Sedici/A Hermes Storie di geopolitica – Mondo
Guido Barlozzetti
Conduttore televisivo, critico cinematografico, esperto dei media e scrittore
Guido Barlozzetti commenta il risultato delle elezioni regionali in Emilia-Romagna e “Il ribaltone dell’Umbria” su cui si sofferma evidenziando insieme alla crisi del sistema produttivo delle piccole e medie imprese, alla mala gestione della sanità, quello che definisce l’overturismo e la desertificazione dei centri storici.
20 novembre 2024
Una volta non si sarebbe stupito nessuno se alle elezioni regionali dell’Emilia-Romagna e dell’Umbria avesse vinto il centro-sinistra. Anzi il PCI, il Partito Comunista Italiano, che le aveva in regime di monopolio insieme alla Toscana (ma uno studio serio su questa tripla roccaforte è mai stato fatto?). Era nell’ordine delle cose in due regioni che formavano lo zoccolo durissimo di uno schieramento che aveva radici nella storia repubblicana fin dal dopoguerra (ma in quello studio bisognerebbe andare assai indietro, il fascismo, la civiltà contadina, lo Stato Pontificio…).
E invece le vittorie di Michele de Pascale e Stefania Proietti sorprendono, più forse la seconda che la prima, perfino chi li ha sostenuti e votati, che infatti esulta come davanti a uno scampato pericolo, a volte con toni da ultima spiaggia, quasi che l’affermazione dell’avversario avrebbe gettato in un baratro senza fine. Una modalità che sembra un riflesso condizionato di una sinistra che nello smarrimento delle mappe tradizionali non resiste alla tentazione di giocare ogni volta la carta emotiva del millenarismo e dell’après moi le déluge.
La forza della democrazia alla fine è nei numeri e i numeri dicono di due successi senza-se-e senza-ma, su cui è il caso di riflettere ma senza cedere al tic di farne un immediato laboratorio di un possibile futuro, perché se il campo di chi ha vinto è stato largo, resta comunque stretto e problematico rispetto a una traduzione nazionale. Rimane infatti polarizzato su un PD in crescita e con i Cinque Stelle stabilmente incerti tra l’alleanza e la seduzione dell’isolazionismo che dovrebbe rigenerarli, bivio connaturato a un soggetto politico che non riesce a uscire da uno stadio dello specchio e, se lo fa, non sa proteggersi dal ritorno del rimosso. Con il risultato di una regressione continua sul piano del voto.
Chi ha perso – in questo caso non ci sono dubbi e nessuno può accampare scuse – non vede pericoli per il governo. Solita tiritera,
“avranno effetto sulla tenuta di Meloni?!”
che, risultati alla mano, non sembra aver fatto pesare particolarmente un traino d’immagine. Peraltro, in giro per il mondo, ha trovato il tempo per complimentarsi con de Pascale che ha dominato la centro-destra Elena Ugolini e Proietti che gli ha trafitto Donatella Tesei, alla quale la ruvida lista collegata di Bandecchi non ha portato l’aiuto che si aspettava (un segnale di appannamento nell’appeal ringhioso del pretenzioso homo novus nonché sindaco di Terni?).
Tuttavia, sarà il caso che il centro-destra si concentri su qualche scricchiolio, perché non ci sono state rendite di posizione in Umbria – conquistata rumorosamente cinque anni fa e subito persa – mentre in Emilia-Romagna la terna a Palazzo Chigi in tutta evidenza non è stata in grado di offrire un’alternativa convincente e ha pure improvvidamente giocato la carta della colpevolizzazione sui disastri delle alluvioni.
Le ragioni della vittoria del centro-sinistra e la crescita dell’astensionismo
Allora, i risultati. Hanno vinto due candidati sindaci di città importanti come Ravenna e Assisi. Non è la prima volta, certamente è il segnale di un voto che ha premiato anche un radicamento territoriale riconoscibile e le buone pratiche amministrative che de Pascale e Proietti hanno svolto.
È il caso però di guardarli anche da vicino questi rianimatori di uno schieramento finora senza un collante stabile e reduce dalla batosta della Liguria (dove, guarda caso, ha prevalso il sindaco di Genova su un candidato d’apparato del PD).
Il primo, una vita con il Partito Democratico, ha seguito tutto il cursus honorum che adesso lo ha portato al vertice regionale.
Quanto a Proietti è un caso interessante e rivelatore. Ci troviamo infatti di fronte a un profilo civico e cattolico, con posizioni su certi diritti che avrebbero potuto far storcere il naso agli ortodossi della sinistra.
Questo background non è stato evidentemente determinante, lo schieramento del centro-sinistra si è compattato su di lei forse anche per questa qualità di civismo trasversale a-ideologico. E i partiti farebbero bene a ragionare sul profilo, visto che certi automatismi del voto per appartenenza sono ormai tramontati e che, specialmente nelle elezioni locali, le facce che ci si mettono sono più importanti delle bandierine, o meglio considerando che le bandierine per essere credibili hanno bisogno di facce presentabili e che abbiano ben meritato di sé. Un nodo ormai ineludibile nel rapporto tra classe dirigente e società, rappresentanza e consenso, incarico e competenza.
