FINE REPUBBLICA: CRAXI E IL TRAMONTO DI UN’EPOCA

L’INTERVENTO INTRODUTTIVO ALLA CONFERENZA E’ DI LUCREZIA BRUZZONE, STUDENTESSA MAGISTRALE IN GOVERNO, AMMINISTRAZIONE E POLITICA – LUISS

Buongiorno a tutte e a tutti,

è per me un onore aprire questo incontro e rivolgere innanzitutto un sentito ringraziamento e saluto ai nostri ospiti illustri, che hanno generosamente accettato di condividere con noi riflessioni ed esperienze su una stagione decisiva della storia politica italiana.

  • GIULIANO AMATO, presidente emerito della Corte Costituzionale,
  • PIERLUIGI BATTISTA, editorialista presso “HUFFINGTON POST”
  • FRANCO BECHIS, direttore della testata “OPEN”
  • MARCO DAMILANO, editorialista “DOMANI”
  • ANDREA SPIRI, lecturer presso la LUISS SCHOOL OF GOVERNMENT
  • GAETANO QUAGLIARIELLO, direttore della LUISS School of Government.

Nel corso del mio intervento procederò a presentare meglio i nostri ospiti, in modo tale da non rendere “solo” omaggio alla loro riconosciuta competenza e autorevolezza, ma anche per evidenziare come ciascuno di loro abbia contribuito, con pensiero critico e passione civile, a riflettere sui temi centrali della conferenza di oggi.

Un caloroso benvenuto va anche a tutti i colleghi e colleghe che hanno scelto di unirsi a noi questa sera. La vostra presenza conferma quanto sia ancora vivo l’interesse per una fase storica che ha segnato in profondità la vita politica e istituzionale del nostro Paese.

In un suo recente intervento sull’Huffington Post, PIERLUIGI BATTISTA ha osservato come il racconto di Bettino Craxi sia stato troppo spesso imprigionato tra pregiudizi contrapposti, invitandoci a riflettere e a rileggere la sua eredità politica con uno sguardo libero da ideologie.

Ed è proprio da questa esigenza che è nata, in ASP, l’idea alla base della conferenza di oggi: offrire, a venticinque anni dalla sua scomparsa, una lettura più profonda, consapevole e plurale di una figura che ha segnato – nel bene e nel male – un’intera stagione della nostra Repubblica.

In questo senso, scriveva circa un mese fa su Domani MARCO DAMILANO, che “tra agiografie improvvide e demonizzazioni mai finite, la lezione politica di Craxi è ancora tutta da studiare”.

Ed è vero: quella lezione è ancora viva, anche nei suoi limiti e nei suoi errori. Fu la lezione di uno statista, di un grande socialista, che può ancora offrire spunti preziosi per orientarsi in un mondo attraversato da trasformazioni profonde.

Due furono le direttrici fondamentali che orientarono costantemente il suo operato.

Da un lato, la necessità di modernizzare il Paese. L’Italia usciva dagli anni durissimi del terrorismo, delle grandi lotte sociali, della crisi economica e dell’inflazione. Craxi guidò una stagione di riforme politiche e sociali che puntavano a stabilizzare il sistema e a ridare slancio all’economia, contenendo al tempo stesso l’inflazione.

Dall’altro lato, l’urgenza di dare un ruolo nuovo alla sinistra, in un mondo che cambiava. Negli anni del trionfo del liberismo, Craxi cercò di coniugare economia di mercato e stato sociale. La sua intuizione straordinaria fu quella di agire come se la fine del comunismo fosse già avvenuta, anticipando – per certi aspetti – quelle stesse politiche che, anni dopo, avrebbero contraddistinto i governi di Blair e Clinton.

Fu proprio nel segno di una nuova idea di sinistra – liberale, europea e profondamente mediterranea – che Craxi ruppe il consociativismo tra DC e PCI. Tuttavia, non riuscì a superare pienamente l’immobilismo del sistema politico italiano, che restò sostanzialmente bloccato fino all’inizio degli anni Novanta. Craxi, operando pur sempre entro una cornice segnata dai delicati equilibri della Guerra Fredda, impresse un nuovo dinamismo al sistema imponendo, ad esempio, l’alternanza al vertice dell’esecutivo.

