Georg Friedrich nasce, come si dice, in una buona annata, ovvero la stessa di Bach e di Scarlatti, mica gentucola. Grande compositore, grande drammaturgo, grande impresario e uomo di grande successo sociale e commerciale. Nella vita gli andrà tutto bene, tranne una complicazione negli ultimi tempi: la cecità (probabilmente una forte cataratta che oggi sarebbe curabile con pochi minuti di laser).
Papà, che lo ha a 63 anni, è un barbiere-chirurgo di grande successo alla corte di Sassonia, deciso, come in molte altre biografie di musicisti, a fare di suo figlio un avvocato e nello stesso tempo allarmato dalla evidente inclinazione del ragazzino per la musica.
Niente da fare: il giovane Georg riesce a contrabbandare un piccolo clavicordo in soffitta e lì passa le nottate ad esercitarsi mentre la famiglia dorme. Dobbiamo immaginare le grandi case dell’epoca piene di botole, scale e scalette, abbaini e porte segrete, dove era facile nascondere attività illecite anche se innocenti.
Alla fine il talento emerge e trionfa in un viaggio di tutta la famiglia alla corte del Duca Giovanni Adolfo di Schwartzenberg durante il quale il piccolo virtuoso si arrampica sullo sgabello dell’organo della cappella e stupisce tutti con la sua bravura.
Il Duca naturalmente riesce a convincere papà a farlo studiare e il gioco è fatto.
Cominciano i vagabondaggi da un’orchestra all’altra finché arriva come strumentista all’Opera di Amburgo. E qui assistiamo alla prima dimostrazione pubblica del caratteraccio di Haendel: la famosa scazzottata con Mattheson. Si esegue la “Cleopatra” di Mattheson che canta la parte di Antonio, mentre Haendel è al cembalo. A un certo punto è previsto che Mattheson sostituisca Haendel alla tastiera; quest’ultimo si rifiuta di cedergli lo sgabello. Scoppia la rissa e i due finiscono a riempirsi di legnate rotolando sulla scena fra le risate del pubblico. All’uscita del teatro Mattheson schiaffeggia Haendel e i due tirano fuori le spade e si mettono a duellare sulla piazza. La spada di Mattheson puntata al cuore dell’altro si spezza su un bottone della giubba (c’è chi dice contro una partitura provvidenzialmente arrotolata sotto la camicia) e la gazzarra finisce con una rappacificazione generale che poi diventerà un’amicizia per tutta la vita.
Cambiamo aria. Per tre anni Haendel gira per l’Italia dove, specialmente a Roma, si appoggia anche lui a quei personaggi che incontriamo in tutte le biografie dell’epoca. Il cardinale Ottoboni, il Principe Ruspoli, i cardinali Pamphilij e Colonna; insomma quei benedetti nobili e prelati di gran gusto e altrettanta ricchezza che fra il Sei e il Settecento tanto hanno fatto per mantenere in vita nutrendoli e in stato di creatività finanziandoli, praticamente tutti gli artisti di passaggio e anche quelli stanziali.
E poi, il colpaccio: Londra. In Inghilterra Haendel trova la terra promessa. Diventa il musicista ufficiale della famiglia reale inglese. Parte con una intensissima produzione di oratori (famoso oggi come allora il suo Messia) e di musiche operistiche e celebrative: la sua “Aci e Galatea” è l’opera più rappresentata dell’epoca; nel luglio 1717 eseguono la sua “Musica sull’acqua” sul Tamigi ben tre volte di seguito per il re e i suoi ospiti; alla prima della sua “Musica per i reali fuochi d’artificio” assistono dodicimila persone!
E’ ricco e lo diventa ancora di più con la sua oculata gestione di opere e altri spettacoli musicali che allestisce a getto continuo. Malgrado la sua abilità di investitore, pare che anche lui abbia avuto, come moltissimi altri inglesi, qualche dispiacere nel 1720 allo scoppio della bolla finanziaria cresciuta sulla società di commerci internazionali South Sea. Ma sopravvive.
Non si sposa e poco si sa della sua vita privata. Alla sua morte lascerà gran parte della sua ricchezza alla nipote Johanna. E’ anche un collezionista di arte; i suoi quadri, messi all’asta fruttano una bella somma.
Da giovane pare che fosse bellissimo: alto, snello, biondo con gli occhi azzurri, ma dotato di quel famoso carattere terribile, di cui perfino i reali avevano paura. Guai arrivare tardi a una sua rappresentazione o chiacchierare a un suo concerto!
Nel 1750 in un viaggio di ritorno dalla Germania si ferisce gravemente in un incidente di carrozza. Da quel momento la sua salute comincia a vacillare. Peggiora anche la vista, prima all’occhio sinistro, poi anche all’altro.
Era un’epoca in cui i medici invece di salvare i pazienti li ammazzavano. Haendel si rivolge al famoso chirurgo William Bromfield il quale interviene sulla sua probabile cataratta e naturalmente dall’operazione il poveretto non solo non ha nessun miglioramento, ma ne esce quasi cieco. Non contento, subito dopo si affida a un altro macellaio, il sedicente “ophthaliater” John Taylor, il quale otto anni prima aveva operato anche Bach con il risultato di non fargli comunque riacquistare la vista e probabilmente di ucciderlo con un’infezione indotta dai suoi ferri sporchi. Anche in questo secondo tentativo per Haendel il risultato è catastrofico.
Alla fine muore, cieco del tutto, nella sua casa di Londra per un ictus, sepolto con tutti gli onori niente di meno che nell’Abbazia di Westminster, dopo aver assistito all’ultima esecuzione del Messia.
A proposito di questa composizione che si identificherà poi per sempre con il suo nome, nel primo centenario della morte la eseguono al Crystal Palace 2.765 cantanti e 460 strumentisti per un pubblico di 10.000 spettatori. E da allora è sempre rimasta la colonna sonora di incoronazioni, funerali, celebrazioni, insomma tutto ciò che deve avere una veste trionfale e maestosa. Un vero monumento al suo creatore.
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