GRECIA CLASSICA, DOVE IL TEMPO SI FONDE CON LO SPAZIO

Viaggiare in Grecia, dove tutto sembra essere stato ideato, detto o scritto oltre 25 secoli fa, dove si mescolano narrazioni fantastiche di gesta compiute da figure divine con le realtà del passato e del presente in una stupenda miscela alla qualeci si può abbandonare senza farsi troppe domande e lasciando affiorare, non senza qualche difficoltà, ricordi degli studi classici fatti durante il liceo!

Così, a pochi chilometri da Atene, ci si trova immersi in quel Santuario di intramontabile fascino riconosciuto come il più grande centro di culto delle Grecia antica: Delfi. Una serie di ripidi tornanti fa si che ci si avvicini lentamente al

Monte Parnaso, mitica residenza delle Muse, sulle cui pendici, si narra che Zeus avesse individuato il centro del mondo e dunque la sede adatta ad ospitare il Santuario. L’epoca classica narra che le due aquile liberate proprio da Zeus una verso ovest l’altra verso est avrebbero individuato il centro del mondo lì dove si fossero incontrate. Le due aquile si incontraronoproprio qui e qui è, dunque, l’ “omphalos”, l’ombelico del mondo,  rappresentato da una scultura di marmo rosa dalla forma conica al cui esterno sono scolpiti in bassorilievo tanti cordoni che si intrecciano formando una rete simbolo che tutto il mondo è in collegamento. E’ inevitabile e sorprendente al tempo stesso pensare a come quel bassorilievo possa raffigurare l’ odierno World Wide Web. 

Entrati nel complesso si percorre la stessa via sacra che percorrevano i fedeli nell’antichità. Ai lati della via sorgono templi votivi, luoghi dedicati al raccoglimento, strutture di raccolta dei tesori votivi offerti dalle città greche.  E poi il teatro, lo stadio, il ginnasio, tutto nella ripida salita verso il tempio di Apollo a cui il luogo è dedicato. Apollo: l’arte, la bellezza, l’ordine. Ma la vita non è solo questo. Una grande statua di Dioniso  osserva dalle mura e ricorda che nella vita è importante anche Dioniso ossia l’esaltazione, l’ebbrezza, il disordine. Solo l’equilibrio tra Apollo e Dioniso, tra l’apollineo e dionisiaco che hanno scritto le pagine del pensiero filosofico occidentale, fa della nostra vita qualcosa degna di essere vissuta.  Per rimarcare ancora di più questo indispensabile dualismo, anche le due vette del monte Parnaso sono dedicate una ad Apollo e l’altra a Dioniso. 

Qui, all’interno del tempio di Apollo, la profetessa Pizia, in rapporto intimo con la divinità, recitava i responsi dell’ oracolo masticando foglie di alloro e respirando gas metano e gas solforosi che fuoriuscivano da fessure del terreno, evento naturale dovuto al fatto che  tutta la zona del Parnaso è geotermica. La Pizia rispondeva, alle domande che le venivano poste,  urlando e cantando frasi sconnesse che solo i sacerdoti del tempio erano in grado di interpretare e tradurre fornendo responsi alquanto sibillini che a loro volta dovevano essere interpretati da chi li riceveva.

Quando gli Ateniesi, per fare un esempio, che attendevano l’arrivo dell’esercito persiano, chiesero ad Apollo cosa avrebbero dovuto fare per fermarli, la Pizia rispose: “Le vostre mura di legno basteranno”.  La risposta creò problemi interpretativi, visto che le mura non erano affatto di legno. A quel punto Temistocle tolse ogni dubbio interpretando le parole della Pizia in modo coerente con ciò che lui stesso riteneva che si dovesse fare: “Dobbiamo abbandonare la città e fermare i Persiani con la flotta delle nostre navi di legno, prima che sbarchino a terra”. Così fecero e sconfissero i Persiani nel famoso scontro navale di Salamina (480 a.c.). 

Delfi ebbe, per molti secoli  a livello panellenico,  un ruolo di massimo rilievo non solo religioso ma anche politico, determinando, attraverso la sua autorevolezza e i suoi responsi, buona parte delle più importanti decisioni che segnarono la storia del mondo greco antico, storia che è anche la nostra storia. 

