L’UOMO CHE LEGGE CONSIGLI DI LETTURA DAL DIRETTORE
Un dibattito il prossimo lunedì 22 Luglio sull’instant book “La quarta via” a Montecitorio con Gentiloni, Martelli e Giovanna Pancheri
Il Riformista di venerdì 5 luglio, sotto una grande foto del nuovo leader del Labour Keir Starmer dal titolo “Il riformismo che vince”, annuncia l’uscita dell’instant book “La quarta via”. La notizia è il successo elettorale nel Regno Unito del partito laburista dopo un decennio di governi conservatori, niente di nuovo in quella democrazia di oltre manica che ci ha abituati da oltre un secolo ad una alternanza nella gestione del potere tra progressisti e conservatori. E allora dov’è la novità? È vero che i governi Tories si erano resi responsabili del disastro della Brexit, che avevano aperto le porte ad un campione del populismo made in England come il conduttore televisivo Paul Farage, per non parlare di una politica economica e del lavoro a dir poco fallimentare, ma se l’Inghilterra torna in mano al Labour è perché questo partito ha cambiato pelle, ha cioè riscritto da capo pensiero politico e programma.

La sua classe dirigente ha aperto una nuova stagione negando non solo il Labour di Corbyn, sconfitto a più riprese dai rivali conservatori e oggi concorrente del Labour stesso, ma anche quello di Blair, ormai parte di un’altra epoca storica.
Infatti, più che gli insuccessi dei Tories, a dare a Keir Starmer la possibilità di tornare a vincere è stata la capacità non solo di spostare il partito verso posizioni meno radicali di quelle di Corbyn, ma elaborando un nuovo pensiero politico mettendo al centro il cittadino, con le sue paure, le sue insicurezze e le sue legittime aspirazioni: pragmatismo più strategia, una sorta di rinascita della realpolitik. Per esempio non deve stupire che un partito progressista sia a favore di controlli più serrati per quanto concerne l’arrivo di migranti: le ragioni non sono da ricercarsi nelle pregiudiziali razziste ma piuttosto nella tutela del salario del lavoratore medio, che guarda con paura all’arrivo di disperati pronti a lavorare per meno della metà del suo stipendio. E anche la sicurezza, un tema da troppi anni lasciato nelle mani dei conservatori, torna rilevante in quanto preoccupazione del cittadino inglese. “Il diritto a tornare a casa la sera sentendosi sicuri è una battaglia che non possiamo lasciare alla destra” ha affermato il neoeletto Primo Ministro.
Un osservatore poco attento potrebbe pensare che Starmer abbia forgiato il suo Changed Labour su banali posizioni conservatrici o ancor peggio abbia dato una verniciata di populismo al radicalismo di Corbyn, la verità è un nuovo progetto politico che punta su una nuova centralità dello Stato. Ad una politica liberista dei precedenti governi, il “nuovo” Labour risponde riportando lo Stato al centro della vita economica e sociale: capacità di innovazione ma soprattutto importanti investimenti pubblici per garantire protezione, sicurezza e servizi all’altezza di uno dei Paesi che più di ogni altro ha contribuito alla diffusione del welfare nel mondo.
Starmer sapeva bene che non è semplice chiedere ai cittadini di fidarsi nuovamente dello Stato per quanto riguarda difesa, frontiere ed innovazione, ma ha scommesso su una opinione pubblica che da tempo manifestava una certa insofferenza verso le scelte dei governi conservatori e chiedeva un cambio di programma.
Ma il cambio che il Labour ha offerto nella campagna elettorale va ben al di là delle pur significative scelte programmatiche fino a configurare un cambio del paradigma culturale e politico che potrebbe diventare emblematico in tutto il mondo occidentale.
E allora non è un caso la pubblicazione del libro “La Quarta Via” ad opera di tre dirigenti della corrente riformista del partito democratico Lia Quartapelle, Filippo Sensi, Pietro Bussolati e di un coraggioso innovatore extrapartiti come Diego Castagno: uno scritto che analizza le ragioni della vittoria laburista, riflettendo sulla nuova elaborazione del pensiero politico socialdemocratico e su quali proposte programmatiche possano essere replicate in Italia e in Europa.
Ciò che stupisce è, ancora una volta, la tendenza alla esemplificazione, se non la superficialità e il pressappochismo del discorso pubblico nel nostro Paese: scambiare il successo del Labour come la premessa di una riscossa delle formazioni di centro e/o di sinistra di casa nostra la cui crisi nasce, come dovrebbe essere noto, da ben altre ragioni.
C’è da augurarsi, nell’interesse della nostra comunità civile, che l’analisi politica abbandoni il linguaggio della propaganda e si concentri sul confronto delle idee e sulla elaborazione di un pensiero nuovo in grado di fronteggiare le forze regressive che possono prevalere nella fase di transizione che stiamo vivendo.
Vale la pena di osservare come Keir Starmer non rimpiange di aver in passato sostenuto le posizioni di Corbyn, anzi lo rivendica con orgoglio “se tornassi indietro, senz’altro rifarei la campagna elettorale per lui”. La politica inglese sembra avere una memoria decisamente più lunga di quella italiana e forse proprio questa è la prima lezione che dovremmo imparare. Non serve rinnegare i fallimenti passati, è molto meglio riconoscerli e utilizzare la memoria non per restaurare vecchi partiti e antiche formule ma una concezione, una visione del mondo, un sapere articolato, un’etica, una nuova politica.
IL SITO DEL LIBRO
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