Le conseguenze del voto del 26 ottobre per il rinnovo del parlamento monocamerale a Tbilisi
Sedici/A Hermes Storie di geopolitica – Europa
Giulio Ferlazzo Ciano
Dottore di ricerca in Storia contemporanea
Giulio Ferlazzo Ciano nell’articolo “Georgiani: sedotti o abbandonati dall’Unione europea?” analizza le conseguenze del voto per il rinnovo del parlamento monocamerale a Tbilisi. Secondo l’autore Le elezioni in Georgia del 26 ottobre 2024 potrebbero significare il definitivo ristabilimento dell’influenza russa in Georgia e probabilmente non poteva andare diversamente. Saremmo insomma di fronte alla “Fine del sogno occidentale georgiano, tra leggi russe ed elezioni probabilmente falsate”: “Il partito di governo Sogno Georgiano (Kartuli Otsneba) avrebbe – il condizionale è d’obbligo – ottenuto il 53,94 per cento dei voti contro l’11,03 per cento della Coalizione per il Cambiamento, formazione europeista e progressista, e il 10,17 per cento di Unità-Movimento Nazionale, liberal-conservatrice ed europeista, le due principali forze politiche di opposizione. Si sa anche che i partiti di opposizione hanno immediatamente denunciato irregolarità se non veri e propri brogli, tali da permettere al partito di governo diretto dietro le quinte dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, legato a doppio filo agli ambienti economici e politici moscoviti, di riuscire a vincere delle elezioni decisive per il futuro del Paese caucasico”. Secondo Ferlazzo Ciano “… come, dopo la Seconda guerra mondiale, nei Paesi dell’Europa orientale le elezioni politiche rappresentarono il grimaldello legale per permettere il progressivo allargamento dell’influenza sovietica su metà del continente europeo, così anche le elezioni georgiane dell’ottobre 2024 si sono rivelate lo strumento con cui il governo russo e i suoi fidati referenti georgiani hanno strappato forse definitivamente il Paese dall’influenza occidentale e dell’Europa. Dopo una vittoria così schiacciante, vera o presunta che sia, è logico supporre che il destino del Paese sia segnato e che il suo percorso verso l’adesione all’Unione Europea sia destinato ad arenarsi”.
17 novembre 2024
Le elezioni in Georgia del 26 ottobre 2024 potrebbero significare il definitivo ristabilimento dell’influenza russa in Georgia e probabilmente non poteva andare diversamente.
Si inizi considerando alcuni dati sulle distanze: da Tbilisi, la pittoresca città sul fiume Kura capitale della Georgia, Bruxelles dista in linea d’aria circa 3200 chilometri, Strasburgo poco meno di 3000. Delle tre capitali degli Stati attualmente più influenti dell’Unione europea, Berlino e Roma si trovano entrambe a poco meno e poco più di 2650 chilometri, Parigi a 3360. Se vogliamo aggiungere la pur sempre influente, anche se non più parte dell’Unione, capitale del Regno Unito, la distanza passa a 3550 chilometri. Il punto del territorio georgiano effettivamente controllato dalle autorità di Tbilisi (non quindi da un governo secessionista filorusso) più vicino a un qualsiasi lembo di uno Stato membro dell’Unione Europea è a 1000 chilometri esatti: una linea retta che, attraversando in lunghezza il Mar Nero da una località poco a nord della cittadina portuale di Poti, congiunge una delle estremità orientali del delta del Danubio, in territorio romeno, presso il tombolo sabbioso dell’isola Sacalin, dove sfocia il braccio di Sfântu Gheorghe.