A nord-est del monte Parnaso si passa vicino ad un valico dal tragico passato. Qui, in un idilliaco paesaggio montano con ruscelli e sorgenti di acqua termale, nell’ antichità esisteva uno stretto passaggio costiero quasi obbligato tra la Locride e la Tessaglia. Secondo Erodoto il passaggio tra la montagna e il mare era così stretto da permettere il passaggio di un solo carro o di due soli soldati a piedi. Il passo delle Termopili! Il luogo dove nel 470 a.c.  il sacrificio di Leonida coi suoi 300 guerrieri spartani non riuscì a fermare il re persiano Serse e il suo enorme esercito che invase tutta la Grecia, arrivò ad Atene e distrusse tutto,  Acropoli compresa.

 Ce lo ricorda bene Eschilo nella tragedia “I Persiani”. Qui però si viene anche riportati bruscamente al presente: attorno alla possente statua di Leonida che ricorda il drammatico evento, per alcuni anni recenti si sono dati appuntamento i neonazisti di “Alba dorata”.  Questo gruppo nell’ ottobre del 2020 è stato riconosciuto dalla Corte d’ appello di Atene come organizzazione a delinquere ed è stato sciolto. Gli eredi di “Alba dorata” hanno preso il nome di “Spartans” e hanno scelto come logo la lettera lambda (Lacedemoni) che i soldati  spartani dell’antichità  avevano inciso sui loro scudi.  Incredibilmente hanno raggiunto, nelle elezioni del giugno di quest’ anno, quasi il 5% dei voti e siedono in Parlamento.  

Vagando tra il passato e il presente ecco il Peloponneso, penisola/isola che da sola vale come una intera nazione o forse come l’intera civiltà occidentale poiché quasi tutto quello che riguarda l’antica Grecia, Atene a parte, viene da qui, dalle antiche città il cui solo nome infonde rispetto, ricordi, senso della storia. Territorio aspro, scavato e plasmato dalla povertà delle campagne, profumato di poesia e di miti, è rimasto nell’ ombra del turismo internazionale proiettato verso il mare delle isole.

Per arrivarci dal nord continentale, si deve attraversare il  canale di Corinto, grande opera dell’ uomo  che collega il mar Egeo con il mar Ionio tagliando in due l’ istmo che li separa. L’ attraversamento del canale,  volendo anche a piedi,  è spettacolare. Si cammina, quasi intimoriti, sul ponte che collega le due sponde di questa fessura larga solo 20 metri ma profonda come un palazzo di 30 piani e lunga 6 Km. I lati sono di roccia che sembra tagliata col coltello e, in fondo, si stende una fettuccia blu: i due mari che si incontrano. I gabbiani volteggiano da una sponda all’altra lanciandosi su e giù per le rive lungo le quali hanno i loro nidi. Si tratta  un’opera gigantesca per fare la quale ci sono voluti oltre 2500 anni!

La prima idea di tagliare l’istmo venne, nel VII secolo a.c.  al Re di Corinto Periandro, uno dei sette saggi dell’umanità. Ma, proprio perché saggio, prima di affrontare la grande impresa,  chiese il parere all’ oracolo di  Delfi e la risposta fu perentoria: “Nè costruire nè scavare l’ istmo perchè  Zeus ha costruito le isole dove pensava che fosse giusto che fossero”.   Probabilmente una risposta così netta fu dettata da una convergenza di interessi tra i sacerdoti di Delfi che temevano di perdere le offerte che i marinai facevano prima di circumnavigare il Peloponneso e i cittadini di Corinto che temevano che la loro città perdesse il ruolo di punto di arrivo delle merci dal mare e diventasse solo un punto di passaggio. Il progetto del canale fu, quindi, abbandonato per molto tempo.

Nel periodo romano Giulio Cesare lo mise nel suo programma di lavori, ma fu assassinato prima di passare all’ opera. Caligola fece fare uno studio di fattibilità che ebbe esito negativo a causa del dislivello tra i due mari. Nerone nel 67 diede personalmente la prima picconata e i lavori iniziarono, ma dopo la sua morte l’opera non fu continuata. 

