I RISPARMIATORI INDIFESI TRA FINECO E LO SCERIFFO TRUMP

I polemisti medievali avevano una regola: “Non fare oscura glossa dov’è chiaro verbo”.

Il richiamo storico serve a dare qualche tocco di nobiltà ai comportamenti di Finecobank nei confronti dei risparmiatori.

Mi riferisco al fatto che di fronte alla richiesta di spiegazioni per non aver cercato di arginare la sensibile (diverse decine di migliaia di euro) flessione subita dall’investito, il capo del team dei consulenti finanziari di Bologna (dott. Marco Lorenzoni bni) abbia dato le dimissioni. E nessun altro funzionario sia stato incaricato di sostituirlo. Si lavora, e ci si consulta solo mediante l’helpdesk.

Fineco è dunque a corto di personale, e i clienti della banca davvero non meritano di essere protetti?

Questo secondo aspetto è servito a lasciarmi – anche per via dell’età non imberbe – in una situazione molto complessa e difficile.

Ne parlo distesamente su queste colonne perché non si tratta di un episodio banale e personale. È, infatti, un argomento balzato sotto gli occhi di tutti soprattutto ora che i mercati finanziari sono sottoposti al cardioplama dalle politiche daziarie della Casa Bianca.

Va letta come una risposta la decisione di ridurre e contenere consulenti e collaboratori in una città importante come il capoluogo dell’Emilia-Romagna?

Detto diversamente c’è da chiedersi se non costituisca una spia, se non proprio lo specchio, di una vera e propria prassi nei confronti dei propri clienti, vale a dire di una reazione (non trasparente, poco visibile) di una delle principali banche italiane nei confronti dei risparmiatori.

Provo a enumerare tali comportamenti rilevati a Bologna:

  • 1. è stato impiegato più di un mese per emettere una carta di credito funzionante,
  • 2. è mancata l’informazione per cui era necessario conservare la prima carta emessa (pertanto, non avendo spiegazioni sull’iter, è stata diligente mente distrutta),
  • 3. si è omessa l’informazione sul fatto che sulle
  • operazioni di prelievo ci fossero- a seconda che si usi la carta debito la carta credit-delle commissioni da pagare come se si trattasse dell’erogazione di  contante,
  • 4. non si è provveduto a far rimborsare-come più volte promesso-tali spese e quelle (appena un pò più consistente) per l’emissione di una nuova carta,  
  • 5. nessun spiegazione si è riusciti a dare del perchè l’investito  sia precipitato sensibilmente. Addirittura  prima dell’attuale crisi legata alla  politica daziaria di Trump,
  • 6. di fronte alla strategia dell’amministrazione della Casa Bianca, non si è provveduto ad eseguire un ordine molto diffuso, cioè quasi normale tra risparmiatori e ad opera degli stessi consulenti della banca: spostare un po’ di capitali su titoli difensivi (o rifugio che dir si voglia). Si tratta dell’oro, di titoli di Stato, del franco svizzero, degli Etf ecc. Essi avrebbero consentito di arginare perdite pesanti. Com’è purtroppo avvenuto, si è trattato di diverse decine di migliaia di euro. Sono andate in fumo anche per l’imprevidenza dei consulenti bolognesi di Fineco. Si tratta di errori di mancata comunicazione ammissibili?
  • 7. nessuna esecuzione è stata data al suggerimento di investire quote del capitale ammininistrato nella Rheineschermetal, nel colosso italiano Leonardo, come in altri titoli specializzati nei settori di difesa, sorveglianza e sicurezza.

I nomi dovrebbero essere noti, oltre che ai docenti universitari di storia contemporanea, anche e oso dire soprattutto ad ogni consulente della prestigiosa e informatissima Finecobank. Eccone alcuni: la svedese Saab, la danese Kongsberg, le francesi Dassault Aviation e Thales, la britannica Bae System, le tedesche Hensoldt, Renk e Thyssenkrupp ecc.

A colpire è l’impressionante silenzio nel complesso mantenuto da Fineco e l’opzione di coprire ogni responsabilità col comunicarmi la classica arma dei poveri, ossia la rinuncia, le dimissioni dall’incarico.

Mi pare opportuno chiedere al ceo e agli altri dirigenti di Finecobank se questo del non farsi vivi, omettere ogni segnale di esistenza ecc., sia il comportamento responsabile o comunque adeguato da essi raccomandato ai propri dipendenti nelle filiali di Bologna (e penso di mezza Italia) quando nel mercato finanziario i titoli gestiti cominciano a flettere.

