Quindici/A Hermes Storie di geopolitica – Mondo
Giampiero Gramaglia
Giornalista,
co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles
Il consueto monitoraggio dedicato da Giampiero Gramaglia all’evoluzione della situazione nei due principali fronti bellici evidenziale come in questo settembre 2024 “Il destino delle guerre in Medio Oriente e Ucraina [è sempre più] intrecciato con l’esito delle elezioni presidenziali“. I leader al di qua e al di là dell’oceano – scrive Gramaglia nella corrispondenza del 3 settembre – “pensano alla politica, non alla pace”: “Sia Benjamin Netanyahu sia il presidente ucraino Volodymyr Zelen’skyj paiono più attenti alla loro sopravvivenza politica che alla tutela di vite umane. Il premier israeliano ha un ‘botta e risposta’ con Biden, che lo accusa di “non fare abbastanza” per liberare gli ostaggi; e progetta di ritornare negli Stati Uniti prima del voto del 5 novembre, a fare campagna per il ‘suo’ candidato Donald Trump. Netanyahu vede nell’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca un’ancora di salvezza per sé, prima ancora che una garanzia per Israele. Una vittoria della candidata democratica Kamala Harris potrebbe, invece, preludere a un irrigidimento di Washington sulla questione palestinese, come c’è appena stato da parte del governo laburista britannico, che ha bloccato vendite di armi a Israele. Il presidente ucraino è impegnato in un ampio rimpasto del suo governo, che coinvolge, fra gli altri, il volto più noto, il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba. Prima di dare le dimissioni, come molti suoi colleghi, con una ritualità quasi sovietica, Kuleba, in un’intervista alla Cnn, fa sapere che l’Ucraina sta finalizzando gli accordi con i suoi partner per la revoca dei divieti di lanciare attacchi in profondità contro obiettivi militari in territorio russo con armi occidentali”. Quanto a “il dibattito fra Harris e Trump” oggetto della seconda corrispondenza dell’ex direttore dell’Ansa datata 11 settembre, “non fa avanzare la pace in Ucraina e a Gaza”. Quello “andato in onda sulla Abc, risulterà forse determinante per l’esito delle elezioni del 5 novembre 2024 – chiarisce Gramaglia – ma non avvicina la pace nei conflitti in Medio Oriente e Ucraina: sui due fronti, Harris e Trump hanno posizioni fortemente diverse e le hanno espresse in modo chiaro. Sui conflitti, Trump, costretto da Harris sulla difensiva, insiste su due punti fermi: se lui fosse stato presidente, la Russia non avrebbe invaso l’Ucraina e Hamas non avrebbe compiuto i raid terroristici del 7 ottobre in territorio israeliano; e, se lui tornerà alla Casa Bianca, le guerre cesseranno. Come e perché, non si sa, e non lo sa neppure lui. Harris lo accusa di andare a braccetto con i dittatori di mezzo mondo e dice che gli alleati degli Stati Uniti sono spaventati dalla prospettiva d’un suo ritorno. Trump cita a suo sostegno il premier ungherese Viktor Orban – e così, in fondo, dà ragione a Harris – e ripete che gli europei devono pagare quanto gli americani per la difesa dell’Ucraina.”
14 settembre 2024
Medio Oriente e Ucraina
Quando i leader pensano alla politica, non alla pace1
Una scena delle proteste in Israele contro il premier Netanyahu e il suo governo (Fonte: Ap)
Raid nella Striscia e rastrellamenti in CisGiordania, con vittime a bizzeffe; sei ostaggi israeliani uccisi a Gaza, quando stavano per essere liberati: orrori che fanno fremere il Mondo, proteste che scuotono Israele. Ma “Netanyahu vuole ancora più guerra”, è il titolo icastico del Washington Post, che sintetizza la posizione del premier israeliano e del suo governo. Neppure Hamas vuole la pace: forse una tregua, per riorganizzarsi.
Una soluzione al conflitto in Medio Oriente non è vicina, nonostante le pressioni – ormai spuntate – del presidente statunitense Joe Biden e della sua Amministrazione, E non è vicina neppure in Ucraina, dove un centro d’istruzione per reclute a Poltava, lontano dalla linea del fronte, diventa bersaglio di uno degli attacchi russi più letali dell’intero conflitto: due missili fanno oltre 50 vittime, quasi duecento feriti.