Le ricadute concrete di questa svolta sono note:

  • il rafforzamento del prestigio internazionale del Made in Italy,
  • l’ingresso dell’Italia tra le cinque grandi potenze industriali del mondo,
  • la riattualizzazione dei Patti Lateranensi,
  • l’allargamento della Comunità Europea
  • e l’affermazione di una visione autonoma e strategica del socialismo mediterraneo.

È strano, ma non paradossale, come oggi Craxi venga ricordato come antesignano di un certo sovranismo. In realtà, la sua fu una ferma difesa dell’indipendenza nazionale, rivolta contro l’assolutismo dei poteri finanziari e contro una certa idea di subalternità passiva all’interno del Patto Atlantico.

Ma questa posizione non sfociò mai in antieuropeismo, né in chiusure identitarie, né tanto meno in toni suprematisti.

La sua idea di autonomia si tradusse in scelte coraggiose e complesse: la vicenda di Sigonella, la disponibilità al dialogo sul caso Moro, il sostegno alla relazione con la Libia e, al tempo stesso, in un internazionalismo profondo, fatto di relazioni diplomatiche aperte, di visione multilaterale e di impegno per una sinistra europea e mediterranea.

La visione mediterranea di Craxi si concretizzò in una forte apertura verso il mondo arabo e africano, consolidando rapporti strategici, in particolare con la Tunisia di Bourghiba e Ben Alì — la cui stabilità Craxi contribuì a garantire, sventando in poche ore un tentativo di colpo di Stato di ispirazione francese.

Al tempo stesso, fu promotore di un’inedita alleanza con gli altri leader socialisti europei e sostenne, in modo riservato, quei movimenti messi al bando dalle dittature nei rispettivi Paesi, come il Partito Socialista Cileno di Salvador Allende, al quale lo legava anche una profonda amicizia personale. I socialisti italiani furono gli unici in Europa occidentale a sostenere – anche economicamente – l’espressione del Dissenso nei Paesi del blocco sovietico.

Un esempio emblematico fu la candidatura, nel 1979, di Jiri Pelikan – tra i protagonisti della Primavera di Praga – nelle liste socialiste per il Parlamento europeo. Una scelta che contribuì, per molti versi, ad allargare le crepe interne del sistema sovietico, anticipandone il collasso.

In questo intreccio tra indipendenza nazionale e internazionalismo socialista si riflette un’altra delle grandi lezioni politiche sulla globalizzazione lasciate da Craxi.

Ma cambiamenti epocali stavano per investire il Paese, e Craxi non seppe accorgersene davvero.

La sua proposta di una grande riforma costituzionale, orientata verso una democrazia decidente, rimase un’ambizione irrealizzata, da lui stesso definita con amarezza un inutile “abbaiare alla luna”. Nel frattempo, il rapporto con la Democrazia Cristiana, fatto di collaborazione ma anche di tensione costante, si trasformò nel motore di un uso sempre più distorto delle risorse pubbliche.

Ne derivarono l’esplosione del debito pubblico e l’emergere di una questione morale profondamente politica, legata alla crisi del principio di alternanza: la strategia della governabilità, svuotata di senso, finiva per scollegarsi da ogni reale prospettiva di cambiamento.

Su questo snodo delicato si concentra proprio l’ultimo lavoro del professor ANDREA SPIRI, autore del volume Bettino Craxi. Lettere di fine Repubblica. Nel suo libro, attraverso l’analisi degli scambi epistolari del leader socialista, Spiri mette in luce proprio tutta la complessità di questa stagione.

