L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA A SPESE DEL MEZZOGIORNO
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MEZZOGIORNO FEDERATO
Diritti cittadini non dipendono dal territorio di appartenenza
Il tema dell’autonomia differenziata è contenuto nell’accordo quadro di programma del centrodestra. Il testo prevede di “Attuare il percorso già avviato per il riconoscimento delle Autonomie ai sensi dell’art. 116, comma 3 della Costituzione, garantendo tutti i meccanismi di perequazione previsti dall’art. 119 della Costituzione”.
Il tema è delicato, soprattutto perché i programmi tergiversano sul vero nodo della questione, ossia le risorse. 3 miliardi e 383 milioni ogni anno passeranno dalle Regioni del Sud a quelle del Nord. Non se ne parla poco perché l’argomento è ostico, ma il problema c’è e può diventare esplosivo in una stagione di disuguaglianze crescenti.
Come noto, l’idea delle Regioni promotrici, Veneto in primis, è quella di finanziare le maggiori competenze attraverso la trattenuta di parte delle tasse pagate all’interno del territorio regionale.
L’esempio più classico di autonomia rafforzata è quella già in atto nel settore sanitario, che rappresenta la grossa fetta dei bilanci regionali: ha prodotto una competizione caotica, notevoli divari, burocrazia, dissesti e commissariamenti. Forse si dovrebbe partire dall’analisi di quel modello, prima di attribuire nuove forme di autonomia. Solo per fare un esempio: la regione Calabria investe 77 milioni l’anno nel turismo sanitario, devolvendo alle regioni del Nord, in primis la Lombardia una ingente quantità di denaro per sopperire alla mancanza di ospedali nella regione.
La Calabria, con 2 milioni di abitanti, necessita di una unità complessa di terapia intensiva pediatrica; il Veneto, con 5 milioni di abitanti, ne ha 3.
Un bambino calabrese “vale” meno di uno delle regioni ricche del nord. A dimostrazione che quello in corso è un dibattito a razionalità rovesciata.
La riforma del Titolo V è piena di pecche e solo la Corte Costituzionale ha potuto arginare la conflittualità permanente che si è innescata da allora fra Stato e Regioni senza però venire a capo delle contraddizioni derivate dall’equiparazione fra Stato ed Enti locali messi sullo stesso piano come articolazioni della Repubblica. Le Regioni hanno cannibalizzato gli Enti locali, e la costituzione “materializzatasi” dal 2001 a oggi, contraddicendo la sua stessa lettera (il potere di intervenire appartiene all’ente più vicino al cittadino e l’ente superiore interviene solo di riserva), e non si può tacere del fatto che i venti centri di potere regionali hanno già dato ampia prova di clientelismo e di spreco con un estremo affaticamento dei lavori delle corti di giustizia in ogni capoluogo regionale.
Riavutosi dalle batoste subite, passato un po’ di tempo, lo schieramento una volta secessionistico è tornato alla carica trovando un insperato appoggio, sul piano politico ideologico geografico, da parte del “governatore” dell’Emilia Romagna.
L’art. 116 terzo comma della Costituzione ha un solo senso: nelle materie richiamate si possono attribuire forme e condizioni “particolari” di autonomia su richiesta. Le forme e le condizioni debbono essere, appunto, “particolari”. E allora la domanda è: dove stanno le particolarità che rendono fattibile la richiesta delle tre regioni in una delle 23 materie possibili? Possono essere praticate attribuzioni di ulteriori specifiche materie solo se esse sono fondate su situazioni peculiari della Regione richiedente purché quest’ultima mostra e dimostra una diversità da tutte le altre regioni su quella materia.
Perché è del tutto evidente che i diritti non sono regionalizzabili: i diritti civili e sociali sono del cittadino e non del territorio e vanno assicurati «prescindendo dai confini territoriali dei governi locali» (art. 120 Cost.).
In effetti occorrerebbe, oggi, combattere una battaglia politica che dovrebbe avere un solo obiettivo: di autonomia non si parli più per un certo lasso di tempo. Quel lasso di tempo necessario a mettere preliminarmente le cose a posto sul piano della creazione delle condizioni che garantiscano al cittadino italiano, ovunque egli risieda, i diritti civili e sociali. Un lasso di tempo che riconduca allo stato le sue capacità di assicurare istruzione, sanità, previdenza, assistenza, mobilità in ogni angolo del Paese determinando i livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali. Un lasso di tempo necessario per passare preliminarmente dalle tappe imprescindibili dell’individuazione dei fabbisogni standard e relativi costi abbandonando alle ortiche la spesa storica.
