Come raccontava in modo molto azzeccato e allo stesso tempo amaramente vero Enrico Mentana, l’Italia è divisa tra due forme di razzismo. Un razzismo che potremmo definire etnico, di chi non vuole che persone di culture e colorazione della pelle diversa dalla nostra si integrino nel tessuto sociale nazionale. E un’altra forma più “utilitaristica” portata avanti in modo subdolo e forse incosciente da una parte del centro-sinistra, cioè l’accoglienza dei migranti subordinata al fatto che c’è una mancanza di manodopera, che ci sono lavori che gli italiani non vogliono più fare e che quindi deleghiamo a dei diseredati senza diritti.
Non sono mancate in passato anche delle speculazioni elettorali sul tema, Toni Iwobi (Lega) e Abubakar Soumahoro (Europa Verde). Due facce della stessa medaglia, una quota sempre maggiore di immigrati, che esistono, ci sono, lavorano, ma che facciamo finta di non vedere. un po’ per vergogna, un po’ perché ci ricordano un passato che vorremmo dimenticare, fatto di nonni e bisnonni che si spaccavano la schiena nei campi. E ancora, perché ci ricorda di quanto siamo impotenti difronte al fenomeno dell’immigrazione, che aldilà delle facilonerie elettorali, “dei blocchi navali” e del razzismo aggratis è un qualcosa che non si può fermare e di cui sempre di più saremo investiti negli anni a venire.
Ma se il fenomeno di per sé non può essere fermato alla fonte, quanto meno si può provare ad agire a valle, cioè garantendo a tutte queste persone che scappano da condizioni di vita terrificanti, di non trovarsi in una situazione addirittura peggiore. Ma appunto, questi sono diventati solo dei punti di propaganda elettorale, un modo di regalare qualche poltrona e di mettersi la coscienza a posto per qualche giorno.
Il problema principale che si fa finta di affrontare quando si parla di gestione dei flussi migratori riguarda gli hotspot, quei luoghi che dovrebbero servire ad accogliere temporaneamente i migranti per poi essere distribuiti nei vari comuni italiani e oltre frontiera, grazie ai trattati europei sulla gestione dell’immigrazione. Gli hotspot che sono presenti attualmente nel territorio nazionale, principalmente nel sud ( 4 siti divisi tra Sicilia e Puglia) sono insufficienti per accogliere la grande mole di persone che sbarcano. Ne fu un caso emblematico lo sbarco di circa 6000 persone nel settembre del 2023 a Lampedusa, a fronte però di un centro di accoglienza che ne poteva accogliere 400. Questo affollamento unito con la pessima gestione rende questi centri più simili a dei campi di concentramento che a dei centri di accoglienza. Non sono mancati servizi giornalistici che mostravano come all’interno di questi lager mancassero, come era anche ovvio, i più basilari servizi igienici e sanitari.
I risultati a questo punto sono due, molti migranti riescono a fuggire dai centri, si disperdono e cercano di raggiungere il nord Italia e in generale i paesi dell’Europa settentrionale e centrale. Parte di questi (cifra imprecisata) vengono incorporati in quel meccanismo perverso che è il caporalato. Una forma di feudalesimo moderno, una gerarchia che si radica a livello locale nelle aree agricole del Sud, del centro e come manodopera per l’edilizia al nord, che sevizia e schiavizza i migranti, che diventano parte di questo meccanismo che si auto alimenta. Il caporalato si accresce anche attraverso associazioni umanitarie o presunte tali, il caso della moglie di Soumahoro ne era un esempio tristemente evidente. Questo meccanismo, che vive grazie a tali associazioni, prende il nome di “SAI” Sistema Accoglienza e Integrazione.
la causa dell’incidente di Latina, che ha comportato la morte del bracciante indiano Satnam Singh, ha nomi e cognomi. Ed è solo che la punta dell’iceberg di un fenomeno che va avanti da almeno 13 anni. Ha lasciato di stucco per altro l’imprenditore agricolo, il “padrone” (agghiacciante dover sentire ancora queste terminologie nel 2024) che ha scaricato le responsabilità di quanto accaduto sul bracciante dicendo che è stata “una sua leggerezza”. Una vicenda che ci racconta di imprese agricole in mano a sfruttatori senza scrupoli, con le mani sporche di sangue che ormai vive di lavoro nero sottopagato complice un sistema di mancati controlli, di complicità e omertà.
Capisco che suoneranno come le solite parole al vento. Ma è importante parlarne, non possiamo lasciare che un velo di silenzio si sommi all’indignazione da social.
In questi giorni si è parlato delle tracce per gli scritti di maturità, cui io stesso mi sono imbattuto per l’esame. Ecco, sarebbe bello che oltre Pirandello, Montalcini, i Selfie-blog in futuro si possa inserire una traccia anche sulla condizione di queste persone, sulla perversione di questo modello di sviluppo che è più diffuso di quanto si possa immaginare.
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