Sia Benjamin Netanyahu sia il presidente ucraino Volodymyr Zelen’skyj paiono più attenti alla loro sopravvivenza politica che alla tutela di vite umane. Il premier israeliano ha un ‘botta e risposta’ con Biden, che lo accusa di “non fare abbastanza” per liberare gli ostaggi; e progetta di ritornare negli Stati Uniti prima del voto del 5 novembre, a fare campagna per il ‘suo’ candidato Donald Trump.
Dopo l’attacco su Poltava, soccorsi e devastazione (Fonte: Euronews)
Netanyahu vede nell’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca un’ancora di salvezza per sé, prima ancora che una garanzia per Israele. Una vittoria della candidata democratica Kamala Harris potrebbe, invece, preludere a un irrigidimento di Washington sulla questione palestinese, come c’è appena stato da parte del governo laburista britannico, che ha bloccato vendite di armi a Israele.
Il presidente ucraino è impegnato in un ampio rimpasto del suo governo, che coinvolge, fra gli altri, il volto più noto, il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba. Prima di dare le dimissioni, come molti suoi colleghi, con una ritualità quasi sovietica, Kuleba, in un’intervista alla Cnn, fa sapere che l’Ucraina sta finalizzando gli accordi con i suoi partner per la revoca dei divieti di lanciare attacchi in profondità contro obiettivi militari in territorio russo con armi occidentali.
Intanto, il presidente russo Vladimir Putin si fa beffe del mandato di cattura emesso contro di lui dalla Corte di Giustizia internazionale dell’Aia e va in visita in Mongolia: le autorità di Ulan Bator dovrebbero arrestarlo, ma si guardano bene dal farlo – il loro Paese è totalmente dipendente dall’energia russa -.
Israele-Hamas, orrori, proteste, rischi escalation e allargamento
Una scena dei funerali a Teheran del leader di Hamas Haniyeh (Fonte: Il Fatto)
In Medio Oriente, il rischio di un’escalation e di un ampliamento del conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza non è affatto sventato. Israele, che denuncia il rischio di un altro 7 ottobre, stavolta ad opera dei palestinesi della CisGiordania, colpisce preventivamente, come fa a Nord contro gli Hezbollah in Libano. La risposta dell’Iran all’uccisione a Teheran il 31 luglio del leader di Hamas Ismail Haniyeh non c’è ancora stata, ma va preventivata, e le punture di spillo, leggasi lanci di missili, nel Golfo tra gli Huthi e chi difende la libertà di navigazione si susseguono.
Gli Stati Uniti, con il Qatar e l’Egitto, hanno lavorato a una versione finale “da prendere o lasciare” di un’intesa fra Israele e Hamas, che prevede la liberazione degli ostaggi e una tregua nelle ostilità. Ma i comportamenti delle due parti rendono improbabile l’accordo. Washington sostiene che questo sarebbe il momento migliore per farlo, ma israeliani e palestinesi diffidano dell’ottica americana: è vero che un’intesa darebbe una spinta alla candidata democratica alla Casa Bianca Kamala Harris, ma non sarebbe necessariamente nell’interesse delle leadership israeliana e palestinese.
La scoperta dei corpi di sei ostaggi uccisi da Hamas, fra cui quello di un cittadino statunitense, Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, ha reso più disperata la trattattiva. Tutti i sei ostaggi erano stati sequestrati al ‘rave party’ lungo il confine israeliano il 7 ottobre 2023: i loro corpi sono stati recuperati sabato 31 agosto 2024, ammazzati poco prima che i militari israeliani li raggiungessero e li liberassero.
Domenica 1, e ancora lunedì 2 settembre, manifestanti hanno invaso le strade di Israele e i sindacati hanno indetto uno sciopero generale, poi bloccato dalla magistratura, perché politicamente motivato: le famiglie degli ostaggi e quanti le sostengono cercano di intensificare le pressioni sul premier e sul governo perché raggiunga un’intesa con Hamas che consenta il ritorno a casa degli ostaggi tuttora detenuti e in vita – sarebbero un centinaio, secondo il quotidiano Haaretz; ma non più di una settantina i vivi, secondo altre fonti -.
