IL PESO E LA MISURA

                            

“Quattro volumi, 940 grammi di peso, 1472 pagine”

DALISCA

Di cosa stiamo parlando?

Il riferimento è al libro: “Guerra e Pace” di Lev Tolstoij scritto tra il 1863 e il 1869, considerato uno dei libri più importanti della storia europea; in particolare, della storia del popolo russo e degli avvenimenti che travolsero la Russia all’inizio del diciannovesimo secolo.

In questi giorni, questa opera viene rappresentata al Teatro Argentina di Roma (dal 4 al 23 febbraio 2025) con la regia di Luca De Fusco e con la partecipazione di Pamela Villoresi nella veste di Anna Pavlova Scherer (Annet).

Dato l’argomento del romanzo, il titolo infatti è già indicativo, trattasi di un romanzo storico ed è legittimo il riferimento all’attuale condizione in cui il mondo si trova. L’uomo ha necessità di dimostrare a sé stesso quanto e come sa superare i propri limiti, pur di soddisfare la sua sete di conquiste, in antitesi con la donna che, invece, secondo i canoni di una società che – ancora oggi, nonostante le sue conquiste in campo morale e sociale – la relega in un angolo preposto alla civetteria o, come nel romanzo allora, ai pettegolezzi riguardanti accoppiamenti e proposte amorose.

Chiaramente, nonostante il riferimento ai nostri giorni, il linguaggio usato – nel rispetto imposto dalla trama e dal tempo in cui si svolgono gli avvenimenti, nonché la lunghezza del racconto – non risulta a passo con il nostro tempo; pertanto, l’ensemble risulta limitato nella sua massima espressione.

Lo spettacolo, della durata di due ore e 15 minuti con intervallo, impegna il pubblico per un indispensabile tempo necessario per raccontarne la trama; pubblico che viene a teatro richiamato dal desiderio di trovare risposte e segnali di rinnovamento rispondenti alla vita reale e alla contemporaneità.

Purtroppo, anche in questo caso, l’aspettativa è stata tradita, nonostante, e ciò è doveroso riconoscerlo, il gran lavoro e l’impegno che è stato necessario per trasformare un’opera letteraria di questo calibro in versione drammaturgica, sia da parte della regia, sia da parte degli attori assolutamente all’altezza del loro delicato compito e da tutto lo staff lavorativo. Le intenzioni, come lo stesso regista sottolinea, sono rivolte necessariamente a rendere il racconto il più possibile riconoscibile e ascrivibile ad un ritmo contemporaneo, il quale deve inglobare scene e capovolgimenti nell’ambito del tempo stabilito ai limiti dell’impossibile, visto il materiale di partenza.

Alla luce di queste difficoltà ci si chiede: perché ostinarsi a voler proporre opere di questo tipo quando tanti lavori più consoni giacciono in attesa di essere rappresentati?

Il tempo non può cancellare opere così importanti né dimenticarle in quanto esse appartengono al nostro bagaglio culturale, ma darne una versione sbagliata significa tradire l’intento dello scrittore che, nel caso specifico, ne dà una versione oltre che romanzata, storica di un particolare momento.

Al lettore l’ardua sentenza!

Tra i vari registi che oggi si accingono a mettere mano a simili opere spicca Leonardo Manzan, giovane rampollo che ha vinto il bando registi “under 30” della Biennale Venezia College 2018 diretta da Antonio Latella con la revisione del Cirano di Bergerac con il titolo: “Cirano deve morire” e riscrive l’opera di Rostand in versione rap a colpi di sequenze ritmate secondo il ritmo della scrittura francese.

Nell’ultimo suo lavoro il “Faust” egli ha centrato il problema della impossibilità di rappresentare opere così impegnative, quale appunto quella citata, che non sono, con il loro linguaggio ormai obsoleto, a passo con le esigenze reali del nostro tempo; per cui il pubblico non vi si ritrova più a scapito del teatro che, non corrispondendo più alla contemporaneità, viene meno alla sua primaria funzione culturale.

A questo proposito è bene ricordare e citare i temi legati alla drammaturgia del grande e compianto Enzo Moscato, il quale racchiude nella “sequenza delle tre T il” suo concetto di scrittura drammaturgica:

  • Tradizione: non si può prescindere dalla tradizione, dal segno dei padri.
  • Tradimento: è necessario tradire le proprie origini; allontanarsi, per poi tornare a casa rinnovati.
  • Tradinvenzione: non una rilettura del testo precedente, ma una vera e propria invenzione.

Di qui oggi più che mai sorge la necessità di rispolverare antiche opere magari ricorrendo ad un prologo al fine di suscitare in un pubblico, perché no, anche giovane la curiosità di leggere o rileggere un testo istruttivo e interessante come quello citato.

Non si può permettere al tempo di ottenebrare con la sua polvere pagine e pagine di storia e di scrittura con le quali confrontarsi traendone così spunto per un rinnovato futuro.