E Mosca quanto dista da Tbilisi? 1650 chilometri circa, sempre in linea d’aria. Naturalmente si sa anche che la Georgia confina direttamente con il territorio della Federazione Russa, un confine che in gran parte passa sulla linea spartiacque o comunque a ridosso della displuviale che divide i due versanti della catena del Caucaso, ma è altresì vero che Mosca controlla, foraggia e garantisce protezione e armamenti a due Repubbliche secessioniste nate direttamente nel territorio georgiano, l’Abkhazia e l’Ossezia meridionale. Quanto dista il centro di Tbilisi dal primo lembo di terra di una qualsiasi di queste repubbliche secessioniste de facto già virtualmente e idealmente parti integranti dello spazio russo? 56 chilometri. Ovvero la distanza che si interpone tra i pittoreschi vicoli del centro della capitale e il villaggio di Odzisi, posto a ridosso della linea del cessate il fuoco che dal 2008 separa il territorio ancora controllato dalle autorità georgiane dalla Repubblica dell’Ossezia meridionale. Appena 56 chilometri e neppure in linea d’aria (in quel caso sarebbero addirittura 47), ma in termini di distanza stradale. Ciò significa che, prendendosela comoda, senza bruciare semafori in città e senza correre lungo per le strade di campagna, da Tbilisi si arriva a ridosso delle linee russe in poco meno di un’ora.
Tanto per capire cosa significa in concreto il dover convivere con la spada di Damocle di questa distanza minima che separa i sogni di avvicinamento all’Occidente dai primi sentori dell’alito dell’orso russo, sarebbe come se da piazza Venezia, a Roma, si potessero raggiungere i primi avamposti di forze secessioniste filorusse già alle porte di Anzio (59 chilometri), di Santa Marinella (61 chilometri), o appena oltre Sutri (49 chilometri). Se non si è pratici di Roma, si consideri la distanza stradale tra Milano e il valico di Chiasso (53 chilometri). E per quanto non sempre la Svizzera sia identificata dagli italiani come un Paese “simpatico”, è pur vero, grazie al cielo, che non è l’Ossezia meridionale. Per un napoletano invece significherebbe non potere andare oltre Salerno (53 chilometri anche in questo caso[1]). Una volta chiariti simili dettagli si potrebbe arrivare a sostenere che non ci sia altro da aggiungere e questo articolo potrebbe chiudersi qui, lasciando al lettore la possibilità di riflettere sulla questione e trarne le più ovvie e scontate conclusioni.
Fine del sogno occidentale georgiano, tra leggi russe ed elezioni probabilmente falsate
Se si volesse andare oltre si potrebbe ulteriormente indugiare sulla questione prendendo spunto sempre dalla geografia. D’altra parte, considerando che da circa due anni la geopolitica è diventata quasi una moda, da materia per pochi iniziati che era, sarà il caso almeno per una volta – visto che nei dibattiti la materia è solitamente affrontata sulla base di tesi e linguaggi più spesso attinenti alla dottrina politica e al linguaggio filosofico – di esaltare giustappunto l’aspetto geografico, a scapito magari di quello politico, che peraltro è piuttosto noto. A voler fare una sintesi degli ultimi avvenimenti occorsi in Georgia dallo scorso maggio (quando da parte dei georgiani si produsse la grande mobilitazione contro la cosiddetta “legge russa”) si potrebbe farlo in questi termini: il 26 ottobre 2024 si sono tenute in tutto il territorio georgiano le elezioni per il rinnovo del parlamento monocamerale. Il partito di governo Sogno Georgiano (Kartuli Otsneba) avrebbe – il condizionale è d’obbligo – ottenuto il 53,94 per cento dei voti contro l’11,03 per cento della Coalizione per il Cambiamento, formazione europeista e progressista, e il 10,17 per cento di Unità-Movimento Nazionale, liberal-conservatrice ed europeista, le due principali forze politiche di opposizione. Si sa anche che i partiti di opposizione hanno immediatamente denunciato irregolarità se non veri e propri brogli, tali da permettere al partito di governo diretto dietro le quinte dall’oligarca Bidzina Ivanishvili, legato a doppio filo agli ambienti economici e politici moscoviti, di riuscire a vincere delle elezioni decisive per il futuro del Paese caucasico.
