IL MONDO REALE E QUELLO CONDIVISO

Beppe Attene

L’universo in cui la specie umana svolge da molti millenni il suo (peraltro non ben indirizzato) cammino si divide in due blocchi dalle caratteristiche particolari e opposte.

Il primo è quello che possiamo chiamare della “realtà reale”.

Esso comprende tutti quei fattori ed elementi che non derivano da scelte o propensioni umane.

Esso ci avvolge in ogni momento della esistenza e comprende tutto.

Va dalla legge della gravitazione universale all’alternarsi delle stagioni a seconda dei luoghi del Pianeta. Comprende il clima e i terremoti, il succedersi della Luna e del Sole nel cielo come le piccolissime cose “oggettive” sulle quali regoliamo la nostra quotidiana esistenza.

Se per pescare in mare una spigola ci vuole un certo tipo di esca ciò non dipende da noi e, se vogliamo mangiarne una, dobbiamo adeguarci pazientemente.

Di conseguenza gli esseri umani hanno da sempre adottato una serie di linguaggi per sperare, o illudersi, di poter agire sul mondo reale e interloquire con esso.

Rituali di carattere religioso, ricerca di forme dirette di rapporto con alcuni aspetti della Natura, illusorie forme di saggezza magari contenute nei proverbi o negli insegnamenti ancestrali.

Espressioni che costellano il nostro passato e che non paiono destinate a essere superate dal contraddittorio presente.

Da una parte, quindi, abbiamo cercato di identificare delle linee di comunicazione con una realtà oggettiva che sfugge totalmente alla nostra determinazione.

Dall’altra, sempre come specie, abbiamo cercato di trarre dalla “realtà reale” delle opportunità di rendere meno difficile e pericolosa la nostra riproduzione sul Pianeta Terra.

Abbiamo lavorato per sottrarre dal suo interno combustibili utili alla specie. Abbiamo imparato a usare la forza del vento per creare movimento e azione. Attualmente siamo decisamente impegnati a trarre energia dai raggi solari e cerchiamo di decodificare delle dinamiche profondissime contenute nella materia per trarne nuove forme di lettura e approfondimento della realtà.

Quel che però caratterizza la “realtà reale” è che essa esiste e continuerà ad esistere in assenza come in presenza della specie umana e della sua azione sul mondo.

Quando, come probabilmente a un certo punto avverrà, la nostra specie si sarà estinta il mondo reale e oggettivo continuerà ad esistere ed anche a modificarsi.

In esso noi viviamo e ne abbiamo da sempre consapevolezza.

Accanto al mondo oggettivo esiste, ed è altrettanto importante, quello costruito e costantemente modificato nei millenni dagli esseri umani.

Si tratta di quell’immensa quantità di fatti che normalmente raggruppiamo sotto il generico nome di percorso storico sociale.

La sua caratteristica, rispetto alla sfera della “realtà reale” è di non esistere oggettivamente.

Di conseguenza deve la sua riconoscibilità ma soprattutto la sua efficacia performante (assolutamente innegabile) a dei meccanismi che forse varrà la pena di iniziare ad indagare.

Ma converrà procedere per ordine.

Intanto accettare il fatto che le strutture all’interno delle quali si svolge l’esistenza della grandissima parte degli esseri umani non hanno alcuna riconoscibilità ed esistenza autonoma ed oggettiva.

Non importa che si tratti della Famiglia o dello Stato, della appartenenza religiosa o di quella culturale o politica.

Nessuno di questi importantissimi elementi che costituiscono l’orizzonte nel quale si svolge la vita di ciascuno ha una esistenza autonoma e dimostrata che non derivi dalle azioni dell’Umanità nel suo percorso e nei diversi luoghi in cui si è svolto e si svolge tuttora.

L’unica cosa che certamente esiste a prescindere da noi e che vale per tutte le specie viventi (comprese quelle vegetali) è la spinta alla conservazione e alla riproduzione della specie stessa.

Ci voleva la grandezza del pensiero aristotelico per cogliere e riconoscere nella “socialità” la categoria specifica della specie umana, distinguendola con ciò da tutte le altre.

Ora, se accettiamo (anche solo momentaneamente) il presupposto della “non oggettività” delle costruzioni umane interpersonali siamo di fronte a un passaggio teorico ancora più complesso e difficile.

