Alessandra Minello, Tommaso Nannicini
Un tempo c’era chi chiedeva alle donne di fare figli per la patria. E chi lo faceva era solitamente di destra. Oggi, sia da destra sia da sinistra, va di moda chiedere di fare figli per l’Inps. Se le famiglie non torneranno a fare bambini e bambine, ci si domanda, chi pagherà le nostre pensioni? Anche sorvolando sull’assurdità di pensare che la sostenibilità del sistema previdenziale possa impattare sulla libera scelta di avere figli, quella “natalista” è un’illusione. Le politiche pubbliche spostano di poco la fecondità, che risponde a dinamiche personali e culturali troppo complesse per essere governate a colpi di bonus. Ce lo ha spiegato di recente anche un giornale conservatore come l’Economist. Dobbiamo allora rassegnarci a non fare nulla? Niente affatto. Dobbiamo cambiare paradigma, mettendo al centro altri obiettivi. Il benessere e la libertà delle persone. La parità tra uomini e donne. Poi, come conseguenza e per chi di figli già ne desidera, la fecondità tornerà a crescere.

Nel libro “Genitori alla pari. Tempo, lavoro, libertà” (Feltrinelli, 2024), proponiamo un cambio di paradigma nelle politiche per le famiglie, mettendo al centro libertà e parità. Oggi, sono molte le disparità di genere nel mercato del lavoro: le donne lavorano meno degli uomini, fanno più part-time involontario, hanno più contratti precari, stipendi più bassi. Nell’80% dei casi, questi divari hanno una sola causa: avere figli. Figli che, però, di solito, si fanno in due. Perché? La ragione è, purtroppo, banale. Dopo l’arrivo di un figlio o di una figlia, ci si aspetta che per la donna il tempo sottratto al lavoro per dedicarsi alla famiglia aumenti, mentre dagli uomini ci si aspetta che moltiplichino gli sforzi per soddisfare le accresciute esigenze economiche familiari.
I nostri modelli di welfare (per esempio, i congedi parentali) o di organizzazione del lavoro (orari e gerarchie) sono plasmati attorno a queste aspettative sociali. Aspettative che niente hanno a che fare con la biologia, ma molto con la cultura e, senza girarci troppo intorno, con l’organizzazione patriarcale che regge la nostra società. “Genitori alla pari” mette a fuoco queste dinamiche, le cause di queste disparità di genere e propone possibili soluzioni, anche guardando alle politiche che hanno funzionato meglio o peggio all’estero.
Consapevoli dell’importanza delle disparità non legate alla genitorialità, del fatto che ci sono famiglie che più di altre hanno fragilità da affrontare e che la genitorialità possa non essere parte del percorso di vita, anche per scelta, ci concentriamo sulle scelte politiche necessarie per aggredire quell’80% di divari di genere spiegati dal costo (lavorativo) di avere un figlio. In un contesto politico in cui molto si parla di maternità e denatalità, ci pare invece che la questione non venga mai affrontata complessivamente e con uno sguardo ampio: parlando di libertà di scelta, parità e, soprattutto, genitorialità.
Per farlo è inevitabile decostruire il “mito della madre”. Donna uguale cura: è questa l’equazione – errata – su cui si basa la nostra cultura collettiva. Sono molte le ragioni per cui la cura viene percepita come un “affare da donne”: alcune sono squisitamente culturali, ancorate sulla tradizione, sul “si è sempre fatto così”, ma poi hanno effetti concreti, trasformandosi in conseguenti strutture di welfare, arcaiche e patriarcali. Eppure, già nel 1978, la sociologa e psicanalista statunitense Nancy Chodorow dimostrava l’assenza di prove empiriche di una diversità biologica tra donne e uomini che potesse tradursi in una diversa attitudine alla cura. Nemmeno l’impossibilità maschile di partorire e allattare giustifica la mancanza di condivisione di tutti gli altri comportamenti legati alla cura.
Si pensi a come la cura è concepita e ripartita in maniera più equa nelle famiglie omoaffettive. E invece, fin dalla tenera età, bambine e bambini vengono socializzati in ruoli e attività di genere distinti, in cui alle ragazze vengono insegnate abilità legate alla cura e alla gestione delle relazioni, mentre i ragazzi vengono spinti verso attività più orientate all’azione e all’indipendenza.