Nel corso dei secoli si susseguirono studi di fattibilità, progetti, accordi, inizi dei lavori, fallimenti di società e tante lunghe interruzioni. Ci provò anche una società francese quando una legge permise ai privati di costruire il canale in cambio del suo sfruttamento commerciale per 99 anni. La società francese abbandonò l’impresa per difficoltà economiche.

Il progetto fu ripreso da altre società francesi, senza migliori risultati. Solamente nel 1881 il Governo greco decise di finire gli scavi e nel 1893 il canale fu finalmente terminato: 2500 anni per arrivare ad un’opera bellissima ma di poca utilità pratica.  Nel canale, infatti, possono transitare solo navi piccole.  Non passano le moderne navi transoceaniche né quelle da crociera e, di fatto, viene usato solamente per la navigazione da diporto.  Per di più il passaggio viene spesso bloccato per problemi di instabilità delle sponde.  Attualmente passano 20-30 navi al giorno e un tale livello di traffico rende economicamentepoco sostenibile l’opera.  Resta, però, una emozionante opera d’arte, di ingegno, di tecnica, di creatività umana.

Passato il canale, nella regione dell’ Argolide, ci si trova davanti ad una delle città-stato più influenti e ricche del mondo antico, tale da battezzare un’ epoca e una intera cultura: Micene, città fondata da Perseo, figlio di Zeus e Danae, sposo di Andromeda. Il governo della città-stato, nel tempo passò ad Agamennone e al fratello Menelao. Varcare la soglia di questa città, passando attraverso la maestosa porta dei leoni (che forse sono leonesse visto che non c’è segno di criniera), fa viaggiare nella profondità del tempo dove si accavallano, in modo confuso, i miti e le leggende: il supremo condottiero Agamennone e la moglie Clitennestra che ucciderà lui e Cassandra sua concubina portata schiava da Troia,  il valoroso Achille la cui ira ci ha regalato uno dei poemi più belli del nostro mondo, Menelao che ebbe la sfortuna di sposare la bellissima Elena, Paride che  la rapì,   e tanti altri che varcarono la stessa porta che oggi si varca ancora dopo quasi  tre millenni!

Entrare in ciò che ancora resta di Micene, camminare in silenzio respirando l’Iliade e intravvedendo Omero che seduto su una roccia prende appunti, salire fino al Palazzo reale che occupa la sommità del monte, guardare la stupenda vallata che si stende ai suoi piedi, è davvero emozionante. Chissà com’era questa valle quando Clitennestra si affacciava dal porticato del Palazzo, chissà qual’era il suono della sua voce. L’antichità classica che si fa viva nei ricordi, nella fantasia e nello sguardo curioso che cerca, rende questi luoghi animati di passione e di fascino.

Passando dall’ est all’ ovest del Peloponneso, si trova un’altra meraviglia. Isolata, lontana dai grandi centri della Grecia antica, in una magnifica valle delimitata da due fiumi, sorge Olimpia. Camminando tra le antiche rovine all’ ombra di grandi querce, platani, pini, ulivi selvatici, con gli oleandri ancora in fiore,  si può intuire perchè questa valle, così bella e serena, fosse il posto giusto per ringraziare le divinità legate alla natura e alla terra, come Gea, la madre terra, la Dea primigenia dalla inesauribile forza creatrice, l’ essenza stessa della vita. Successivamente i culti si ampliarono ad altri Dei, in primis a Zeus per il quale venne costruito un tempio maestoso al cui interno troneggiava una gigantesca statua crisoelefantina in oro e avorio che lo rappresentava seduto sul trono con lo scettro in mano. La statua, annoverata tra le sette meraviglie del mondo, fu opera di Fidia il cui laboratorio era annesso al tempio.

Ma perché tutti questi templi nel posto dei giochi e delle gare atletiche? Perché fu proprio attorno alla spiritualità e alle credenze mistiche che crebbero le gare. L’ attività fisica era, infatti, accompagnata da una intensa attività spirituale. Gli atleti dovevano pregare, partecipare ai riti religiosi, meditare, ascoltare musica, assistere ad opere teatrali, osservare la natura etc.  Non venivano ammessi alle gare gli atleti che non avessero dimostrato di aver acquisito una profonda conoscenza di ciò che l’uomo è, oltre l’aspetto corporale.  Questo ha portato alla nascita di quei grandi valori universali e dei puri ideali dell’atletismo e dello spirito olimpico che sono ben più importanti della potenza fisica. I giochi Olimpici moderni fondati alla fine del 1800 da Pierre de Coubertin,  che è sepolto a Olimpia  in un angolo appartato della vallata,  riprendono i valori e lo spirito dell’ antichità.