Ma possiamo essere ottimisti. È già molto essersi liberati della convinzione che quel che prevale nel mondo o in un determinato luogo e momento lo deve a una effettiva superiorità, razionalità, densità di valore.

Avere abbandonato, per quanto dolorosamente, quella idea palingenetica che sta alla base delle dottrine religiose e politiche dominanti è già un grande passo per chi riesce a compierlo.

Assai più complesso è accettare e riconoscere sino in fondo l’idea che quel che realmente distingue la realtà reale (che esiste di suo senza bisogno dell’assenso e del consenso umano) dall’altro blocco di realtà, quello costruito dall’uomo, è che quest’ultimo si fonda necessariamente sulla condivisione e sulla accettazione da parte di porzioni importanti della nostra specie.

Non vi è, come è stato giustamente scritto, alcun motivo che giustifichi o spieghi il prevalere di una determinata dottrina religiosa in uno spazio o in un tempo.

Quel che caratterizza la costruzione umana, qualunque essa sia, è un fattore di riconoscimento e di condivisione da parte degli esseri umani presenti in una determinata situazione.

Non si tratta di un discorso semplice da accettare.

Ben pochi furono, sino al 10 giugno 1940, gli italiani effettivamente antifascisti e disponibili ad impegnarsi contro il regime a rischio di sanzioni e ritorsioni.

Il paradosso è che, nel loro coraggioso esporsi, anche essi aggiunsero il loro peso nel riconoscere come esistente e razionale quel modello di Stato e di Potere che veniva imposto.

Il fascismo (esattamente come i due gemelli totalitari del nazismo e del comunismo) non vinse il quel momento la sua partita nella Storia per motivi di carattere oggettivo e reale.

Venne condiviso (riconosciuto e accettato, dovremmo forse dire) da una gran massa di persone che si limitarono a viverci dentro schivandone gli orrori ma anche da chi lo sostenne con forza e convinzione come da chi vi si oppose a rischio anche della vita.

È evidente che sul piano etico le posizioni non sono eguali e che esiste una responsabilità finale del singolo che non può e non deve essere rimossa.

Quel che si sta faticosamente cercando di dimostrare è che la complessità della Storia si fonda su processi e situazioni che esistono oggettivamente solo in base al riconoscimento e alla accettazione che una determinata formazione economico – sociale esprime nei loro confronti.

Non vi è dubbio che la parità e il rispetto fra i generi, che ora in Italia cerchiamo faticosamente di praticare, costituiscano un valore e un obiettivo generale.

Ma il loro contrario è plasticamente (e drammaticamente) rappresentato da quelle centinaia di milioni di persone che vivono, si riproducono e operano in contesti violentemente repressivi e limitanti la libertà individuale.

Quei contesti sono meno “oggettivamente veri” o più rozzi e arretrati delle nostre liberali e libertine capitali europee?

Le donne che, avvolte nei panni tradizionali, accettano e condividono regole imposte come gli abiti che indossano sono meno lucide e moderne delle nostre?

Sono meno consapevoli e più coraggiosamente succubi?

E come non pensare che quella cultura, condivisa da molte centinaia di milioni di persone, potrebbe tranquillamente prendere il sopravvento nella parte di Mondo che ancora non governa?

Non vi è nulla di oggettivo che giustifica l’idea che la nostra cultura, liberale o libertaria che sia, abbia la forza per resistere o addirittura vincere questa immaginaria guerra.

L’unica cosa che appare ben certa è che è stata la nostra specie a edificare, senza nessuna base reale, questi immensi e straordinari insiemi di valori che (nel Bene e nel Male) da molti millenni governano il nostro mondo, scontrandosi o alleandosi fra loro.

Dovremmo forse accettare una nuova forma di relativismo culturale.

Considerare effettivamente che, se non ci fosse l’Uomo, nulla cambierebbe né per l’Universo né per il globo terracqueo.

Che tutto quello che nei millenni abbiamo fatto non aveva alcun senso se non per noi stessi come frammento di specie in quella situazione specifica.

E forse, se ci riuscissimo, potremmo anche incontrare lo sguardo affettuoso e comprensivo di un Tyrannosaurus Rex che, dopo avere governato anche lui il mondo, ci ha messo meno di noi a coglierne il senso profondo.