È altresì noto infatti che, in seguito all’approvazione pochi mesi prima di due leggi ispirate ad analoghe norme russe, l’una, ribattezzata dalla stampa e a furor di popolo “legge russa” (maggio 2024), volta a colpire le organizzazioni non governative che operano sul territorio georgiano, l’altra (settembre 2024) intesa a stroncare la cosiddetta “propaganda LGBT”, le elezioni di ottobre sono diventate una vera e propria sfida tra opposte influenze straniere sul piccolo Stato georgiano. Così come, dopo la Seconda guerra mondiale, nei Paesi dell’Europa orientale le elezioni politiche rappresentarono il grimaldello legale per permettere il progressivo allargamento dell’influenza sovietica su metà del continente europeo, così anche le elezioni georgiane dell’ottobre 2024 si sono rivelate lo strumento con cui il governo russo e i suoi fidati referenti georgiani hanno strappato forse definitivamente il Paese dall’influenza occidentale e dell’Europa. Dopo una vittoria così schiacciante, vera o presunta che sia, è logico supporre che il destino del Paese sia segnato e che il suo percorso verso l’adesione all’Unione Europea sia destinato ad arenarsi.
Come se non bastasse le accuse di brogli da parte delle opposizioni hanno trovato sponda nella più alta carica dello Stato, sebbene priva di reali poteri, la presidente della Repubblica Salomé Zourabichvili, la quale si è affrettata davanti alle televisioni e alla stampa a fornire pieno appoggio ai sostenitori dei partiti di opposizione, rilanciando essa stessa le accuse contro il partito di governo, fino a sostenere che l’esito elettorale sia stato rubato. Parole gravi, che lasciano presagire uno scontro istituzionale ai massimi livelli che potrebbe avere come esito finale, anche se non immediato, la destituzione della Zourabichvili dalla carica, attraverso un voto del parlamento che potrebbe condurla alla messa in stato d’accusa e, alla peggio, persino alla sua incarcerazione. In quel caso si troverebbe in compagnia del suo mentore politico, l’ex presidente Mikheil Saakashvili, che la volle come ministro degli esteri nel 2004 (fu tuttavia costretta a dimettersi l’anno successivo per le persistenti critiche nei suoi confronti in quanto formalmente ancora di ruolo – e per questo anche pagata – come diplomatica in servizio del ministero degli esteri della Repubblica Francese). Saakashvili che si trova già in carcere dall’autunno 2021, sebbene per ragioni diverse che non appaiono legate, se non indirettamente, alla sua indomabile attività politica filoccidentale, e al quale peraltro Zourabichvili aveva già negato la grazia presidenziale. Lo spettro di una vendetta nei suoi confronti da parte del clan politico di Ivanishvili sembra essere già pronta: la presidente georgiana, infatti, il 31 ottobre è stata convocata, su richiesta della Commissione Elettorale Centrale, dall’ufficio del Procuratore Generale della Georgia per essere ascoltata in merito alle accuse di frode elettorale da lei stessa rilanciate[2].
A questo punto, al di là dei dettagli di una vicenda che rimane formalmente ancora avvolta nelle nebbie del presente e che solo il tempo potrà chiarire (sono vere le accuse di brogli elettorali, sulla base peraltro di dichiarazioni in tal senso espresse da organismi internazionali come l’OSCE [Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa]? Il riconteggio dei voti da parte della Commissione Elettorale Centrale porterà a scoprirlo oppure l’eventuale conferma dei risultati elettorali non farebbe altro che alimentare i sospetti di frode?), rimane da definire il perimetro dell’intervento dell’Unione Europea negli affari di questo piccolo Paese caucasico. Soprattutto è necessario chiarire cosa possa fare l’Unione Europea per riportare la Georgia nel solco tracciato dal processo di integrazione. Per rispondere a quest’ultima domanda bisogna riconsiderare la questione sotto l’aspetto geografico. E ricordare, se ce ne fosse bisogno, che la Georgia non appartiene al continente europeo (basta un’occhiata superficiale ad un qualsiasi atlante geografico per rendersene conto), bensì asiatico.
