Note da un viaggio in Islanda
Sono appena tornata da un viaggio in Islanda e le emozioni provate sono state forti e inattese.
Giacomo Leopardi nel “Dialogo della Natura e di un Islandese”, descrive l’Islanda come il luogo in cui si avvera il perpetuo circuito di produzione e distruzione, condizione per la conservazione del mondo che non può non causare dolore e sofferenza.
Eugenio Santoro nel romanzo “…andare a Reykjavik” (1995) immagina la capitale come un posto con tre luridi pub e le capre in campagna, e l’isola lontana sempre pensata e mai raggiunta, come il simbolo di tante nostre paure.
Sono partita per quest’isola che sfiora il circolo polare artico, con l’idea di andare in un posto probabilmente inospitale in cui la natura si accanisce contro le 350mila persone che non sono riuscite ad andarsene.
Subito dopo l’arrivo mi sono resa conto che la natura di quel posto avrebbe giocato un ruolo di primo piano anche in tutto il mio viaggio.
Mi sono trovata via via immersa in paesaggi drammatici modellati dalle forze di una natura prepotente e primordiale dai colori e dagli accostamenti insoliti.
Forse perché era settembre, i gialli e i rossi dalle mille sfumature, si affiancavano ai bianchi, ai neri, ai grigi, predominando.
Un susseguirsi di vedute mozzafiato che mi hanno riempito gli occhi di meraviglia.
L’Islanda è collocata sulla “dorsale medio atlantica” e una particolare circostanza geologica fa si che affiorino i margini delle placche tettoniche, composte da catene vulcaniche situate nelle profondità dell’oceano atlantico che partono dal polo nord e arrivano all’Antartide.
Per questo motivo solo in Islanda, è possibile camminare dentro la faglia che separa l’Eurasia dal nord America. In questo spazio, avvolta da un silenzio profondo, mi sono sentita coinvolta in qualcosa molto più grande di me stessa. Questa sensazione mi ha accompagnato in tutto il viaggio che è consistito nel percorrere tutto il perimetro dell’isola. Non l’interno, che è difficile e a tratti impenetrabile.
L’ interno dell’isola è un altopiano desertico con montagne e ghiacciai da cui partono enormi quantità d’acqua che precipitano nella pianura che separa l’altopiano dal mare formando impetuose e spettacolari cascate.
Non è tanto la quantità d’acqua o il salto che questa fa ad impressionare, quanto gli arcobaleni in movimento che si formano quando la luce del sole attraversa le goccioline sospese che il vento allarga, sposta, alza, abbassa. E con esse i colori. Un enorme caleidoscopio si è più volte presentato davanti a me, sfidando le mie capacità fotografiche che si sono dimostrate decisamente incapaci di fronte a quel mondo di colori in movimento.
In certi punti i ghiacciai degli altopiani centrali si infilano nelle vallate e arrivano fino in pianura diventando fiumi glaciali che scorrono verso il mare trasportando dei magnifici iceberg azzurri che man mano si sciolgono fino a depositarsi sulle nere spiagge vulcaniche. Le spiagge diventano tappeti di velluto nero su cui sono appoggiati questi grandi cristalli, diventati trasparenti perché le bolle d’ aria sono pian piano uscite. Ho camminato su queste spiagge con timore, a volte raccogliendo quei pezzi di ghiaccio trasparenti, poliedrici, lisci e toccandoli in silenzio per poi lasciarli sulla sabbia dove, sapevo, sarebbero rimasti ancora per vari giorni prima di trasformarsi completamente in acqua e intraprendere un viaggio ancora più lungo di quello già percorso.
Oltre ai ghiacci, che coprono il 15% del territorio, anche i vulcani caratterizzano la natura del paese.
Dei 130 vulcani presenti, 30 sono attivi e molti sono coperti da ghiacciai enormi. Questo fa si che si abbiano eruzioni molto particolari poiché il fuoco si unisce al ghiaccio in una mescolanza dei due elementi estremi, inestricabilmente complementari, che è tanto fugace quanto impressionante. Sono salita fino a raggiungere la caldera di un vulcano, ho raccolto due piccoli pezzetti di lava per il desiderio di portare con me un pezzo di quella natura così selvaggia.
Oltre all’ attività vulcanica che ci ricorda cosa abbiamo sotto i piedi, c’è anche una forte attività geotermica che, tra l’altro fornisce tutto il riscaldamento e l’acqua calda all’ intera isola. E’ buffo ritrovarsi a cercare ristoro dal freddo avvicinandoci il più possibile alle pozze di fango bollente, ai getti d’acqua esplosivi, ai geyser in eruzione. E’ bellissimo fare la doccia con l’acqua termale nella propria camera d’albergo avvolti dai vapori sulfurei.
E la gente, questi discendenti dei vichinghi?
A dispetto del freddo e dei mesi di buio totale, qui la popolazione è molto giovane, piuttosto allegra, molto sportiva, disinvolta, vitale, energica, con un inglese fluente.
Si chiamano tutti per nome, anche il professore o il sindaco.
Hanno il miglior livello di uguaglianza di genere nel continente europeo e hanno espresso il primo presidente donna del mondo.
Sposarsi non è popolare e oltre la metà dei bambini nasce da genitori non sposati. Nel 2010 hanno approvato una legge che definisce come matrimonio l’unione tra due individui. Le coppie omosessuali hanno uguale accesso alle unioni civili, all’ adozione e alla fivet.
La pandemia l’hanno vissuta tranquillamente. Sono pochi, sono giovani, il distanziamento è fisiologico visto che hanno una densità di popolazione tra le più basse del mondo (3 abitanti /Km2). Tutti vaccinati.
In Islanda non c’è un esercito, c’è una guardia costiera molto attiva per difendere i diritti di pesca. La pesca è, infatti, la loro principale fonte di sostentamento. Merluzzo, salmone atlantico, salmerino artico, trote.
Camminando per Reykjavik ho notato che non ci sono cani in giro e ho scoperto che tenere cani è stato vietato dal 1924 a causa di una brutta epidemia di tenia trasmessa proprio dai cani. Nonostante il divieto sia cessato alla fine degli anni 80, evidentemente le remore persistono. Molti sono, invece, i gatti che girano per strada con il collare (ma senza guinzaglio) e seguono le padrone (si, ho visto solo donne seguite da gatti) aspettandole fuori dai locali dove queste sono entrate.
Camminando per Reykjavik per la prima volta non mi sono sentita parte di quel fenomeno angosciante che si chiama globalizzazione. Pochissimi brand globali, nemmeno un Mac Donald’s!
Il mio viaggio è durato dieci giorni ma io ho completamente perso la cognizione del tempo.
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