Prima di trovare i sei ostaggi morti, i militari israeliani erano riusciti a recuperare un ostaggio vivo: Kaid Farhan al-Qadi, 52 anni, esponente della minoranza arabo-beduina, era addetto alla sicurezza di una fabbrica d’imballaggi in un kibbutz quando era stato sequestrato. Al-Qadi è stato ricoverato in ospedale per controlli, ma, al momento della liberazione, appariva in discrete condizioni: è stato il primo ostaggio recuperato vivo, in quasi 11 mesi di conflitto, nel dedalo di tunnel sotto Gaza.
A Gaza, intanto, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi e l’Oms, l’organizzazione per la sanità, hanno lanciato, domenica 1° settembre, una campagna di vaccinazione di massa contro la polio, che dovrebbe interessare 600 mila bambini. Israele ha creato corridoi umanitari per il personale sanitario addetto all’operazione e ha designato aree sicure dove somministrare i vaccini.
Ma gli incidenti di cui sono vittime operatori umanitari restano all’ordine del giorno: nell’ultima settimana di agosto, militari israeliani hanno colpito un convoglio organizzato da una Ong statunitense, uccidendo quattro palestinesi. Israele ha anche condotto la più letale operazione nei Territori dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, uccidendo almeno 10 persone, fra cui – dice l’esercito israeliano – un comandante militare locale. Azioni definite antiterrorismo sono state effettuate nella notte tra sabato 31 agosto e domenica 1° settembre in aree della West Bank, fra cui la città di Jenin. Residenti nella regione riferiscono di sorvoli di droni e d’avere visto mezzi corazzati nelle strade e militari israeliani compiere arresti casa per casa. Il governatore di Jenin Kamal Abu al-Rub segnala che la città è stata, per qualche ora, circondata. E il governo israeliano parla di operazioni per sradicare gruppi terroristici e fa capire che la campagna nei Territori in atto da giorni potrebbe conoscere una significativa escalation: l’intelligence teme che Hamas voglia colpire nei Territori per mettere in difficoltà l’Autorità nazionale palestinese.
Sempre nell’ultima settimana di agosto, azioni definite “preventive” di un potenziale imminente attacco sono state anche condotte nel Sud del Libano, contro postazioni e installazioni degli Hezbollah. Il Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi ha rinnovato proteste e manifestazioni, riuscendo a coinvolgere centinaia di migliaia di persone, a Gerusalemme, Tel Aviv, Cesarea e altrove, dopo l’uccisione dei sei ostaggi. La richiesta a Netanyahu è di raggiungere un’intesa per la liberazione degli ostaggi: la risposta del premier è confermare condizioni a priori inaccettabili per Hamas e ribadire una linea d’intransigenza su tutti i fronti.
Israele-Hamas, gli echi internazionali
L’Onu parla di “esecuzione sommaria” e chiede un’indagine indipendente:
“Siamo inorriditi – dice – dalle notizie secondo cui gruppi armati palestinesi hanno giustiziato sommariamente sei ostaggi israeliani, il che costituirebbe un crimine di guerra”.
Uno dei sei ostaggi, Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, era anche cittadino americano. I suoi genitori, ad agosto, erano intervenuti alla Convention democratica: la madre era collassata sul palco, aggrappandosi al marito, mentre tutta l’arena scandiva “Liberateli tutti!”.
Adesso, il Dipartimento della Giustizia di Washington ha aperto un’inchiesta sulla sua uccisione come “atto di terrorismo” e ha messo sotto accusa Hamas per le stragi del 7 ottobre 2023, nelle quali, fra le 1.200 vittime, c’erano decine di israeliani con nazionalità anche americana. Fra gli esponenti palestinesi sotto accusa, ci sono Yahya Sinwar, il leader di Hamas, e cinque altri comandanti dell’organizzazione terroristica.
Domenica 1° settembre, il presidente Biden e la sua vice Harris hanno tenuto un consulto, nella Situation Room della Casa Bianca, per
“discutere gli sforzi per arrivare a un accordo che garantisca tregua e rilascio degli ostaggi”.