Il crollo del muro di Berlino avrebbe richiesto un cambio di paradigma radicale, un cambio di spartito che la direzione dell’epoca, forse, non seppe interpretare al meglio. L’invito rivolto agli italiani ad astenersi dal voto al referendum di Segni segnò l’inizio della fine. Quell’ “andate al mare che ci penso io” fu un boomerang finito a sbattere nella tangentopoli che spazzò via l’intera Prima Repubblica. Le inchieste proseguirono e si estesero in tutta Italia, offrendo un panorama di corruzione diffusa perfettamente delineato da FRANCO BECHIS nel suo libro “Onorevole l’arresto”. Tra questi anche Bettino Craxi, che a febbraio dovette dimettersi da segretario del PSI.

Per riflettere sull’operato e sull’eredità politica di Bettino Craxi, abbiamo questa sera l’onore straordinario di accogliere tra i nostri relatori il Professor Giuliano Amato, figura di primo piano della vita istituzionale italiana e testimone diretto di quella stagione cruciale.

  • Presidente emerito della Corte costituzionale,
  • già Ministro del Tesoro, delle Riforme Istituzionali e dell’Interno,
  • e Presidente del Consiglio dei Ministri per due volte, la prima nel 1992, in uno dei momenti più delicati della nostra storia repubblicana.

In quel periodo, il Professor Amato si trovò a guidare il Paese proprio mentre prendevano forma le prime conseguenze del Trattato di Maastricht. Un passaggio che impose all’Italia scelte coraggiose e difficili: l’aumento della pressione fiscale, una significativa razionalizzazione della spesa pubblica, l’avvio di un vasto processo di privatizzazione.

Siamo profondamente grati al Professor Amato per aver accettato il nostro invito, ma soprattutto per aver messo, con straordinario senso dello Stato, le sue competenze e il suo rigore al servizio della Repubblica.

In suo saggio straordinario, “Un altro mondo è possibile” la cui lettura ci conforta e ci dona speranza, lei definisce la politica come “l’arte di affrontare e risolvere i problemi che i singoli non sono in grado di gestire” e infatti, da Presidente del Consiglio, ha avuto il coraggio, come pochi altri, di convincere gli italiani e i parlamentari che, in vista del bene comune si devono necessariamente affrontare sacrifici, ma ha anche precisato che, per portare a compimento quest’idea,

“la politica deve essere alimentata da quella risorsa immateriale e invisibile che è la fiducia. La fiducia la si ottiene quando si ha il coraggio di non fare promesse e di chiamare invece alla responsabilità”.

Fiducia e responsabilità, due parole fondamentali nel nostro percorso universitario. Ne aggiungerei una terza che sempre Lei ha citato in una sua intervista nella quale parla dei giovani e del nostro futuro: desiderio.

Viviamo in un tempo in cui sembra mancare il desiderio: facciamo fatica a desiderare davvero, a costruire, a guardare avanti. Eppure, noi, studenti, custodiamo ancora un de-siderio — il bisogno di una stella, di uno sguardo che ci incontri e ci accompagni in relazioni autentiche, capaci di dare senso alla nostra vita.

Lei ha scritto che la politica è una vocazione: prendersi cura degli altri con dedizione, onestà e spirito di sacrificio. È un’idea alta, oggi spesso oscurata dal populismo e dalla rabbia. Ma noi studiamo proprio per resistere alla banalizzazione della realtà, per prepararci a un lavoro nobile, al servizio della “cosa pubblica”.

Anche su questo argomento lei ci ha fornito un consiglio preziosissimo, ci ha detto che “il pensiero ha bisogno degli altri”: della loro compagnia, del loro sguardo, del loro cuore. Dobbiamo tornare a guardarci negli occhi, a incoraggiarci, a fidarci del nostro desiderio profondo.

Lei ha ragione, si tratta di trovare la postura giusta, quella da homo erectus, dritto in piedi: solo così potremo rialzarci, e camminare insieme, con fiducia e speranza.

Anche per questo motivo, la ringraziamo per la sua presenza: che l’esempio politico e morale che Lei ci ha dato possano essere per TUTTI noi lo sprono a guardare in alto e a desiderare di compartecipare alla realizzazione del bene comune.

Grazie.