Mezzogiorno Federato si opporrà con forza e determinazione a qualsiasi forma di autonomia se non sono stati definiti i LEP, se non si è superata la spesa storica e non si sono individuati i fabbisogni e costi standard, se non si è realizzata la perequazione strutturale delle infrastrutture. Non vi sono le condizioni perché tale tema rimanga in agenda. Non vi sono le condizioni strutturali: pandemia, inflazione, guerra, povertà in aumento, stato sociale al collasso (sanità e istruzione sono lì a dircelo tutti i giorni) per questa interpretazione fasulla dell’art. 116 comma 3 della Costituzione.
Il punto centrale della vicenda è il criterio con cui assegnare le risorse, il che significa come misurare i costi dei servizi in ogni Regione. Al momento l’ultima bozza di legge quadro sull’«autonomia differenziata» dice che il calcolo si farà con i costi standard, ma finché non saranno pronti si userà la spesa storica, mentre – come accennato – le intese con le tre Regioni fanno riferimento alla spesa media pro capite.
L’art. 4 riguarda la famosa “spesa storica” rappresenta l’aspetto più iniquo del provvedimento: “Le risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio da parte della Regione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono definiti dall’intesa di cui all’articolo 2 nei termini di spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti alle funzioni conferite quale criterio da superare a regime con la determinazione dei costi, dei fabbisogni standard (…)”. Ovvero: se non hai speso per asili nido o per la sanità, o per i servizi sociali vuol dire che non ne hai bisogno. Non si prendono in considerazione il numero di cittadini o le loro necessità. Se un’amministrazione non ha realizzato in modo adeguato i servizi pubblici vuol dire che quei cittadini possono farne a meno e quindi non avranno i denari per recuperare il gap eventuale, che tante diseguaglianze crea tra cittadini del nord e del sud.
D.D.L COSTITUZIONALE INIZIATIVA POPOLARE RIFORMA TITOLO V
Disegno di Legge Costituzionale
Modifica dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione, concernente il riconoscimento alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia, e dell’art. 117, commi 1, 2 e 3, con l’introduzione di una clausola di supremazia della legge statale, e lo spostamento di alcune materie di potestà legislativa concorrente alla
potestà legislativa esclusiva dello Stato.
La crisi sanitaria, economica e sociale derivante dalla pandemia ha posto in immediata evidenza le intollerabili diseguaglianze, accresciute progressivamente nel tempo e aggravate oggi dalla crisi, nel godimento di diritti fondamentali come la salute, l’istruzione, la mobilità, il lavoro.
Si è segnalata da più parti la necessità di rafforzare il ruolo dello Stato a tutela dell’eguaglianza e dei diritti, con la formulazione e implementazione di politiche pubbliche forti finalizzate in ultima analisi a consolidare l’unità del paese.
L’urgenza di una iniziativa così indirizzata è in particolare sottolineata dalla necessità di attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza secondo le indicazioni e i tempi dati dall’Europa.
Mentre una pericolosa spinta in senso contrario si ricava dalle persistenti richieste di autonomia differenziata avanzate da alcune Regioni.
In questo quadro, la proposta di riforma si volge alla modifica dell’art. 116, comma 3, e dell’art. 117, commi 1, 2 e 3 della Costituzione.
Per l’art. 116, comma 3, alle regioni possono essere attribuite “forme e condizioni particolari” di autonomia.
La modifica intende riportare il riconoscimento dell’autonomia differenziata a una condizione effettivamente diversa e propria del territorio interessato, senza lesione dell’interesse di altre regioni. Si cancella la possibilità di autonomia differenziata oggi prevista nelle materie affidate alla potestà esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l), n) ed s): giustizia di pace, norme generali sull’istruzione e tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali). Si prevede che possa essere richiesto un referendum nazionale approvativo della legge attributiva dell’autonomia prima della sua entrata in vigore, e un referendum abrogativo successivamente, D.D.L costituzionale iniziativa popolare riforma Titolo Ventrambi oggi preclusi in base al testo vigente e alla giurisprudenza della Corte costituzionale. Si recupera infine flessibilità, cancellando la natura pattizia e lasciando il legislatore statale libero di adeguare le “forme e condizioni particolari” già riconosciute a esigenze diverse e sopravvenute che ne suggeriscano la revisione.