È pur vero che la Georgia ha senz’altro una cultura che potremmo definire europea, quanto meno se si vuol considerare europeo un Paese di religione cristiana che da secoli ha definito il suo rapporto di interazione col mondo guardando più a ovest e a nord (verso Bisanzio, poi verso la Russia) che a est. Ma d’altra parte si potrebbero considerare europei, fuori di ogni dubbio, se non altro per cultura e valori, anche gran parte degli Stati delle Americhe, dal Canada agli Stati Uniti d’America, fino all’Argentina, all’Uruguay e al Cile. Certo nessuno si sognerebbe di farli aderire all’Unione Europea, per ovvie ragioni. Ma per la Georgia si è stati disposti a fare un’eccezione. Considerando che, una volta fatta un’eccezione per la Georgia, si dovrebbe in teoria farne una anche per l’Armenia, poi magari per la Turchia, rimane aperto l’interrogativo sul mistero di questa stramba strategia di allargamento, già espresso nel precedente articolo sulla crisi georgiana apparso su Democrazia Futura[3].
È mai esistita una strategia europea per l’adesione della Georgia all’Unione europea?
In quel contesto si è polemizzato sulla fragilità del percorso di adesione della Georgia all’Unione Europea parlandone provocatoriamente come di un’ambizione imperialista democratica. Sostenuta da un appetito privo però di denti e senza considerare che le nazioni che circondano la Georgia e la stringono in un abbraccio che in passato si è rivelato mortale, non sono propriamente campioni di imperialismo democratico, ma di imperialismo nudo e crudo, senza fronzoli o gentilezze politicamente corrette. Russia e Turchia sono gli Stati con la quale la piccola Georgia deve da sempre fare i conti. La prima più potente della seconda, quanto meno a partire dalla metà del XVIII secolo, ed entrambe negli ultimi anni tornate ad andare d’accordo (almeno provvisoriamente) in merito all’intricata questione su chi debba avere la maggiore influenza nell’area. Il precedente storico, a distanza di un secolo, si riferisce alla firma del patto di amicizia tra Turchia kemalista e Russia sovietica (16 marzo 1921), con il quale i governi bolscevico e repubblicano di Ankara, attraverso i rispettivi due leader, Vladimir Il’ič Ul’janov “Lenin” e Mustafa Kemal (in seguito “Atatürk”), chiarivano una volta per tutte la questione accordandosi su un confine comune accettato dalle parti (con alcune significative concessioni territoriali alla Turchia), in cambio della salvaguardia del riconoscimento dell’influenza russo-bolscevica sull’intera regione transcaucasica, poi definitamente integrata nell’Unione Sovietica (1922), fermo restando la garanzia offerta alla Turchia dell’istituzione del territorio autonomo azero di Nachičevan, nella valle dell’Arasse, che sarebbe stata così sottratto all’Armenia divenendo dal 1922 un’enclave della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian[4].
L’attualità di quel precedente storico è data dall’intervento congiunto russo-turco (da parte di Mosca come mediatore, da parte di Ankara come fornitore di armi) nel conflitto scoppiato tra l’Armenia e l’Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, nel 2020, a cui si è aggiunta la definitiva liquidazione dell’enclave armena nella regione nel settembre 2023. Il tutto sotto il vigile controllo russo, che ha deciso le modalità e la forma per punire l’Armenia, sospettata di filo-occidentalismo, servendosi dei secolari nemici degli armeni: la Turchia e la sua nazione sorella sul Caspio, l’Azerbaigian. Così che oggi la Russia guidata da Vladimir Putin, dopo la punizione assestata all’Armenia, è tornata a stringere il cappio sul governo di Erevan (protezione in cambio di fedeltà), ha mantenuto ottime relazioni con il satrapo azero Ilham Aliyev che è riconoscente a Mosca di aver permesso la riunificazione dei territori azeri occupati dagli armeni e ha ora mani libere in Georgia per poter riprenderne il definitivo controllo con i mezzi che gli sono più consoni. Ma riprendere il controllo su cosa? Sul processo di progressivo e apparentemente irrefrenabile avvicinamento del Paese al fronte occidentale attraverso l’adesione all’Unione europea, percorso che molto probabilmente sarebbe stato accelerato dato il conflitto tra Russia-Ucraina e la tensione che questo ha provocato tra Russia e Unione europea.