Basterebbe che il dott. Marco Lorenzoni e i suoi colleghi del team di Bologna (e non solo)  venisse ro indotti a leggere Il Sole-24 Ore e in particolare l’inserto Plus 24  (diretto da Gianfranco Ursino).

Invece amano pascersi di ritagli di stampa, cioè di una selezione della stampa finanziaria che viene predisposta Milano e inviata a tutte le filiali della banca.

Questo servizio centralizzato esonera dalla lettura diretta (e non di rado dallo stesso acquisto) del nostro maggiore quotidiano economico, finanziario e normativo diretto da un giornalista di grande esperienza come Fabio Tamburini.

Sia Ursino sia gli altri collaboratori di Tamburini hanno  in queste settimane esplicitato, con la caute la e la misura più opportune, quali avrebbero potuto essere le soluzioni per fronteggiare le misure da puro e semplice protezionismo varate  dallo sceriffo Donald  Trump.

Non si sono limitati a ripetere la vecchia litania, va le a dire che le Borse possono scendere e anche andare a fondo, ma alla fine riprendono a salire. Dunque rimunerando il capitale investito.

La saggezza di questa informazione ha un limite: al risparmiatore che non è giovane (o addirittura è in età avanzata) importa sapere in quale arco di tempo le Borse riescono a risalire la china. Se ciò avviene nel lungo periodo, vale l’obiezione di J.M. Keynes che nel frattempo potremmo essere tutti morti.

Finecobank, secondo i consulenti bolognesi, non pare ammettere che si possa suggerire ai propri risparmiatori l’acquisto di un titolo come Rheiner metal (invece nessun timore e tremore per la nostra Leonardo, che non è un’unta del Signore!).

Si tratta dell’immissione nel comportamento mol to variegato (e fondato sulla religione degli affari) delle banche di un valore etico, quello di non incrementare  i rendimenti di chi produce o finanzia la circolazione di sistemi di difesa (in cui sono presenti contingenti di armi e munizioni).

Infatti il comparto degli investimenti in difesa, come nella crisi del Covid, è stato oggetto di una clausola di salvaguardia da parte della stessa presidente dell’Unione europea.

Nella prima metà di febbraio aveva raggiunto i massimi livelli storici (il 4,43% dell’indice Stoxx Europe Aviation and Defence). Dopo l’invasione russa dell’Ucraina di tre anni fa, il 18 febbraio 2025 è balzato al 123%.

Dall’inizio della guerra le azioni dell’italiana Leo nardo hanno guadagnato il 267%, e la tedesca Rheinmetal del 375%.

La società di trading S&P Global ha stimato che per i paesi europei la spesa per la difesa sarà un to tale di 875 miliardi di dollari all’anno. Un incremento peraltro sostenibile dal momento che per la crescita post-pandemia del Covid sono stati spesi circa 2 mila miliardi di euro.

I titoli di Stato sono calati negli Stati Uniti, ma saliti in Europa.

Anche se negli Usa i rendimenti dei Treasury Bond decennali restano più elevati (4,47%) dei Bund decennali tedeschi (2,47%), nei paesi della comunità europea i rendimenti dei titoli di Stato decennali nel 2025 sarebbero in proporzione maggiori per le seguenti condizioni: il calo dell’inflazione, la debolezza dell’economia, la disponibilità della Bce a tagliare più volte i tassi.

Gianni Trovati ha spiegato le ragioni della duratura fortuna dei titoli di Stato italiani, anche nell’orizzonte internazionale. Consisterebbero nei rischi, percepiti o reali, molto bassi, prossimi allo zero, e nei rendimenti più elevati per via del primato italiano nel debito pubblico rispetto al Pil.

Notevole è stato il balzo nei rendimenti del metal lo giallo. Oggi viaggerebbe addirittura verso il picco straordinario di 3.500 dollari a oncia.

I consulenti bolognesi di Fineco, invece di murarsi in un silenzio assoluto (come se l’argomento non interessasse), avrebbero potuto muovere qualche (blanda) obiezione. L’andamento degli investimenti nell’oro non garantisce rendimenti né uniformi né costanti. Ma è ormai diventato un titolo sempre  più strategico e sempre meno congiunturale.

