GIACOMO BRODOLINI

A questo punto mi si imporrebbe di parlare del significato del Primo Maggio, della sua storia, dei sacrifici che fecero i nostri Padri per imporlo. Dovrei parlare della Costituzione, dello Statuto dei lavoratori e dovrei dire che dietro questi diritti conquistati c’è tanto sudore, ci sono tante fatiche, ci sono tante lotte e persino tanto sangue.

Soprattutto ora che diventa sempre più struggente il ricordo di quando bambino andavo accompagnato da mio Padre al comizio oceanico di Peppino Di Vittorio, che precedeva sempre il gusto inconfondibile delle fave accompagnate con il pecorino romano. O delle vigilie passate a Castiglioni in Val d’Orcia, quando si veniva svegliati nel cuore della notte dal canto dei maggiaioli, che portavano a tutti la lieta novella: maggio è ritornato, la natura, dopo il duro inverno, è risorta e promette ricchi raccolti. Sembrava una metafora dell’Italia di cui tutti aspettavamo trepidanti la resurrezione portata dal più radioso Primo Maggio, quello ipotizzato da Pietro Gori, il poeta anarchico

Vieni o Maggi ti aspettan le genti/ dolce pasqua dei lavoratori”.

Ma io quest’anno voglio parlare di Giacomo Brodolini, un politico con una storia particolare, un dirigente del partito socialista che, divenuto uomo di governo, ha fatto riforme per il lavoro in appena un anno che l’Italia aspettava da decenni e che ancora esistono nonostante gli attacchi dei reazionari.

Alla fine degli anni Sessanta, dopo una decina di anni di miracolo economico, nelle categorie più povere, dei lavoratori che avevano lavorato a giornata senza nessuna tutela né versamento di contributi né assistenza malattia, vessati da un “caporale” che decideva per loro, della parola pensione non si conosceva neppure il significato. La pensione per tutti arriverà molti anni dopo, alla fine degli anni Sessanta, grazie all’impegno di questo grande dirigente socialista, Giacomo Brodolini, il quale, dopo che gli venne diagnosticato un male che lo avrebbe portato alla tomba, rifiutò il dicastero importante che gli si proponeva, e chiese al suo partito di essere nominato ministro del Lavoro, un dicastero sempre rifiutato fino ad allora dai socialisti perché ritenuto troppo compromettente.

In pochi mesi, Brodolini, prima di morire, riuscirà a realizzare le più importanti riforme in favore dei lavoratori, a cominciare dalla pensione minima per tutti, anche per coloro che non avevano mai versato un contributo. Per molti anni, nei paesi ma anche nelle città, le vecchiette e i vecchietti che si erano viste recapitare quella insperata ricchezza, tennero la foto di Brodolini accanto ai santini e alle foto dei cari defunti.

Brodolini per questo passò alla storia, una storia dimenticata come tutta la storia del movimento operaio legato al Partito Socialista e a quel grande movimento riformista ad esso legato. Brodolini passò alla storia, dicevo, anche per il suo capolavoro che fu lo Statuto dei Lavoratori, per il quale si servì della collaborazione di grandi giuslavoristi come Gino Giugni, e che è stato per tanti anni la carta costituzionale del lavoro, con il famoso articolo 18 che è stato un po’ il “l’ultimo fortilizio” a difesa dei lavoratori. Soprattutto a tutela di quei lavoratori che subivano vessazioni e licenziamenti per motivi politici e sindacali.

Brodolini non voleva essere chiamato “ministro del Lavoro” ma “ministro dei lavoratori”. Memorabile la sua ultima notte di Capodanno passata insieme ai lavoratori di una fabbrica occupata, oppure quando si recò ad Avola in Sicilia, dove la polizia aveva ucciso due braccianti in sciopero, a portare la sua vicinanza e la sua solidarietà.

Oggi i tempi sono cambiati profondamente e l’articolo 18 è stato abolito perché sembra essere diventato l’ostacolo principale alla riforma e al rilancio del lavoro e quindi della economia italiana. Non lo so se le cose stanno proprio così e mi viene da domandare se “Brodolini ne sarebbe felice”. Forse no non sarebbe felice ma sono sicuro che prenderebbe atto della necessità di tutelare i lavoratori, tutti i lavoratori intendo anche quelli che il lavoro non lo hanno ancora avuto, come i giovani, e quelli che lo hanno perduto, in una contingenza storica profondamente cambiata.


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