Intanto, sul suo social Truth, Trump incolpa Biden e Harris per l’uccisione dei sei ostaggi israeliani, assassinati da Hamas – scrive –
“a causa di una totale mancanza di forza e leadership americana”. “Non fraintendete: questo è accaduto – nota Trump su Truth -, perché la compagna Kamala Harris e il corrotto Joe Biden sono dei pessimi leader. Gli americani vengono massacrati all’estero, mentre Kamala … inventa bugie e Biden dorme in spiaggia… Hanno le mani sporche di sangue!”.
Su X, in un altro post, l’ex presidente afferma:
“Ci stiamo avviando verso una terza guerra mondiale … Cerchiamo di evitarla”.
Critiche all’operato del duo Biden – Harris vengono anche dalla sinistra, in attesa che riprenda, nelle Università statunitensi, dopo la pausa estiva, il fermento propalestinese. Bernie Sanders, autorevole senatore, indipendente, ma vicino ai democratici, spera che Harris prenda le distanze dalla politica di Biden per Gaza e rinunci a concedere ulteriori aiuti al governo israeliano, a meno che esso non cambi radicalmente le sue politiche nei confronti dei civili palestinesi.
“Spero – dice Sanders – che si arrivi a un punto in cui il premier Netanyahu e il suo governo estremista di destra, che hanno avuto decine di miliardi di dollari di aiuti dagli Stati Uniti, non continuino a riceverne, salvo un cambio radicale delle loro politiche verso il popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania”.
Un esempio di quanto può accadere lo dà la Gran Bretagna del governo laburista di Keir Starmer, che sospende l’export di alcune armi verso Israele perché potrebbero essere usate
“in violazione delle leggi internazionali”:
la misura non è un embargo e ha un impatto militare limitato, ma manda un chiaro segnale al Governo Netanyahu. La Gran Bretagna è uno di quei Paesi da sempre alleati d’Israele, ma estremamente preoccupati dalle conseguenze di un conflitto di cui non s’intravvede uno sbocco e che ha già fatto oltre 40 mila vittime palestinesi.
Il dibattito fra Harris e Trump non fa avanzare la pace in Ucraina e a Gaza2
Sfollati palestinesi nella Striscia di Gaza (fonte: Internazionale)
Il dibattito presidenziale fra Kamala Harris e Donald Trump, andato in onda sulla Abc, risulterà forse determinante per l’esito delle elezioni del 5 novembre 2024, ma non avvicina la pace nei conflitti in Medio Oriente e Ucraina: sui due fronti, Harris e Trump hanno posizioni fortemente diverse e le hanno espresse in modo chiaro.
Sui conflitti, Trump, costretto da Harris sulla difensiva, insiste su due punti fermi: se lui fosse stato presidente, la Russia non avrebbe invaso l’Ucraina e Hamas non avrebbe compiuto i raid terroristici del 7 ottobre in territorio israeliano; e, se lui tornerà alla Casa Bianca, le guerre cesseranno. Come e perché, non si sa, e non lo sa neppure lui.
Harris lo accusa di andare a braccetto con i dittatori di mezzo mondo e dice che gli alleati degli Stati Uniti sono spaventati dalla prospettiva d’un suo ritorno. Trump cita a suo sostegno il premier ungherese Viktor Orban – e così, in fondo, dà ragione a Harris – e ripete che gli europei devono pagare quanto gli americani per la difesa dell’Ucraina. Di lui, dice con orgoglio,
“Cina, Russia e Corea del Nord avevano paura”: “Adesso, invece, ci ridono dietro”.
Ribatte Harris:
“Ma se vi scrivevate lettere d’amore con Kim”, “I dittatori non vedono l’ora che tu sia rieletto, perché ti potranno manipolare”.
Il confronto non smuove né Vladimir Putin né Benjamin Netanyahu, che intende tornare in America per fare campagna per Trump, un suo sodale. Nel dibattito, Harris dice che
“la guerra a Gaza deve finire immediatamente”,
con il rilascio di tutti gli ostaggi e una tregua. Harris assicura che, come presidente, continuerà
“ad aiutare Israele a difendersi dai terroristi e dall’Iran”.