Pur in mancanza di evidenze che sostengano questa tesi (lo scenario è ancora tutto in divenire) non è illogico ritenere che la manovra attuata da Mosca per riportare Tbilisi sotto il suo controllo si sia rivelata necessaria in seguito alla concessione alla Georgia, tramite decisione del Consiglio dei ministri dell’Unione Europea, dello status di candidato all’adesione, nel dicembre 2023. Meno di un anno fa. Pur considerando un processo che, attraverso i capitoli del negoziato, nella più favorevole delle previsioni sarebbe potuto durare un decennio, non si può escludere che la Russia abbia voluto stringere i tempi e operare al più presto per sottrarre la Georgia alla “nefasta” influenza occidentale. Ben consapevole che più il negoziato per l’adesione avrebbe segnato progressi e più complicata sarebbe stato da parte russa la possibilità di riuscire a riportare il governo di Tbilisi sotto la sua sfera di influenza. Con il rischio di ritrovarsi l’Unione europea (e in seguito forse la Nato) alla sua frontiera meridionale, nel Caucaso, così come già oggi la Russia se la trova alla sua frontiera occidentale, nel Baltico. Il tutto mentre un’altra ex Repubblica sovietica, la Moldavia, mai dimenticata da Mosca, procede nella stessa direzione, verso l’Unione Europea. In quest’ultimo caso, tuttavia, con ben più solide ragioni geografiche, etniche e culturali: la Moldavia è a tutti gli effetti un Paese europeo (situata persino al di qua dell’istmo continentale tra Kaliningrad e Odessa, congiunto dai corsi della Vistola e del Nistro/Dnestr) ed è una regione storica della Romania dove si parla prevalentemente il romeno, lingua neolatina.
E se per la Moldavia la strada verso l’Occidente sembra a tutti gli effetti spianata (salvo soprese), non poteva essere altrettanto per la Georgia, nazione isolata tra due alte catene montuose (Caucaso e Piccolo Caucaso), separata dal continente europeo dalla stessa catena del Caucaso e dal bacino del Mar Nero, e confinante direttamente con la Russia, la Turchia, l’Armenia e l’Azerbaigian. Insomma, già Vicino Oriente. Come si poteva pensare che gli attori politici locali, per nulla interessati ad aderire a loro volta all’Unione europea o avercela ancora più tra i piedi, potessero lasciarsi sfuggire la perla transcaucasica senza intervenire? Bisognava credere che Russia e Turchia, ma soprattutto la Russia, fossero due potenze governate da una manica di imbecilli paralizzati dalla notizia dell’inizio del negoziato di adesione della Georgia all’Unione europea. Bisognava credere che il Cremlino, per gentile concessione al gigante buono europeo, operasse in Georgia con spirito cavalleresco, riconoscendo e non manipolando gli esiti elettorali, accettando pertanto che il popolo georgiano potesse esprimersi liberamente sul proprio destino. Questa vicenda lascia intravvedere invece che gli imbecilli, se ce ne sono, stanno a Bruxelles. Non sarebbe stato forse meglio – si può azzardare ancora – che l’Unione europea si concentrasse sull’adesione della Moldavia e dei Balcani occidentali e lasciasse che la Georgia potesse stringere ulteriori accordi di cooperazione con l’Unione europea senza per questo dovere per forza un giorno farne parte?
