Povera, poverissima è la prima parte della sua vita. Ci sono dei momenti che non ha neanche abbastanza da mangiare. E infatti quando si parla del suo aspetto vengono fuori la bassa statura e la taglia striminzita, colpa della denutrizione, a cui, dopo, si sono aggiunti la calvizie e in faccia i segni del vaiolo. Insomma non è una bellezza.
Figlio di un miserando carrettiere e di una cuoca che avevano una sterminata quantità di bambini dei quali sopravvissero soltanto (!) Joseph e cinque fratelli, comincia presto a trovare interessante quello che suo padre tira fuori da un’arpa con cui si accompagna quando trotta.
Intorno ai cinque anni inizia a studiare, tutto da solo, composizione. Trova una scodella di zuppa per sfamarsi cantando nel coro dei bambini del Duomo di Vienna, ma a un certo punto gli cambia la voce, naturalmente lo mandano via e così rimane senza zuppa e ritorna la fame. Che lui, con il condimento del suo naturale ottimismo riesce a tenere a bada suonicchiando ai matrimoni e ai battesimi e con qualche lezione privata.
Ha un piccolo lampo di fortuna quando incontra il vecchio compositore napoletano Nicola Porpora in visita a Vienna. A Porpora piace e lo assume con il doppio incarico di accompagnatore al clavicembalo degli studenti a cui insegna canto e di cameriere personale, pagato a forza di lezioni di composizione. Non senza la frequente gratifica di “asino” o “birbante” accompagnati da sonori schiaffoni, che Haydn riceve “senza prendermela perché da Porpora appresi molto di canto, di composizione e di italiano”.
Il suo menu migliora man mano che si guadagna la protezione di qualche piccolo nobile, senza la quale non si campava in un’epoca di profonda disistima della professione di musicista. Prima dalla contessa Thun, poi dal conte Morzin che lo assume come maestro di cappella della sua minuscola orchestra. Lo paga poco e quasi subito, finiti i talleri, lo liquida.
È la sua fortuna, perché questo licenziamento lo getta fra le braccia della famiglia Esterhazy, braccia generose che lo accoglieranno per trent’anni della sua vita permettendogli di comporre una quantità impressionante di sinfonie, concerti, quartetti e sonate e, man mano che cresce la sua fama, di scrivere musica anche per clienti al di fuori della corte dei principi, che, da quei magnanimi protettori che sono, gli permettono di farlo.
Alla corte degli Esterhazy, specialmente del Principe Nicolaus, favolosamente ricco e così appassionato di musica da essersi fatto costruire un teatro al castello, Haydn gode del massimo rispetto, riesce a lavorare sereno e anche a tutelare i suoi colleghi suonatori.
Nel 1790 Nicolaus muore e suo figlio Anton, a cui poco interessa la musica, sopprime l’orchestra ma garantisce a Haydn un vitalizio, così finalmente il compositore è libero di accettare le offerte dell’impresario Salomon che lo chiama in Inghilterra, dove ha un successo superiore a ogni aspettativa: gli danno addirittura una laurea honoris causa a Oxford.
A fine secolo, ricco e famoso, torna a Vienna, si fa costruire una grande casa e passa gli ultimi anni a comporre, con la calma che non aveva mai avuto prima (sempre affannato a rispettare le molte scadenze della vita musicale di corte) i due oratori che lo hanno reso ancor più celebre.
Muore nel 1809 durante l’assedio dei francesi. Al suo funerale Napoleone manda un picchetto d’onore.
Com’è la sua musica? Beh, il compito del compositore di corte del suo tempo è far sì che tutto sia progettato e realizzato per intrattenere il principe e i suoi ospiti, quindi festa, allegria e spensieratezza.
Quella serpe di Wagner, nel commentare il rapporto di Haydn con il suo signore scrive queste simpatiche parole: “Haydn era e rimarrà un servitore principesco al quale è affidato il compito, in qualità di musicista, di distrarre un padrone che vive nel fasto”.
Ma Haydn non fa nessuna fatica perché questa atmosfera corrisponde al suo carattere positivo e giocherellone. Un esempio è la Sinfonia numero 45 (Gli addii) in cui, nell’ultimo movimento, prende bonariamente in giro il suo principe facendo alzare uno alla volta i musicanti che smettono di suonare, spengono la candela sul leggio e lasciano il palco, finché in scena rimane, da solo, l’ultimo violinista.
Le sue quattordici messe sono talmente gioiose che irritarono Mendelssohn il quale le definì “scandalosamente allegre”. A questo giudizio Haydn così avrebbe potuto rispondere: “Quando penso a Dio il mio cuore è talmente pieno di gioia che le mie note sgorgano come da una sorgente”.
Amen.
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