Rendere davvero autonoma la gestione del servizio pubblico della comunicazione
Tredici/B Techné Storie di media e società
Andrea Melodia
Giornalista, già dirigente RAI e Presidente dell’Unione Stampa Cattolica Italiana
Democrazia futura nell’ambito del Focus di approfondimento della seconda parte Techné dedicato a “La Rai degli anni venti” con Andrea Melodia già dirigente RAI e Presidente dell’Unione Stampa Cattolica Italiana si sofferma su “I ricorsi presentati al TAR sulle modalità di rinnovo della governance Rai”. Obiettivo quello – alla vigilia del rinnovo del Consiglio di Amministrazione della concessionaria del servizio pubblico “Rendere davvero autonoma la gestione del servizio pubblico della comunicazione” attraverso la nomina di amministratori qualificati e scelti attraverso “le procedure trasparenti di selezione che la legge prevede”.
06 maggio 2024
Ci sono segnali concreti che si stia aprendo una nuova fase nella lunga e tormentata vicenda che riguarda la legittimazione pubblica e il ruolo sociale di quanto resta del Servizio pubblico radiotelevisivo.
Nella dialettica partitica, la rinnovata attenzione al tema sarebbe conseguenza della tenaglia che l’attuale Governo di centrodestra ha stretto sulla RAI. Pur ammettendo una notevole recrudescenza del fenomeno, si fatica a non ricordare come questa pratica sia stata attuata dalla maggior parte dei poteri esecutivi succedutisi negli ultimi 70 anni, pari alla storia della televisione italiana.
Avanzo invece la speranza che si torni a parlare di servizio pubblico, prevalentemente, perché sono le condizioni oggettive del sistema della comunicazione, sia pubblica sia privata, a farne risaltare la necessità. Ma siamo solo ai primi passi.
Il 2 maggio una prima avvisaglia del nuovo interesse si è avuta con la presentazione, in una conferenza stampa a Montecitorio, della iniziativa di alcune personalità che hanno presentato alla Camera e al Senato, in applicazione della legge vigente, la propria candidatura al prossimo rinnovo del Consiglio di amministrazione della RAI. Costoro, più che aspirare a una improbabile nomina, hanno con la propria candidatura acquisito la titolarità giuridica a presentare ricorsi al TAR per la mancata applicazione – già sperimentata nelle occasioni trascorse – delle procedure trasparenti di selezione che la legge prevede. E questi ricorsi cautelari, ben sostenuti da amministrativisti esperti, sono già stati presentati.
Sapremo presto se questo percorso, diretto a mettere in discussione la prassi lottizzatoria dei partiti, che viene applicata nel totale disinteresse verso l’affidamento di una missione del Servizio pubblico ai suoi amministratori, troverà attenzione presso i giudici amministrativi. In prospettiva, potrebbe aprirsi una strada di verifica di costituzionalità delle norme vigenti, che affidano all’esecutivo e alla maggioranza politica del momento il controllo della RAI.
Ancora più, la esigenza di rendere realmente autonoma la gestione del servizio pubblico della comunicazione sarà palesemente esigibile nel prossimo futuro. Infatti, tra 15 mesi diverrà applicabile la norma, già in vigore in Italia, dell’European Media Freedom Act, il Regolamento che all’art. 5 impone di regolare in modo trasparente l’indipendenza dall’esecutivo nella gestione dei Servizi pubblici, anche in termini economici.
Dunque, la materia è in movimento.
Lo si è visto anche nella conferenza stampa a Montecitorio, perché i candidati ricorrenti non hanno agito solo in proprio, ma sono stati sostenuti da numerose associazioni, più o meno di area giornalistica, come Articolo 21, Usigrai, Federazione Nazionale della Stampa, chiamate perché le meglio tecnicamente attrezzate in questa materia. Ma c’erano anche associazioni più generaliste come Infocivica, TVMediaWeb, e l’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI). A conferma – è stato sottolineato – che nella società civile e nel mondo associativo la domanda di servizio pubblico nella comunicazione, e l’interesse per una riforma sostanziale della RAI, sono oggi in crescita ben più di quanto possa sembrare, e che la mobilitazione dei corpi sociali su questi temi è possibile.
Tutto questo avviene nella convinzione che di servizio pubblico della comunicazione ci sia grande bisogno, forse più oggi di ieri: per combattere la frammentazione sociale, le falsità, le spinte irrazionali, l’ignoranza e le sciocchezze che invadono la comunicazione.
Questo serve a tutti, non è prerogativa di sinistra o di destra. Ha impatto sulla politica e la democrazia.
Fare servizio pubblico della comunicazione, attraverso una media company di servizio pubblico, significa intervenire in modo sistematico e esclusivo nella materia. Oggi forse servono più algoritmi di servizio pubblico che telegiornali.
Esclusivo non nel senso che non debbano anche altri operare in logica di servizio pubblico, ma perché chi riceve soldi pubblici deve fare solo quello, e non il suo contrario magari nella parte più visibile dell’offerta.
Le risorse pubbliche devono essere concentrate su una missione credibile e avere protezione costituzionale; sapendo però che quelle risorse non sono dedicate alla difesa e esaltazione del proprio ruolo aziendale, a proteggere la propria fascia di mercato, ma al contrario a sostenere e incoraggiare chiunque, con risorse proprie, agisce in una logica di servizio pubblico, come la professione giornalistica nel suo insieme dovrebbe fare.
Sapendo anche che non è solo l’informazione giornalistica il terreno nel quale si chiede servizio pubblico, ammesso che essa si possa distinguere ancora nella massa degli stimoli informativi che ciascuno di noi ormai riceve. Si chiede servizio pubblico in tutte le attività espressive e di comunicazione, che hanno anche ruoli economici importanti, e dove il servizio pubblico deve intervenire senza fare né censure né scelte di parte.
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