IL “PASTO GRATIS” e SOCIALE:

da M. Friedman a J.M. Keynes alla ristorazione sociale

Il “pasto gratis” ha una genesi di cronaca e senza velleità sociale; anzi il contrario. Nella seconda metà dell’800 i proprietari di un “saloon” americano attiravano i clienti con questa informazione: se paghi e bevi una birra  ti diamo un pranzo completo gratis. Ma furono accusati di pubblicità ingannevole perché il cibo offerto era opportunisticamente molto salato e il cliente beveva piu’ birre o bibite che coprivano il costo dell’intero pranzo. In seguito la massima del “pasto gratis” entro’ nell’ambito economico con il liberista Milton Friedman (nobel economia nel 1976) che assumendo il concetto del costo-opportunità, nego’ che un “pasto gratis” fosse senza costi perché la società paga un prezzo per produrre un “pasto gratis”(cibo da acquistare, costi indiretti, forza lavoro ecc.)

A questa tesi si contrappose quella di J.M.Keynes e di Richard Kahn che consideravano, invece, la creazione di ricchezza come esito di processo di sviluppo  grazie alla somministrazione del “pasto gratis”: infatti l’“effetto leva” creava vantaggio economico per la società. Cioè si applico’ l’effetto moltiplicatore ..

Oggi, sociologicamente, questa massima del “pasto gratis” e sociale potrebbe essere la solita storia deamicisiana e del buon cuore; invece “il pasto sociale” ha una “sua validità e concretezza di sistema” e quindi anche un valore aggiunto per fasce fragili di una città.

Infatti esso rappresenta:1-condizione di base per agevolare non solo la sopravvivenza delle fasce deboli, ma anche, per alcune di esse, della loro capacità a “guardare avanti” per intraprendere e per cercare opportunità di lavoro e di riscatto. Certo è necessario fare dei distinguo e offrire il pasto sociale unitamente a servizi di accompagnamento per il riscatto economico sociale(penso a servizi aggiuntivi per trovare posti di lavoro, assistenza qualificata per non perpetuare l’assistenza in assistenzialismo).Sarebbe una vera promozione della “libertà dal bisogno” di mangiare senza distinguo e articolazioni intellettuali;

2-una concreta attuazione della filantropia e del “senso sociale”. Sarebbe un ulteriore passo verso una solidarietà che integra la professionalità di persone che “lavorano” nel settore con un volontariato professionalizzato e parte integrante operativa del sistema di una città. Quindi aziende di solidarietà(per esempio mense sociali) convinte che “l’unico modo per essere caritatevoli è essere anche competenti ed efficaci”;

3-una sussidiarietà strutturale, dinamica ed imprenditoriale ridimensionando il ruolo solo riparativo ed eccezionale dell’imprenditorialità sociale. Comunque fasce deboli che avranno bisogno di avere un pasto gratuito saranno, in percentuali diverse, una costante del sistema. Quindi vale la pena attrezzarsi in modo organizzato;

4-un modo di concepire l’emergenza sociale non come un fatto da subire, ma come un problema da affrontare con professionalità e da gestire con continuità.

Con una suggestione, accanto alle “stelle Michelin”, ai “cappelli da chef” ed alle “forchette” come simbolo di qualità, i ristoranti di una città potrebbero esporre le “stelle del pasto sociale-”. Infatti il vecchio tema da non dimenticare, “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” , potrebbe concretizzarsi anche attraverso la pubblicazione di “una guida del cibo sociale” di  una città.

Anche i ristoranti, che adottano la tracciabilità di filiera degli alimenti ed a km0, che fanno ’inserimento lavorativo e sviluppano professioni di ristorazione per fasce deboli, emarginati e immigrati, che offrono pasti a domicilio e “pane quotidiano” per anziani in difficoltà, che destinano, per alcuni piatti, una quota dell’incasso per finanziare progetti sociali di una città o altrove potrebbero fregiarsi delle “stelle del cibo sociale”. E’ una proposta di “responsabilità sociale” per i ristoranti. Ma si può anche pensare alla “social pizza” destinando una quota del suo prezzo a una causa sociale. Comunque nulla di nuovo: l’idea nasce anche da una storia vera.

Mr.Matthew Bennett era contemporaneamente presidente di un fondo della comunità di Soho (quartiere vivace e a volte trasgressivo di Londra) per ridurre la percentuale dei senza tetto e per la salvaguardia di vecchi palazzi, nonché proprietario di una rinomata pizzeria del quartiere. Nel menù, offriva una «social pizza» il cui nome era “African Neptune” (la ricetta: tonno, acciughe, olive, capperi, cipolla, pomodoro fresco, aglio fresco). Per ogni «social pizza African Neptune» , circa 0,5 euro (42 pence) erano donati a favore dei senza dimora. Ogni anno Mr Bennett donava circa 4.500-5.000 euro che arricchivano un fondo sociale. Le città avrebbero migliaia di euro per soddisfare la domanda sociale. Anche questa è responsabilità sociale!

”Ma un Samaritano che era in viaggio, passò accanto a lui, lo vide e ne ebbe compassione. E accostatosi, fasciò le sue piaghe, versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo portò a una locanda e si prese cura di lui”.(Luca,10:25-37)


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