Certo al Cremlino non ci sono galantuomini e non c’è certezza che la Russia, anche in mancanza di un rischio di fuga ad Occidente della Georgia, non sarebbe intervenuta ugualmente a sud del Caucaso per assicurarsi la fedeltà assoluta dei governanti di Tbilisi, soprattutto all’indomani dell’attacco russo all’Ucraina. Ma si può forse dubitare che la promessa di adesione della Georgia all’Unione europea non abbia accelerato i tempi? E si può forse dubitare che l’Unione europea, di fronte allo scacco matto putiniano a Tbilisi, non potrebbe fare nulla per ribaltare a suo favore la partita? Sanzioni, tutt’al più. Tradotto: solletico. Gli unici strumenti efficaci per poter preservare la vocazione occidentale della Georgia e dare così soddisfazione a quei georgiani sedotti dal sogno europeo, sarebbero truccare le carte (ovvero sedurre a sua volta con ogni mezzo lecito e illecito la classe politica attualmente al potere, compreso l’oligarca Ivanishvili, ed eventualmente truccare le elezioni), oppure minacciare l’uso della forza, essendo peraltro pronti a usarla nell’eventualità che ciò fosse necessario. Nel primo caso mancherebbe all’Unione forse non la volontà, ma senz’altro una certa consuetudine con tali metodi ineleganti. Ciò è senz’altro un bene in termini di immagine e le fa onore (l’Europa rimane la compagine confederale che gioca le sue partite geopolitiche in modo pulito e dove qualsiasi processo di allargamento si attua con strumenti legali assolutamente non viziati da frodi), ma per dirla come Machiavelli, per questa sua attitudine scioccamente ingenua potrebbe finire, assieme a Pier Soderini, «nel limbo dei bambini». Nel secondo caso, infine, l’uso della forza va persino contronatura rispetto alle posture pacifiche dei governi nazionali europei e all’indole pacifista (e paurosa) delle loro opinioni pubbliche.
Ne consegue, dunque, che la Georgia poteva soltanto essere illusa. E lo si è fatto, senza risparmiarsi. Si è illusa, con la folle idea che la si sarebbe potuta attrarre nella sfera di influenza di Bruxelles lentamente, senza colpo ferire, con gentilezza, ma anche inesorabilmente; si è sedotta la sua società più sensibile alla fascinazione del sogno europeo, soprattutto i più giovani, le classi medie urbane, i più istruiti. Ben sapendo che non si sarebbe potuto opporre alcun argine alle eventuali contromosse moscovite. E ben sapendo che l’isolamento da terra e la distanza geografica dall’Europa (da cui lo separa un mare chiuso, le cui chiavi le posseggono i turchi) avrebbe vanificato qualsiasi tentativo di intervento sul campo. E ora, che molto probabilmente non c’è concretamente più niente da fare, la si abbandonerà necessariamente al suo destino. Come non poteva essere altrimenti. Soltanto c’è da rattristarsi per i georgiani, le uniche vittime di questo stupido “grande gioco” transcaucasico in cui, dei due giocatori alle estremità della scacchiera, uno poteva muovere le pedine a suo piacimento e l’altro non ne aveva in partenza neppure una. Poveri georgiani, sedotti e abbandonati. Si può concludere che l’Europa sarà anche un gigante buono, dotato di una tranquilla forza di attrazione, ma sa anche essere molto cinica.
[1] Le distanze tra Roma, Milano, Napoli e le località citate è calcolato in base alle distanze dichiarate sulla carta stradale d’Italia in scala 1:200.000, edita dal Touring Club Italiano (Milano), e può quindi differire, sebbene con uno scarto minimo, dalla distanza effettiva.
[2] Prosecutor Launches Investigation into Election Fraud Allegations, Summons President for Questioning, in “Civil Georgia” (30 ottobre 2024); https://civil.ge/archives/632523
[3] Giulio Ferlazzo Ciano, “Doppio sogno georgiano. Le incognite che pesano sull’inclusione della Georgia nell’Unione europea”, Democrazia Futura, IV (14), aprile-giugno 2024. Cfr. https://www.ilmondonuovo.club/doppio-sogno-georgiano-democrazia-futura-hermes/.
[4] Fabio L. Grassi, Atatürk. Il fondatore della Turchia moderna, Roma, Salerno editrice, 2008, 448 p. [si vedano in particolare le pp. 220-221].