LA FINE DEL LAVORO
IL RINOCERONTE
Marienthal è una piccola città a sud Ovest di Vienna.
Agli inizi degli anni ’30 dell’800 l’imprenditore austriaco Hermann Todesko decise di insediare il suo stabilimento proprio nella cittadina austriaca per le caratteristiche del luogo: zona pianeggiante facilmente raggiungibile, ricca d’acqua da cui trarre energia per le macchine, zona poco adatta all’agricoltura.
L’attività ha successo e la fabbrica si ingrandisce con nuove lavorazioni e nuovi lavoratori Todesko concepisce la sua fabbrica sulla base dei rapporti di stampo patriarcale del tempo: stipendi non elevati ma sicuri e servizi accessibili agli operai e alle maestranze diffusi nella città, che in poco tempo diventa un centro abitato vivace e vivibile.
A Marienthal sorge un asilo per i figli delle operaie, molti negozi, un cinema, biblioteche ed uno spaccio cooperativo. Con la rivoluzione tecnologica e con l’introduzione dei telai a vapore, arrivano il sindacato, la sezione del partito e un aumento dei salari.
Marienthal diventa un centro molto vivo politicamente, socialmente ed economicamente, seguendo la crescita della fabbrica fino al 1929: quando arriva la grande crisi La fabbrica chiude e a Marienthal tutti gli abitanti restano senza lavoro.
Lo stato austriaco decide di puntare sui sussidi di disoccupazione, quelle che oggi chiameremmo politiche di integrazione del reddito e non di incentivazione al reddito, come nello stesso periodo fanno altri paesi per uscire dalla grande depressione, ad esempio gli USA con Rooswelt ed il suo new Deal. In pochi anni la città dei disoccupati si spegne.
Nel 1933,
quattro anni dopo la grande recessione e la chiusura della fabbrica fondata da Todesko un team di psicologi guidati da Marie Jahoda si trasferiscono nella cittadina per studiare gli effetti sociali di quella che probabilmente è la prima disoccupazione di massa di cui si notizia nella storia.
Il risultato della ricerca è un trattato di etnografia di straordinario valore per la ricerca nelle scienze sociali. “I Disoccupati di Marienthal” è una indagine sugli effetti che la disoccupazione può produrre sia socialmente sia psicologicamente, con una particolarità inedita per il periodo: l’oggetto della ricerca non è il singolo disoccupato ma l’intera comunità.
A Marienthal i ricercatori si trovarono di fronte ad una comunità “stremata e apatica”, senza “struttura e personalità sociale”.
Marienthal vive in una monotonia desolante, in cui il tempo si dilata a dismisura. Il parco del paese diventa un luogo abbandonato ed incolto, l’asilo montessorian viene chiuso, perché la comunità non può più pagare la maestra. Si chiedono meno libri in biblioteca, non si comprano più i giornali, muore la partecipazione politica.
I ricercatori che vivono quotidianamente la vita della cittadina osservano che diminuisce addirittura il ritmo con cui la gente cammina.
Le famiglie “integre” quelle che secondo i ricercatori mantengono un buon grado di “positività”, una vita ordinata, figli curati e casa ben tenuta, ammontano al 16% delle famiglie totali. Le “rassegnate” sono quasi la metà, il 48% e le “disperate” sono l’11% Il 25% dei nuclei famigliari vengono classificate dal team di Jahoda come “apatici”, una situazione la cui durezza non lascia dubbi, che sta tutta dentro la conclusione del libro: «arrivammo a Marienthal come scienziati sociali; ce ne andammo con un unico desiderio: che la tragica possibilità di svolgere un’inchiesta come questa non si ripresenti più ai nostri giorni».
I risultati della ricerca sono la fotografia di una comunità che cresce e si esaurisce assieme alla sua fabbrica, una storia che si è ripetuta spesso negli anni della rivoluzione industriale e che anche in Italia testimonia il rapporto strettissimo tra le città e il lavoro inteso in senso lato.
Queste città oggi sono esempi di archeologia industriale e musei a cielo aperto che testimoniano come le città siano in costante divenire. E che magari cosi come possono “nascere” e crescere possono anche ammalarsi e “morire”.
Il “caso” Marienthal ancora oggi assume un significato particolare.
Ci parla degli effetti di politiche finalizzate alla coesione sociale “radicali”, in questo caso le politiche passive di integrazione del reddito senza alcuna contropartita, cioè l’incentivo a cercare una altra occupazione e senza politiche per lo sviluppo, finalizzate a creare nuove opportunità di lavoro.
E soprattutto ci lascia immaginare una società senza lavoro, in cui la comunità si ritrova senza quello che probabilmente ancora oggi è il primo collante sociale. Una società senza lavoro o più laicamente una società senza lavoro retribuito per tutti è una società che deve ripensare il proprio stare insieme. E ripensare il concetto stesso di lavoro e di valore.
Tenendo presente che non viene meno il lavoro in sé, ma parte di quel lavoro viene fatto dalla macchine e un’altra parte resta implicito.
Cioè non retribuito. Infine una società del genere deve ripensare velocemente un modo per redistribuire risorse, problema urgente in un mondo in metamorfosi messo di fronte agli effetti collaterali del cambiamento.
NDT.: L’immagine in evidenza è un fotogramma dal film la Macchina del Tempo tratto dal romanzo di H.G. Welles, sono gli Eloi apatici individui senza nulla da fare se non essere cibo dei Morlock che vivono nelle profondità della messa in scena “futuribile” dell’autore.
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