GLI SCARLATTI

ALESSANDRO 1660 – 1725

Alessandro Scarlatti è un grand’uomo, e per essere così buono, riesce cattivo, perché le compositioni sue sono difficilissime e cose da stanza, che in teatro non riescono; in primis chi s’intende di contrapunto le stimerà, ma in un’udienza d’un teatro di mille persone, non ve ne sono venti che l’intendono.” Così un cronista contemporaneo, il conte Francesco Zambeccari, sistema il nostro eroe.

Alessandro nasce a Palermo figlio, fratello e più tardi anche padre di musicisti, fra cui il notissimo Domenico, clavicembalista egregio. Con la sorella Anna Maria, cantante, si trasferisce a Roma e lì comincia subito a farsi notare. A diciotto anni è maestro di cappella a S. Giacomo degli Incurabili, a diciannove, nel Carnevale, ha grande successo con un’opera che gli conquista il favore della regina Cristina di Svezia la quale lo assume seduta stante al suo servizio, una posizione che, insieme all’amicizia con Bernini, lo lancia definitivamente sulla scena del mondo che conta.

Il nuovo Viceré di Napoli lo chiama a corte come maestro della Real Cappella. E’ una apertura verso un elemento esterno che purtroppo indispone i musicisti napoletani contro di lui. Alla morte di Re Carlo ci si mette anche l’instabilità politica per convincerlo che è più prudente allontanarsi e fare ritorno a Roma.

Dove, grazie alla protezione del cardinale Ottoboni, inonda dei suoi oratori la Chiesa Nuova, il palazzo della Cancelleria, il Seminario Romano, il Palazzo Ruspoli.

Poi però torna al suo luogo del cuore, Napoli, e lì rimane, anche se, poco prima di morire deve mandare una supplica al Viceré per chiedere un aumento del suo stipendio diventato insufficiente.

Scarlatti scrive più di ottocento cantate. Questo numero impressionante si spiega forse con il fatto che in quegli anni papa Innocenzo XII ha vietato l’opera nei teatri di Roma e allora per ascoltare musica vocale non rimangono che i palazzi privati dei soliti principi o cardinali, che spesso, come l’Ottoboni firmano i testi, magari sotto pseudonimo.

Per la propria promozione professionale e sociale Scarlatti è insuperabile nel trovare i luoghi e le occasioni in cui farsi ascoltare. Un esempio fra tanti, dal verbale dell’Arciconfraternita di S. Carlo del 14 gennaio 1680: “Perché la chiesa si trova poco disponibile a simil spesa, il Sig. Alessandro Scarlatti, Maestro di Cappella della Maestà di Svezia si esibisce fare la musica per la messa in detta funtione non solo a proprie spese e senza ricompensa alcuna, ma farla solennissima e colma di perfettissimi virtuosi”.

E i padrini di battesimo? Tutti quelli a cui affida i suoi numerosi figli sono nobili: la Principessa di Colobrano, il Duca Carafa di Maddaloni, il Principe di Avellino, la Principessa Sanseverino, e così via di corona in corona. Forse arrampicamento sociale, certo necessità dei tempi.

In questo periodo arrangia per il teatro parecchie opere veneziane adattandole all’uso napoletano, il che significa dare maggior rilievo ai personaggi buffi perché, a quanto pare, quello vuole il pubblico del sud.

E continua a produrre, scrivere e creare finché muore portandosi dietro un così ricco alone di gloria che perfino la Principessa Orsini dichiara che non tener per casa composizioni di Scarlatti “n’est pas pardonnable a un homme de bon gout”.

DOMENICO 1685 – 1757

Cinquecentocinquantacinque. Non una di più né una di meno. E’ il numero monumentale di una raccolta di sonate per clavicembalo destinate a diventare immortali.

L’architetto di questo capolavoro è Domenico Scarlatti, sesto dei dieci figli di Alessandro, portato al battesimo dal duca Don Marzio Carafa (era un’abitudine di papà, come abbiamo raccontato, scegliere padrini di alto livello) e abbondantemente spinto verso la musica dal fratello Filippo, clavicembalista, dalle zie Anna Maria e Melchiorra, cantanti e dallo zio Francesco, compositore.

Già a quindici anni è organista della Cappella Reale di Napoli. Convinto delle qualità del figlio, il padre Alessandro lo manda a Venezia in compagnia del castrato Grimaldi, con tappa a Firenze sperando che gli riesca di acchiappare un impiego presso il principe Medici.

Io l’ho staccato a forza da Napoli, dove, benché avesse luogo il suo talento, non era talento per quel luogo. L’allontano anche da Roma perché Roma non ha tetto per accogliere la musica; chi ci vive, mendica. Questo figlio ch’è un’aquila cui son cresciute l’ali non deve stare ozioso nel nido, ed io non devo impedirgli il volo”.

Questa orgogliosa opinione di padre non serve a ottenere all’aquilotto nessun incarico a Firenze o a Venezia, quindi Domenico torna a Roma, dove è tornato anche il padre e dove dà prova della sua abilità di strumentista in una sfida a Palazzo Ottoboni stracciando il grande Haendel alla tastiera del clavicembalo (Haendel però lo straccia a quella dell’organo).

Ci sono anche testimonianze dell’attività di Domenico come cantante nei saloni dei grandi palazzi gentilizi. All’epoca un musicista doveva sapere fare di tutto!

Nel 1719 se ne va a Lisbona “pazientemente atteso dal re” che lo aveva scritturato come compositore e maestro di musica della famiglia reale, per i cui onomastici e compleanni deve fornire serenate e cantate. Nel ’27, grazie a un simpatico sussidio regale di mille scudi, se ne torna a Roma per sposare, lui quarantaduenne, Maria Caterina, bella romanina di sedici anni.

Nel 1746 il nuovo re di Spagna chiama a Madrid Domenico, sempre con la mansione di maestro di musica della famiglia reale. Qui parte una bella e lunghissima amicizia e collaborazione fra lui e il castrato Farinelli, chiamato a occuparsi della direzione delle opere in musica e delle feste reali.

Per fortuna a un certo punto, incoraggiato, anzi spinto dalla Regina, Scarlatti si mette al lavoro per radunare, catalogare e far copiare (a mano, perché allora non c’era altro modo di salvare la musica scritta) le sue cinquecentocinquantacinque sonate in una serie di preziosissimi volumi.

Almeno cinque anni dura il lavoro dei copisti, fra cui il famoso Joseph Alaguero, ma ne viene fuori una magnifica opera, poi in parte finita in mano a Farinelli e in seguito, anche se divisa, al sicuro nella Biblioteca Marciana di Venezia, in quella di Firenze, a Parma, a New York, a Londra.

Le sonate di Domenico Scarlatti continuano a essere stampate e ristampate, suonate e risuonate e raccolgono da tre secoli un numero impressionante di ammiratori: Bach, Haendel, Clementi, Mozart, Beethoven, Czerny, Liszt, Chopin, Mendelssohn, Brahms, Verdi, Debussy, Bartok, Shostakovich, Casella……

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