Trump la accusa di “odiare Israele”:
“Se diventerà presidente, nel giro di due anni Israele non esisterà più”.
La situazione a inizio settembre 2024 sui due fronti bellici
Le cronache dall’Ucraina e dalla Striscia di Gaza riducono a routine tragedie immani: riferiscono d’attacchi notturni con missili e droni sulle città ucraine; e di azioni letali dell’esercito israeliano, anche nei Territori. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres dice che “morte e distruzione” nella Striscia sono quanto di peggio lui abbia mai visto; e ammette che è “irrealistico” pensare che l’Onu possa avere un ruolo nel futuro di Gaza, amministrandola o con i caschi blu, perché Israele non lo accetterebbe.
Sul fronte ucraino, il presidente ucraino Volodymyr Zelen’skyj fa sapere di avere un piano di pace, che vuole presentare a tutti gli interlocutori americani, il presidente Joe Biden e i candidati Harris e Trump. Ma sa bene che nulla si sbloccherà prima del 5 novembre.
Medio Oriente, Biden e Blinken non hanno né bastone né carota
Il presidente statunitense Joe Biden e il segretario di Stato Antony Blinken moltiplicano sforzi e appelli, ma non hanno in mano né un bastone abbastanza nodoso né carote sufficientemente appetitose perché Israele o Hamas stiano ad ascoltarli. I protagonisti della crisi preferiscono acquisire titoli di merito o crediti con chi gestirà il potere negli Stati Uniti nei prossimi anni, piuttosto che con chi fra qualche mese sarà solo un pensionato eccellente. I mediatori impegnati nei colloqui per una tregua tra Israele e Hamas vogliono comunque presentare una loro proposta in questi giorni: un piano che, secondo il quotidiano Haaretz, sarebbe “prendere o lasciare”, ma che difficilmente piegherà le resistenze sia di Hamas che di Netanyahu. Biden accusa apertamente il premier di non fare abbastanza per la liberazione degli ostaggi catturati il 7 ottobre 2023 (ne restano un centinaio nelle mani di Hamas, oltre 60 dei quali sarebbero ancora vivi).
Intanto, il conflitto prosegue, nella Striscia e pure nei Territori e con scaramucce a nord, al confine con il Libano, e incursioni in territorio siriano: il rischio di un allargamento della guerra non è affatto scongiurato e la risposta dell’Iran all’uccisione a Teheran del capo di Hamas Ismail Haniyeh a fine luglio 2024 deve ancora arrivare. A inizio settimana, un raid israeliano in quella che era indicata come una zona sicura della Striscia per i civili palestinesi ha fatto decine di vittime: Israele dice di avere colpito un centro di comando di Hamas. L’esercito israeliano ha lasciato Jenin, in Cisgiordania, dopo dieci giorni di operazioni militari sanguinose. Durante una protesta a Nablus, una attivista turca di 26 anni con passaporto americano è stata uccisa da un colpo di pistola: per i palestinesi, la responsabilità sarebbe di militari israeliani. Blinken ha chiesto con maggiore energia del solito che sull’episodio sia fatta piena luce. Sempre nella zona di Nablus, una ragazzina palestinese di 13 anni è stata uccisa da coloni israeliani, le cui aggressioni restano impunite. Il ministro dell’ultradestra religiosa Ben Gvir vuole includere la CisGiordania fra gli obiettivi della guerra scatenata dalle incursioni terroristiche del 7 ottobre. Ma gli alleati di Israele, americani ed europei, hanno opinioni differenti. La ministra degli Esteri tedesca Annelore Baerbock, in visita a Gerusalemme, chiede
“azioni più forti e più visibili contro gli atti violenti dei coloni radicali” in Cisgiordania.
La scena di un atto di terrorismo a Solingen, in Germania (Fonte: Euronews)
In quello che appare un incidente, due soldati israeliani sono morti e quattro sono rimasti gravemente feriti nello schianto di un elicottero in fase di atterraggio nei pressi di Rafah, nel Sud della Striscia: era in corso un’operazione per evacuare un militare ferito. Il portavoce dell’esercito esclude che si sia trattato di fuoco nemico e parla di problema tecnico o errore umano.
