Il Pantheon di Giorgia Meloni incomincia a definirsi, e incomincia a definirsi una precisa strategia di costruzione di una identità nuova per un partito che dopo aver stravinto le elezioni con una ricetta tutta tesa alla conservazione comincia a porsi il problema di come si gestisce il nuovo che c’è oltre a quello che avanza. Giorgia Meloni per governare non può rimanere nel claim “donna, madre e cristiana”, e sicuramente, essendo donna di mondo e intelligente, ha capito da un pezzo che nel XXI secolo non basta l’armamentario ideologico e culturale classico della destra italiana.
O il vittimismo o la retorica dell’underdog. Evola, Borghese e Tolkien vammi integrati, partendo da Sir Roger Scruton e da Michael Ende, lo scrittore che ha inventato Atreju. Nel pantheon ecco che compaiono Tina Anselmi Hannah Arendt, Margherita Sarfatti, Ennio Flaiano e Dostoevskij, Giovanni Paolo II, Longanesi e Guareschi. Scandalo degli scandali, c’è anche Pierpaolo Pasolini, con buona pace della gauche che si sente scippata di una icona che in realtà non tutti a sinistra hanno mai amato più di tanto.
L’edizione 2023 di Atreju, così come l’evento di un anno fa a Milano è una sorta di addio al postfascismo che segna una svolta importante, almeno quanto la svolta di Fiuggi dell’allora leader di AN Gianfranco Fini. “Il vero conservatore” scrive Prezzolini nel Manifesto dei conservatori del 1972 deve fare attenzione a non “confondersi con i reazionari, i retrogradi, i tradizionalisti, i nostalgici; il vero conservatore intende continuare mantenendo, e non tornare indietro e rifare esperienze fallite. Il vero conservatore sa che a problemi nuovi occorrono risposte nuove, ispirate a princìpi permanenti” (Manifesto dei Conservatori, 1972).
Del resto da sempre chi ha conquistato il potere ha pensato a come legittimarlo culturalmente, in tutte le epoche di cui si ha memoria storica.
Dal dopoguerra ad oggi ad esempio qui da noi ed in generale in tutta l’Europa e il mondo occidentale ha vinto prima l’idea dello stato sociale, poi ha preso il sopravvento il modello neoliberale. Il primo nasceva sulle ceneri della seconda guerra, nel contesto del mondo diviso in due blocchi, il secondo nasce con la fine di quel mondo bipolare.
Oggi si apre una fase nuova in questo senso, il covid segna un punti di crisi, e apre gli occhi, nel senso che rende evidente che il mercato non può fare tutto da solo. Ad esempio non può gestire l’emergenza di una pandemia, o sostenere la ricerca per avere un vaccino e poi organizzarne la somministrazione.
O ancora il mercato non riduce le disuguaglianze. Fa un altro mestiere. Merito indiscutibile della Meloni è aver rimesso al centro del discorso pubblico lo stato e la politica. O meglio che modello di stato si vuole. Secondo Musk ad esempio serve uno stato che incoraggi la natalità e ridistribuisca il reddito, ai tempi pre pandemia era un sostenitore del reddito di cittadinanza.
Ogni tentativo di conquistare una nuova egemonia culturale dipenderà anche da quale scelta e quale senso si vorrà dare all’innovazione tecnologica e digitale che avanza velocissima, e come si vorranno gestire gli effetti di una transizione che come sappiamo non è a costo zero.
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