigliano ad uno show del sabato sera, con l’orchestra e il balletto, i fuochi d’artificio, il cuoco “bistellato” e il presentatore.
In attesa che sia possibile affittare le “frecce tricolori” per un paio di passaggi.
Tanto è vero che le reti televisive li mettono in onda come fossero trasmissioni, trovandosi pronti del programmi pagati dal padre della sposa.
Se quanto abbiamo visto a Torino fosse stato scritto in una sceneggiatura cinematografica, uscendo dal cinema avremmo detto: “una trama inverosimile, troppo esagerata”.
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