Il trascinarsi del conflitto moltiplica le minacce e gli episodi terroristici in Europa e in America. A New York, l’Fbi sventa un complotto per un attacco contro un centro ebreo nella Grande Mela il 7 ottobre, nell’anniversario degli attentati che fecero circa 1200 vittime israeliane. Un uomo residente in Canada è stato arrestato.
Zelen’skyj insiste per usare le armi della Nato in Russia
Un ponte russo colpito dagli ucraini (Fonte: Euronews)
Impegnato in contatti diplomatici in Europa, il presidente ucraino Zelen’skyj, che fa pure tappa in Italia, sostiene che l’incursione ucraina in territorio russo, nell’area di Kursk, “cambia le carte in tavola” nel conflitto e insiste per avere dagli alleati più armi e, soprattutto, l’autorizzazione ad utilizzarle contro obiettivi in Russia.
La politica occidentale di negare a Kiev la capacità di colpire la Russia con sistemi a lungo raggio è “sbagliata”, dice Zelen’skyj alla riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina in una base degli Stati Uniti in Germania, a Ramstein.
“Voglio dirlo apertamente in modo che non ci siano equivoci. Grazie al nostro coraggio congiunto, abbiamo portato a termine operazioni molto importanti, specie in Crimea. Queste operazioni ci hanno permesso di ristabilire la sicurezza nel Mar Nero e riprendere le nostre esportazioni di prodotti alimentari”.
Zelen’skyj aggiunge:
“Ora sentiamo che la vostra politica sulle armi a lungo raggio non è cambiata”, ma “noi abbiamo bisogno di questa capacità a lungo raggio non solo sul territorio occupato dell’Ucraina, ma anche su quello della Russia, per incentivarla a cercare la pace”.
L’arrivo a Kiev dei ministri degli Esteri di Stati Uniti e Gran Bretagna Antony Blinken e David Lammy
La questione resta, però, in sospeso, anche se Mosca sostiene che Washington abbia già deciso d’autorizzare Kiev a utilizzare i missili Atacms per colpire in profondità sul territorio russo. Lo sostiene il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, secondo cui la risposta di Mosca sarà “appropriata”. Ad alimentare l’ipotesi la visita, ieri, a Kiev di Blinken e del ministro degli Esteri britannico David Lammy.
Il capo della diplomazia europea Josep Borrell è favorevole ad accontentare gli ucraini e chi gli succederà a novembre, l’ex premier estone Kaja Kallas, lo è più di lui; ma i distinguo fra i 27 sono numerosi e articolati; e la Germania stringe i cordoni della borsa degli aiuti all’Ucraina, citando vincoli di bilancio. Però, l’atteggiamento verso l’Ucraina sarà ridefinito, con conoscenza di causa migliore, solo dopo le elezioni negli Stati Uniti d’America: su armi e aiuti, la parola di Washington è determinante.
In ogni caso, gli alleati mantengono l’impegno ad inviare armi e aiuti. Il Regno Unito spedirà altri 650 missili a corto raggio; la Germania consegnerà altri 12 obici semoventi Panzerhaubitze 2000; e il Canada spedirà forniture e contribuirà all’addestramento dei piloti ucraini sugli F-16.
Ma anche la Russia ha chi la foraggia. Secondo il Wall Streeet Journal, che cita fonti americane ed europee, l’Iran ha consegnato a Mosca missili balistici a corto raggio Fath-360 e un altro sistema missilistico balistico chiamato Ababil. La fornitura comprende circa 200 missili a corto raggio, con una gittata di circa 800 chilometri. Stati Uniti e Paesi europei, in particolare Gran Bretagna, Francia e Germania, hanno subito minacciato sanzioni all’Iran e l’Unione europea ne sta valutando l’opportunità. Teheran ipotizza ritorsioni e denuncia
“la continuazione della politica ostile dell’Occidente e del terrorismo economico contro il popolo iraniano”.
- Scritto il 4 settembre 2024 per The Watcher Post. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/09/04/guerre-punto-mo-ucraina-2/ ↩︎
- Scritto l’11 settembre 2024 per The Watcher Post. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2024/09/12/guerre-harris-trump-pace/. ↩︎