È vero, stiamo parlando di Regioni che hanno comunque un’inerzia storica sul piano elettorale, che però ha già dimostrato di non bastare se è vero che in Umbria cinque anni fa l’élite che si raccoglieva intorno al PD è stata mandata a casa e non per un umore bizzarro degli umbri ma per l’onda lunga di certi scandali e per un’autoreferenzialità pieddina tutta perugina e di casta. Che poi sono i motivi che fanno dire alla gente che “sono tutti uguali” e la convincono a disertare le urne come dimostrano il 52 per cento dei votanti in Umbria e addirittura il 46 per cento in Emilia-Romagna.
In democrazia, sarà il caso di ricordarlo, contano i voti e tuttavia un assetto che si fonda sul suffragio universale e che vede una crescente disaffezione da parte dei cittadini qualche interrogativo deve porselo e anche rapidamente (una sollecitazione che non viene alla politica certamente da oggi e spiega sia la sequenza di certi exploit leaderistici ai vertici del Paese, sia l’evidente difficoltà di un movimento, i 5Stelle, che nasce nella e dalla società e non riesce a chiudere il cerchio con un’adeguata attitudine di governo, sia le brusche ascese e le repentine cadute).
Così chi ha vinto queste elezioni, lungi dall’accontentarsi di slogan e promesse, deve ridare consistenza di proposte e risposte alle domande che vengono dal territorio.
Nel caso dell’Emilia, parliamo di una regione che ha un PIL pro capite superiore del 13 per cento per cento alla media UE 27 e che tuttavia nel 2019, pre-Covid, registrava quattro punti in più. Con un potenziale di fragilità economica che cresce via via che ci si allarga dall’asse della Via Emilia. Segno di un motore che qualche problema ce l’ha, acuito dalla nuova, devastante, emergenza climatica.
In questo quadro, appare significativa una scelta che ha preferito la continuità rispetto a una rottura.
L’Umbria di domani minacciata dall’overturismo e la desertificazione dei centri storici
La situazione umbra è diversa. Anzitutto l’esperienza del centrodestra si è rivelata una parentesi rispetto alla quale gli elettori hanno preferito tornare alla “tradizione” sia pure con tutte le novità che sono intervenute in questi anni.
Ciò che non può e non deve appagare i vincitori: è una sfida rischiosa quella che si trovano davanti e devono giocarla. Proietti ha fatto una campagna elettorale “rock”, fuori dai rituali e a contatto con il territorio. Una dimostrazione di sensibilità che però va verificata nei fatti a fronte delle sperequazioni e degli squilibri che continuano a tagliare l’Umbria rispetto al centralismo del capoluogo e a una nomenclatura PD a cui non basterà Proietti per rifarsi una verginità.
In ogni caso, non è più accettabile il gioco per cui ci si galvanizza durante le campagne elettorali e poi, una volta conquistato il potere, si fa presto a impantanarsi nei compromessi e nel piccolo cabotaggio, quando non nel grigiore dei veti reciproci dentro un’alleanza che fa tutt’uno con l’incapacità di dare realtà alla visione promessa.
Non si tratta di fare una rivoluzione o di affidarsi al potere taumaturgico dell’ideologia. Per l’Umbria c’è la cartina tornasole indiscutibile e istantanea della sanità, che certamente ha pesato nell’esito del voto.
Stiamo parlando di un servizio che non riesce più ad essere tale. Le file delle prenotazioni sono solo la punta dell’iceberg di un’organizzazione che non funziona, ha perso credibilità, latita nelle prestazioni, una realtà che i cittadini toccano con mano e che risulta ancora più sconvolgente oltre che incredibile nelle dimensioni di una regione che si estende per circa 8.500 chilometri quadrati su cui vivono 850 mila abitanti.
Dove stanno la presenza di presidi efficienti su tutto il territorio, la prossimità di un servizio e quel decentramento domiciliare chiave della cura e della prevenzione?
Peraltro, non è certo la sanità l’esclusivo banco di prova della nuova maggioranza, ma certo sarà decisivo vedere come verrà affrontato un panorama così dissestato e screditato nella percezione dei cittadini, avendo poi sullo sfondo il rapporto assai ambiguo ed equivoco con un sistema privato che ha tutto da guadagnare dall’arretramento del pubblico.
Poi, magari, accanto all’urgenza della sanità, sarà anche il caso di interrogarsi sul futuro di questa regione.
Come ricostituire i pilastri di un’economia che deve confrontarsi con l’affanno delle piccole e medie imprese e di un sistema economico che è regredito nelle performance?
Come far fonte alla minaccia – non si può chiamare altrimenti – di un overturismo che è solo una scorciatoia che finirà per desertificare i centri storici?
Come trovare un punto di equilibrio lungimirante tra sviluppo e sostenibilità, territorio, discariche e pale eoliche?
Insomma, su quale identità, rispettosa di sé ma aperta e competitiva, la regione di Francesco d’Assisi e delle ex acciaierie di Terni, della Perugina e della Buitoni, delle fonti del Clitunno e della Cascata delle Marmore, del Duomo di Orvieto e del museo di Alberto Burri a Città di Castello, del vino, di Cucinelli e del Festival di Spoleto, l’Umbria potrà giocarsi nel divenire incerto della globalità?
Se le urne si sono chiuse, il futuro resta aperto e non farà sconti.
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