L’obiettivo della modifica proposta è consentire una limitata e giustificata variabilità dell’autonomia regionale, espungendo però gli elementi che la rendono potenzialmente pericolosa per l’unità del paese. Si intende così anche porre un argine alle inaccettabili letture dell’autonomia differenziata che sono alla base delle richieste avanzate in specie da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.
L’art. 117, commi 1, 2 e 3 definisce il quadro delle potestà legislative attribuite allo Stato e alle Regioni.
La modifica proposta introduce nel primo comma una clausola di supremazia della legge statale finalizzata alla tutela dell’interesse nazionale e dell’unità giuridica ed economica della Repubblica.
Nei commi 2 e 3 si propone una parziale ridefinizione del catalogo delle potestà legislative. Si segnala in specie nel comma 2 la modifica che affida alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la determinazione di livelli “uniformi” e non più “essenziali” delle prestazioni per i diritti civili e sociali. Si riportano in ampia misura alla potestà esclusiva materie come la sanità ed in specie il servizio sanitario nazionale, la scuola e l’istruzione a tutti i livelli, il lavoro e la previdenza, le infrastrutture materiali e immateriali di rilievo nazionale e di valenza strategica.
La potestà legislativa concorrente attribuita alle Regioni rimane, ma senza la possibilità di derive che mettano a rischio l’unità e indivisibilità della Repubblica garantite dall’art. 5.
Una modifica che chiaramente imputa al legislatore nazionale il potere, e conseguentemente la responsabilità, di formulare e attuare forti politiche pubbliche, oggi rese necessarie e urgenti dalla crisi sanitaria, economica e sociale derivante dalla pandemia.
L’obiettivo ultimo della riforma che qui si propone è introdurre un più saldo presidio per l’eguaglianza dei diritti in ogni parte del paese, premessa necessaria per una effettiva unità.
D.D.L COSTITUZIONALE INIZIATIVA POPOLARE RIFORMA TITOLO V
Art. 1 – Modifica dell’articolo 116, terzo comma (autonomia differenziata)
L’art. 116, comma 3, della Costituzione è sostituito dal seguente:
“Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e giustificate dalle specificità del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sentiti la regione e gli enti locali interessati, nel rispetto dell’interesse delle altre Regioni e dei principi di cui agli articoli 117 e 119. La legge è sottoposta a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. La legge promulgata ed entrata in vigore può essere sottoposta a referendum abrogativo secondo le modalità e con gli effetti previsti dalla legge di attuazione dell’articolo 75”.
Art. 2 – Modifica dell’art. 117, primo comma
L’art. 117, primo comma, della Costituzione è sostituito dal seguente:
“La potestà legislativa e` esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea e dagli obblighi internazionali. La legge dello Stato può disporre nelle materie non riservate alla legislazione esclusiva, comprese le materie disciplinate con legge regionale in attuazione dell’art. 116, terzo comma, quando lo richiede la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale. La legge regionale non può in alcun caso porsi in contrasto con l’interesse nazionale”.
Art. 3 – Modifica dell’art. 117, secondo comma (potestà legislativa esclusiva dello Stato)
L’art. 117, secondo comma, della Costituzione è modificato come segue:
1. Nella lettera e), dopo le parole “sistema tributario e contabile dello Stato” sono aggiunte le parole “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;”.
2. Nella lettera i) è aggiunta in fine la parola “professioni;”.
D.D.L costituzionale iniziativa popolare riforma Titolo V 3. Le lettere m), n) e o) sono sostituite dalle seguenti:
m) determinazione dei livelli uniformi delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; tutela della salute e servizio sanitario nazionale; tutela e sicurezza del lavoro; scuola e università, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e universitarie, ricerca scientifica e tecnologica;
n) reti nazionali e interregionali di trasporto e di navigazione; porti e aeroporti civili di rilievo nazionale e interregionale; reti e ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale e interregionale dell’energia;
o) previdenza sociale, previdenza complementare e integrativa”.
Art. 4 – Modifica dell’art. 117, terzo comma (potestà legislativa concorrente Stato-Regioni).
L’art. 117, terzo comma, è sostituito dal seguente:
“Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; assistenza ed edilizia scolastica; istruzione e formazione professionale; sostegno all’innovazione per i settori produttivi; assistenza e organizzazione sanitaria; assistenza sociale; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile a carattere regionale; governo del territorio; porti e aeroporti civili di rilievo regionale e locale; tributi regionali e locali; valorizzazione dei beni culturali e ambientali di rilievo regionale e locale e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.
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