La cultura, per fortuna, evolve, anche se lentamente.
Le nuove generazioni di padri spendono più tempo del passato nelle attività di cura familiare. Le nuove generazioni di uomini (Millennials, Generazione Z) sono più proiettate verso l’equilibrio tra i generi nella distribuzione tra lavoro di cura e lavoro retribuito, tengono alla famiglia (anche se non danno un gran peso al matrimonio), valorizzano di più la paternità (quando la scelgono) rispetto al passato, attribuiscono minor valore alla professione come ambito di realizzazione di sé e danno più peso ai valori comunitari. Mentre la politica rafforza il concetto di madre come centro della famiglia, nei media si fanno notare esempi di coppie paritarie, di padri presenti, di uomini capaci di mettere in discussione l’idea dominante di mascolinità. Il fatto che questi esempi si notino è una buona notizia, ma non buonissima: sono ancora eccezioni.
Come fare per spingere questo cambiamento? Come portare la parità nel mercato del lavoro e nelle case? L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha stimato che ci vorranno 204 anni prima di arrivare a registrare le stesse ore impiegate da donne e uomini nel lavoro retribuito e in quello non retribuito. Se le cose continuano così, la parità nell’uso del tempo nella maggioranza delle case arriverà nel 2228. Ma il cambiamento può essere accelerato, rimuovendo i fattori politici e sociali che lo rallentano. Come? Proponendo una vera e propria rivoluzione nelle politiche pubbliche, partendo da congedi di maternità e paternità perfettamente paritari, più generosi e inseriti in un sistema di politiche fiscali e servizi territoriali integrati per il sostegno alla genitorialità, che facciano sì che l’uso dei nuovi congedi sia effettivamente paritario.
Impossibile? Non lo è se si guarda all’estero. E non c’è bisogno di guardare alla piccola e paritaria Finlandia. Anche nella tradizionale e familista Spagna la rivoluzione è in atto, grazie alla coraggiosa riforma del governo Sanchez, che ha introdotto 16 settimane di congedi non trasferibili per le madri e per i padri.
La riforma dei congedi che proponiamo per l’Italia fa leva su alcuni elementi imprescindibili e si estende a tutte le famiglie. Servono congedi di genitorialità paritari tra tutti i genitori, indipendentemente dal genere. Questo significa che i genitori (o in determinate condizioni gli altri adulti di riferimento) hanno diritto allo stesso periodo di congedo, con le stesse condizioni e benefici. I congedi, poi, devono essere agganciati a un’indennità economica generosa, con la componente obbligatoria coperta al 100% del reddito da lavoro e quella facoltativa almeno all’80% (oggi è generalmente al 30%). Questo sia per ragioni di giustizia sociale, sia per ragioni di genitorialità condivisa, dato che la condivisione avviene di più quando non implica rinunce allo stipendio. I congedi devono essere non trasferibili tra i genitori, per incentivarne un uso equo e promuovere una vera condivisione delle responsabilità familiari. Inoltre, anche alla luce delle esperienze internazionali, devono essere salvaguardati periodi minimi nei quali entrambi i genitori agiscono come caregivers principali, evitando sovrapposizioni e promuovendo una cura condivisa e attiva. I padri non devono essere turisti della cura, ma parteciparvi attivamente. È importante, infine, riconoscere le difficoltà aggiuntive che possono trovarsi ad affrontare alcune famiglie, ad esempio quelle monogenitoriali o in cui sono presenti persone non autosufficienti, prevedendo misure più generose.
Le politiche pubbliche possono essere il volano della trasformazione che auspichiamo. Ma da sole non bastano. La rivoluzione della genitorialità condivisa ha bisogno di una diversa organizzazione del lavoro che liberi il tempo delle persone. Per dirla con Claudia Goldin, premio Nobel per l’economia nel 2023, la grande convergenza tra uomini e donne vivrà il suo “capitolo finale” quando i datori di lavoro la smetteranno di remunerare eccessivamente gli individui che lavorano tante ore, in certe particolari fasce orarie e con disponibilità senza limiti. Il tempo deve essere remunerato (e bilanciato) diversamente, per tutte e per tutti. A questo dobbiamo tendere per avere genitori alla pari.
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