Molto importante, soprattutto nei nostri tragici giorni, il fatto che durante le feste olimpiche antiche in tutta la Grecia veniva attuata la “tregua olimpica” cioè dovevano cessare tutte le guerre, e anche tutte le inimicizie pubbliche e private. ”Ekecheirìa!” così l’ araldo gridava annunciando la tregua generale di tutte le guerre in corso. Dal 1992 in occasione di ogni Olimpiade, il Comitato Olimpico chiede alla comunità internazionale, attraverso l’ONU, di osservare la tregua olimpica: però la richiesta passa ignorata. Lungo il percorso che porta al grande e magnifico stadio con le gradinate in erba, dove si svolgevano quasi tutte le competizioni,  vi è il tempio di Hera (l’ Heraion di Olimpia), il più antico tempio dorico del quale ancora sono presenti considerevoli resti e al cui interno venivano conservate le corone di ulivo selvatico riservate ai vincitori delle gare.  Davanti al tempio si riconosce l’altare di Hera dove ogni quattro anni viene acceso, grazie ai raggi del sole concentrati da uno specchio concavo, il braciere olimpico o tripode che resterà acceso per tutta la durata delle gare.  Il fuoco, un grande regalo che Prometeo fece agli uomini dopo averlo rubato agli Dei, rappresenta l’origine e l’essenza della condizione esistenziale umana.  Da Olimpia una torcia col fuoco prelevato dal braciere, grazie a staffette di centinaia di tedofori, viene trasportata a piedi nella sede dei giochi.  Col passare degli anni, però, a causa delle distanze tra Olimpia e le varie sedi dei giochi, si sono dovuti usare anche vari mezzi di trasporto (cammelli, canoe, gondole, biciclette, sci, sottomarini, aerei e navi….) e progressivamente lo spirito olimpico è stato attaccato dal consumismo e dal business.  Basti pensare che per i giochi di Torino 2006 la torcia olimpica viaggiò in Ferrari o che arrivò a Parigi da Atene in Concorde visto che Air France era lo sponsor principale dei giochi di quell’ anno. Anche la torcia, diventata un oggetto più commerciale che simbolico, viene progettata da grandi designer e venduta in migliaia di esemplari più o meno numerati.

Il ritorno ad Atene rappresenta un risveglio ancora più amaro alla realtà attuale : sono tanti i senza tetto per strada dentro ai cartoni, tanti i medicanti, sono tante le botteghe chiuse, i palazzi in rovina, le zone protette dal filo spinato. Appena si lascia la stretta area attorno all’ Acropoli o il quartiere Kolonaki ai piedi della maestosa collina del Licabetto, si respira un disagio palpabile.
Perfino le tante TAG sui muri delle case che di per sè sono considerate parte del decadimento della città, sono scrostate e malmesse.
E poi emerge chiaramente come la Grecia sia in vendita: l’aeroporto è francese, il porto del Pireo è cinese, tutti gli introiti derivanti dagli ingressi ai siti storici  e ai musei vanno direttamente alla Deutsche bank, le miniere d’oro sono canadesi, perfino la lotteria di stato è stata venduta. Molte isole sono in vendita o sono già state vendute al prezzo di un appartamento a Parigi. Le multinazionali del farmaco non distribuiscono più le medicine se non vi è pagamento anticipato, gli Ospedali sono a corto di tutto, anche di medici. Gli ambulatori di Emergency hanno code di cittadini che chiedono assistenza.

Dopo un meraviglioso viaggio nell’ immenso passato, la Grecia del presente suscita tristezza e preoccupazione.
Ce la faranno?
Ce la faremo noi europei a dedicarci in modo compatto e organico alla ripartenza dei Paesi che compongono questa Unione?  


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