Quest’anno, siamo nel 2023, su oltre 500 mila studenti ammessi agli esami di maturità, pari a circa il 96,3% degli iscritti all’ultimo anno delle superiori, è stato promosso, si tratta di circa il 99,9%, un vero record, almeno in termini meramente formali.
Secondo i dati ufficiali, infatti, al di là dei risultati statistici, che potrebbero farci intendere che i nostri ragazzi siano davvero bravi, gli italiani inclusi nella definizione di analfabetismo funzionale sono il 27,7%, vale a dire più di un quarto della popolazione studentesca e non.
L’analfabetismo funzionale fu definito come “la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti, al fine di intervenire attivamente nella società, così da poter raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.
D’altra parte i risultati parlano chiaro: l’Italia rappresenta il Paese europeo che si trova nella condizione peggiore d’Europa, proprio per quanto riguarda il livello di analfabetismo funzionale.
Manco a dirlo la grande città più analfabeta funzionale d’Italia sarebbe proprio Catania, con l’8,4%, seguita da Palermo, con il 7,4%, da Bari, con il 6,7% e da Napoli con il 6,2%.
Anche per quanto riguarda i laureati la situazione del nostro Paese non è certo delle migliori.
In Italia, nel 2021, i cittadini in possesso di una laurea nella fascia di età compresa tra i 25 ed i 64 anni di età sono appena il 20% della popolazione, vale a dire il 12% in meno della media europea e quasi il 20% in meno della Germania e della Spagna.
Nella fascia di età che va dai 24 ai 35 anni la media italiana è un po’ migliore, infatti, sale al 30%, ma resta comunque bassa.
Come si spiega una tale situazione? La risposta, purtroppo, ci riporta alla sventurata riforma della scuola targata sinistra ed in particolare Luigi Berlinguer, allora ministro dell’istruzione.
In quella occasione, sulla spinta di un falso egualitarismo, il diritto allo studio venne subdolamente trasformato in diritto al buon esito del percorso scolastico, che tradotto in termini più elementari significa, più o meno, diritto alla promozione anche per chi non la merita.
Eppure, quella riforma fu accolta con grande entusiasmo da tutti. Essa, infatti, riuscì a mettere insieme ed accontentare gli studenti che non avevano voglia di studiare, gli insegnanti che non avevano voglia di insegnare e le famiglie che non avevano voglia di educare i figli, né di dover rinunziare alle vacanze estive, per via degli impegni scaturenti dalle materie da recuperare a settembre, da parte dei ragazzi di casa.
La qualità dell’istruzione dei nostri studenti, però, in barba ad un falso concetto di egualitarismo livellante, ma spacciato come eguaglianza, non cresce allineando, ingiustamente, verso il basso, quello dei migliori oppure, immeritatamente, verso l’alto, quello dei peggiori, ma favorendo la crescita di chi dimostra di averne le qualità necessarie.
Inoltre si cresce soprattutto aiutando, con ogni strumento didattico possibile, quelli che partono con degli svantaggi legati alla loro condizione familiare, sociale o fisica.
È solo così, vale a dire senza scorciatoie ideologiche, che, oltre all’analfabetismo formale, verrà sconfitto anche l’analfabetismo funzionale, ed è solo così che le “maturità” saranno davvero tali, ma solo per chi, avendo studiato ed essendo stato aiutato, le merita davvero.
Si riuscirà a recuperare il tempo perduto? Si riuscirà a sostenere, con grande fatica ma con altrettanta onestà intellettuale, che il Paese cresce non se cresce il numero dei maturati o dei laureati, non se si fanno passare per purosangue anche i muli ed i somari, bensì se cresce la qualità dell’istruzione e con essa la qualità della didattica e dell’assistenza didattica individuale?
Francamente non so che risposta dare, so, però, che qualcosa mi pare si stia muovendo, a cominciare dal nome del Ministero, che non è più intitolato soltanto all’istruzione bensì all’istruzione ed al merito.
Certo, se si trattasse soltanto di un problema di nome saremmo davvero nei guai, perché, ancora una volta, come tante altre in passato, si sarebbe illusa la popolazione facendole credere che si possa cambiare davvero.
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