Quattordici/A Hermes Storie di geopolitica – Europa
Salvatore Sechi
Docente universitario di storia contemporanea
Un’analisi della situazione finanziaria in cui versa la Francia, caratterizzata dall’ingente mole del debito pubblico quella che Salvatore Sechi descrive nel suo articolo “I mali (europei) della Francia”, in questa settimana di trattative convulse alla ricerca di una nuova maggioranza in parlamento nel tentativo di formare un nuovo governo tenendo conto del risultato delle elezioni legislative e dei nuovi rapporti di forza fra sinistre, macroniani, destra moderata, e estrema destra. “Di qui crescenti squilibri del bilancio pubblico, ai quali non si è accompagnato un più elevato tassi di crescita in termini di Pil pro-capite.
Tutto è stato sottaciuto e ignorato. Grazie all’alleanza con la Germania (il famoso asse franco-tedesco), Parigi ha potuto godere di un regime di impunità rispetto alle regole europee e alle pressioni degli investitori di mercato. Da essi è venuta l’inutile denuncia del mancato inasprimento delle procedure per condannare i deficit eccessivi di Parigi. A questo scopo è servita la “protezione” di Berlino”.
16 luglio 2024
Alla vecchia pergamena (un po’ bisunta se non proprio incartapecorita) del Paese di mandarini e cicisbei, si è venuto sempre più sovrapponendo un altro stereotipo, l’immagine di una Francia alla perenne ricerca di sé stessa. E ciò dopo le molte rivoluzioni (1789, 1830, 1848, 1870 e 1968), tre repubbliche, sette costituzioni diverse, due imperi, una restaurazione, una monarchia borghese e l’État français di Vichy (sostanzialmente fascista), la Francia è ormai scaduta a Paese che non esiste1.
Si identificherebbe solo nell’epicentro di Parigi con la sterminato territorio delle province diventato una micidiale e grandiosa macchina per allinearsi alle esibizioni dell’Hôtel de Matignon.
Forse è meglio limitarsi a dire quel che in Europa si è detto a lungo dell’Italia, cioè che la Francia è in sofferenza, è malata.
Ma la diagnosi non può essere errata e quindi fuorviante. Intendo dire che i suoi mali e malanni sono per lo più quelli di altri Paesi europei che non hanno avuto rivoluzioni né restaurazioni.
L’aumento del debito pubblico transalpino
La maggiore infezione da cui sono colpiti i francesi mi pare possa dirsi la mole del debito pubblico. Dal 2009 al 2023 è cresciuto di 1.472 miliardi contro un aumento, a valori correnti, del Pil di soli 887 miliardi. Una corsa, dunque, senza freni, direi ormai incontrollabile,
Ma chi finanzia questo debito? L’economista Marco Fortis ha esaminato qualcosa che gli analisti spesso si guardano bene dal fare, cioè alcune serie storiche della Banca Centrale europea. Ne è venuto fuori un quadro impressionante2.
Infatti la crescita del debito pubblico francese sarebbe finanziata per 924 miliardi da investitori stranieri (quello che viene solitamente chiamato credito estero). Gli altri 628 miliardi sarebbero a carico della Banca centrale nell’ambito dell’Euro-sistema.
Che cosa vuol dire? In primo luogo che il valore del debito pubblico italiano (su cui mezzo mondo si sbellica o fa tristi presagi) detenuto da non residenti (cioè Paesi stranieri) o presso l’Euro-sistema nel 2009-2023 è cresciuto di soli 42 miliardi. Fortunatamente, dunque, il nostro Paese può contare sul valore di 1.379 miliardi provenienti dalla ricchezza privata interna (cioè investitori residenti).
Poiché, rileva Fortis,
“il rapporto tra il valore del debito pubblico in mani estere o presso l’Euro-sistema (1.485 miliardi) e il valore detenuto da investitori residenti (1.379 miliardi) è stato nel 2023 di 0,93 per cento ad uno”,
l’Italia è in pratica autosufficiente, in buona sostanza alla pari.
Il debito di Francia, Germania e Francia è, invece, alle mercè del finanziamento di stranieri. Pertanto il buon bilanciamento rilevabile nella situazione italiana non è rilevabile nel caso della Francia, dove è stato di 2,7 per cento a uno, quindi una situazione di assai minore indipendenza e sicurezza.
In Italia nello stesso lasso di tempo 2009-2023 è cresciuto di 42 miliardi, ma può contare sui 1600 miliardi del nostro risparmio privato, rinvenibili nei depositi bancari. Invece la spesa pubblica della Francia (con cui ha sostenuto il migliore Welfare State dell’Europa, ora in crisi) risulta totalmente finanziata da terzi, con tassi più bassi. Anche la Spagna e la Germania hanno un capitale pubblico che per lo più è concentrato in mani estere.
C’è da aggiungere che le nubi nere che si stanno addensando sui Paesi membri della moneta unica non dipendono più dal rapporto debito pubblico totale-Pil, ma dal surplus di debito pubblico estero e da una posizione finanziaria netta sull’estero negativa.
Soprattutto come quando, nel caso della Francia, le due condizioni sembrano verificarsi simultaneamente.
La Grecia è fallita non per l’alto debito sul Pil, ma per l’insostenibilità del debito estero che ora colpisce Francia (924 miliardi) Germania (209 miliardi) e Spagna (424 miliardi).
Un altro problema della Francia è l’aggravamento dei disavanzi pubblici grazie all’ingente flusso della spesa pubblica e agli eccessivi deficit di bilancio. Com’è noto, il peso della spesa pubblica rispetto al Pil è stato sempre maggiore di circa 7-10 punti percentuali in confronto a quello medio dell’Unione europea.
Di qui crescenti squilibri del bilancio pubblico, ai quali non si è accompagnato un più elevato tassi di crescita in termini di Pil pro-capite.
Tutto è stato sottaciuto e ignorato. Grazie all’alleanza con la Germania (il famoso asse franco-tedesco), Parigi ha potuto godere di un regime di impunità rispetto alle regole europee e alle pressioni degli investitori di mercato. Da essi è venuta l’inutile denuncia del mancato inasprimento delle procedure per condannare i deficit eccessivi di Parigi. A questo scopo è servita la “protezione” di Berlino.
Un sospiro di sollievo e una smargiassata di rettorica antifascista (fuori luogo quasi che Marine Le Pen sia come Hitler) è venuta dalla sconfitta del Rassemblement National. Bisogna ricordarsi che il costo lordo del suo programma era di 60 miliardi all’anno, cioè il 2,01 per cento dell’intero Pil dell’anno 2023. Si tratta della cifra calcolata dall’Institute Montaigne, che fa sbarellare i mercati e salire i tassi.
Ma cosa succederebbe se intorno a Macron e, in ogni caso con il suo beneplacito, si riuscisse a varare un governo di grande coalizione repubblicana, cioè inclusivo dei partiti dai gollisti ai verdi (cioè che avesse all’opposizione la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e il Rassemblement national di Marine Le Pen)?
Succederebbe quel che si può immaginare per un governo che non tranquillizzerebbe i mercati e che in caso di defezioni potrebbe avere forse di fronte a sé – come taluni paventano – la prospettiva di vedersi bocciata la legge di bilancio 2025.
Si procederebbe per decreto fino a quando?
I francesi hanno mostrato, durante la riforma delle pensioni, di non amare gli stratagemmi e gli escamotages per evitare il voto parlamentare.
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