È ammissibile che i consulenti finanziari di Bologna non conoscano le analisi di Morya Longo? Chi ha reclutato costoro può davvero concedere -più con lascivia che con generosità-che si tratti di un peccato veniale, comprensibile e quindi perdonabile la orassi delle omissioni, dei silenzi, dell’indifferenza su quanto accade ai risparmiatori?

Come può un istituto bancario del rilievo di Fineco lasciar correre la notizia che un signore di quasi novant’anni, in presenza di una delle più grandi crisi del Novecento, sia stato lasciato solo, cioè senza uno straccio di sostituto?

Chi è responsabile delle pesanti perdite che il suo investito ha subito per l’indifferenza o la probabile crassa ignoranza finanziaria dei consulenti scelti per assisterlo?

Una banca come Fineco non può ignorare platealmente che la difesa di un cliente non è solo un do vere, ma anche un obbligo istituzionale. Lo  sanciscono le leggi della a repubblica, oltreché il senso comune della responsabilità.

Per reagire a questo comportamento (estremamente triste e oneroso per  me), ho dato disposizioni di trasferire in un’altra banca i miei risparmi.

Ebbene, i lettori debbono sapere che questo iter richiede circa tre mesi per i titoli emessi direttamente da Fineco. E’ il caso di precisare che sono circa il 50% dell’investimento complessivo perché i consulenti finanziari amano privilegiare questo comparto casereccio. Chissà  per quale  misterioso interesse o motivo.

Durante il rito del trasferimento da Fineco alla Banca privata Cesare Ponti possono succedere delle cose che ai risparmiatori vengono spesso taciute. Per esempio essi sono tenuti a continuare a pagare gli importi delle commissioni di gestione di Fineco, le tasse di bollo ecc. In secondo luogo, se vogliono accelerare l’uscita dai fondi per poter usufruire delle migliori condizioni offerte dal nuovo istituto di credito prescelto (nel mio caso la Banca Privata Cesare Ponti) corrono rischi di ulteriori danni, cioè di nuove gravi perdite.

Mi riferisco a un fenomeno che ho sperimentato anni fa proprio presso Fineco, per l’irresponsabilità di un consulente.

Per poter disporre di una liquidazione in due giorni e di un prezzo noto al momento della vendita, secondo Andrea Busi (direttore amministrativo di Direct Sim).

”Tutti gli strumenti quotati dalle azioni ai bond o agli Etf hanno una data di regolamento fissata due giorni dopo l’esecuzione dell’ordine sul mercato. Quando vendo questi strumenti i soldi sono però immediatamente resi disponibili sul conto del cliente per poter fare nuovi acquisti di strumenti finanziari che hanno la mede sima data di regolamento dei titoli venduti”.

Rispetto ai fondi c’è una variabile importante. Se si acquistano azioni, Etf, Etc \Etn e certificati si può conoscere esattamente il prezzo di vendita dello strumento – secondo Costanza Mannocchi, head of ex change traded products di Societe Generale in Italia – e quindi il controvalore incassato. Invece, per un fondo l’ordine di vendita  impartito verrà eseguito  nei giorni successivi a un prezzo non noto al momento dell’ordine.

Uscire dai mercati finanziari come in queste settimane di volatilità provoca uno sciame di lamentele per le poche sicurezze che si ricevono dagli intermediari sulla data in cui avverrà il rimborso dell’investimento.

Tormenti e soluzioni, per interesse dei risparmiatori o per grazia di Dio, le ha spiegate Gianfranco Ursino, il direttore di Plus 24, nel corso di un arti colo intitolato Le vendite al buio delle quote dei fondi: “Con crolli del 5, 10, 15% in una sola seduta e rimbalzi del 2, 3, 5% in quella successiva, uscire da un investimento un giorno piuttosto che un altro può avere conseguenze economiche anche molto pe santi.”

Il pericolo risiede nella tempistica, perchè  l’ordine di vendita può essere trasmesso in mattinata, nell’arco della giornata o nel pomeriggio del giorno dopo. Quindi  “la richiesta di disinvestimento può quindi essere evasa ai prezzi di oggi, domani o dopodomani. Una differenza di tre soli giorni che nell’ultimo mese poteva comportare tranquillamente una maggi ore perdita nell’ordine del 20-25%, con punte per alcuni fondi anche del 40%.”

Quanti dei risparmiatori che ci siamo affidati a Fineco siamo stati messi a parte di questi possibili eventi negativi?